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XVIII. Non parrebbe vero, ma financo la comunissima formola de' Teologi ubi Petrus, ibi Ecclesia, trova in Dante un perfettissimo riscontro in quanto risguarda l'Imperatore. Se dov'è il Papa, ivi è la Chiesa, ossia la pienezza dell' autorità spirituale; ov'è l'Imperatore, ivi è la pienezza dell'autorità civile. Con questo avvedimento si leggano ora i versi 55-57 del Canto XX del Paradiso, e nell' espressione con le leggi e meco (chi quivi parla è la santa Aquila, insegna dell'Impero) scorgerassi chiarissima prova; la quale può trovare sostegno e conferma nelle parole con che l'anima di Giustiniano fa principio al Canto VI della stessa Cantica: Posciachè Costantin l'Aquila volse ecc.

XIX. Ma sin dove si stende l'autorità spirituale da Cristo concessa alla sua Chiesa? è del tutto universale: Dante riferisce il quodcumque ligaveris e il quodcumque solveris detto da Cristo a S. Pietro, e nella persona di lui a' suoi successori; e spende un intiero capo della Monarchia (III, 8) a indagare la natura e l'estensione di quella autorità, nel più pretto senso cattolico. E che ne dice a sua volta dell'autorità dell'Impero? sentite : Est temporalis Monarchia, quam dicunt Imperium, unicus Principatus, et super omnes in tempore, vel in iis et super iis quae tempore mensurantur (Mon., I. 2): e di rincalzo nel Convito (IV, 9): quanto le nostre operazioni si stendono, tant' oltre la Maestà Imperiale ha giurisdizione.

XX. Negli studi danteschi, nessuno lo ignora, siamo oggimai così avvezzi a sentire tanta stranezza di esagerazioni e tanta audacia e novità di affermazioni, che alle volte, se ci accada di udire una cosa anche la più semplice, ma non ancora avvertita dai chiosatori e dai critici di Dante, il nostro spririto si mette subito in guardia e diviene diffidente, e quasi, per primo impulso, vi si ribella. Ciò credo che sia ora per accadere nel lettore verso di me, quando senza la più piccola pretesa di scopritore, ma colla onesta franchezza di indagatore paziente e convinto affermo, che nella stessa maniera onde i Vescovi dipendono dal Papa, Pastore Sommo (Mon., III, 14) e Padre de' Padri (Epist. VII, 7); in quella precisissima maniera voleva Dante che i Re, i Principi e tutti gli aventi giurisdizione politica sui popoli dipendessero dall'Imperatore, il quale, dice nel Convito (IV, 4), di tutti i coman

datori è comandatore. Chi ha un concetto netto del come l'Allighieri concepisse e ordinasse la sua universale Monarchia, e come essa non fosse assorbente dei Regni e dei Principati, ma anzi promovitrice dell'autonomia varia delle varie genti, e ne tutelasse e, dirò così, autenticasse i diritti, le franchigie, le leggi ad ogni Stato rispondenti, comprende senz'altro che la mia affermazione è verissima, e tanto chiara, da non aver duopo di dimostrazione. Osserverò questo solo; ogni Vescovo, entro i confini della sua Diocesi, ha autorità ordinaria, ond'è anche chiamato comunemente Ordinario: e così ha autorità ordinaria ogni Re o Principe entro i confini dello Stato, al quale presiede. Però, come i cattolici non sanno capire un Vescovo non riconosciuto dal Papa, e non riconoscente nel Papa il Capo supremo della Chiesa, e con lui in perfetta communione; così Dante non capiva un Re od un Principe non riconosciuto dall' Imperatore, e che nell'Imperatore non riconoscesse il Capo supremo di tutto l'ordinamento politico del mondo. Ogni Vescovo deve invigilare che sieno mantenute e rispettate le leggi universali, e di suo pieno dirttto fa e promulga leggi speciali, legittimo interprete dei bisogni spirituali de' suoi dipendenti; e codeste leggi in tanto sono autorevoli, in quanto non s'oppongono alla legge universale, e secondo lo spirito di quella dedotte. Così ogni Principe deve adoperarsi perchè ciò che è della legge universale sia da tutti rispettato; e fa leggi speciali secondo il bisogno de' suoi sudditi. Tutto questo mio dire, potrebbe agevolmente e partitamente provarsi con tratti copiosi delle Opere del nostro Autore; ma per non annoiare di soverchio, mi basti di riferire questo passo della Monarchia (I, 16), che tutto comprende e dimostra: Advertendum, quod cum dicitur humanum genus potest regi per unnm supremum Principem, non sic intelligendum est, ut minima iudicia cujuscumque Municipii ab illo uno immediate prodire possint, cum leges municipales quandoque deficiant et opus habeant directione. Habent namque Nationes (ecco il solenne principio), Regna et Civitates inter se proprietates, quas legibus differentibus regulari oportet.... Sed sic intelligendum est, ut humanum genus secundum sua communia, quae omnibus competunt, ab eo regatur, et communi regula gubernetur ad pacem. Quam quidem regulam sive legem particulares Principes ab eo recipere debent; tamquam intellectus practicus ad conclusionem operativam reci

pit maiorem propositionem ab intellectu speculativo, et sub illa particularem, quae proprie sua est, adsumit, et particulariter ad operationem concludit.

XXI. Il nostro Autore, che nulla perde di vista, che tutto sa raccogliere e mettere in opera che valga a dar pienezza e risalto al suo ben pensato sistema, nella bolgia degli Ipocriti trova Caifa crocifisso in terra con tre pali, l'iniquo, il quale

Consigliò i Farisei che convenia

Porre un uom per lo popolo a' martiri:

dal consiglio di lui s'effettuò o s'accelerò la Redenzione, voluta da Dio, e perciò la Monarchia apostolica; ma il consigliatore paga qui la perfidia del suo consiglio (Inf. XXIII, !11- 123).

Per simil modo in altra bolgia,

Con la lingua tagliata nella strozza,

Inf., XXVIII, 101.,

troviamo Curione, il Consgliatore di Cesare a saltare il Rubicone (Par. VI, 62): eppure con ciò si costituiva e raffermava l'Impero, voluto da Dio; nondimeno il consigliere improvido è, non altrimenti che Caifa, punito.

XXII. Per ultima prova come le due Monarchie Apostolica e Civile ridessero all'intelletto di Dante di mutua e quasi similissima luce, prego il lettore di badare bene a un punto luminoso del Poema. Giunto il Poeta con Virgilio nel profondo abisso, e trovandosi proprio dinanzi all'imperador del doloroso regno (Inf., XXXIV, 28), şi accorge che il gran mostro aveva tre facce, di differente colore, e che

Con sei occhi piangeva, e per tre menti
Gocciava il pianto e sanguinosa bava.

Da ogni bocca dirompea co' denti

Un peccatore a guisa di macìulla,

Si che tre ne facea cosi dolenti.

A quel dinanzi il mordere era nulla

Verso il graffiar, ché talvolta la schiena
Rimanea della pelle tutta brulla

(ivi, 53-60).

E Virgilio così addita e fa conoscere all'alunno i tre peccatori:

Quell'anima lassù, che ha maggior pena,

Dissé il Maestro, è Giuda Scariotto,

Che il capo ha dentro, e fuor le gambe mena.

Degli altri duo, che hanno il capo di sotto,

Quei che pende dal nero ceffo, è Bruto....
E l'altro è Cassio

(ivi 61-66).

una

Ed ecco insiememente posti a simile punizione i traditori dei fondatori delle due Monarchie, il traditore di Cristo, i traditori di Cesare. E se abbiamo inteso che Giuda, oltre all'essere maciullato, è per giunta graffiato, onde ha maggior pena degli altri due, ciò deriva manifestamente dalla maggior gravità del tradimento, e per conseguente è implicitamente stabilita la maggiore eccellenza della Monarchia Apostolica sopra la Civile, e certa morale dipendenza di questa da quella; la qual cosa dall'Allighieri è pure esplicitamente dichiarata, là dove nella Monarchia (III, 15) così scrive: Quae quidem veritas ultimae propositionis (cioè dell' indipendenza dell'Autorità Civile dall' Ecclesiastica) non sic stricte recipienda est, ut Romanus Princeps in aliquo Romano Pontifici non subiaceat, cum mortalis ista felicitas quodammodo ad immortalem felicitatem ordinetur. Illa igitur reverentia Caesar utatur ad Petrum, qua primogenitus filius debet uti ad Patrem, ut luce paternae gratiae illustratus, virtuosius orbem terrae irradiet.

Da queste brevi, ma spero non capricciose osservazioni, io credo che si possa avere una solida base, un sicurissimo punto, dirò cosi, di partenza per procedere ed arrivare con frutto a sta bilire l'àmbito, entro il quale dovevano svolgere la loro amichevole e salutare azione le due supreme Autorità, Chiesa ed Impero; ́e nelle Opere di Dante, nonchè esser manchevole, la materia sovrabbonda, e sonvi luminosi i criterî per segnarne i confini con irrepugnabile precisione.

Intanto, riassumendo, è cosa notabile che il nostro Autore abbia foggiato la sua Monarchia Universale cogli stessi caratteri, collo stesso organismo, ond'è costituita la Chiesa. In quanto poi ai dissidì, che potevano esserci tra le due Autorità, ne attribuiva la colpa alle umane passioni, non alle due Istituzioni da Dio stabilite; ed era appunto per questo che con tanto ardore s'ingegnava, risalendo ai principi, di far ritornare

la pace.

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APPENDICE VI.

IL DOMINIO TEMPORALE DEI PAPI (1)

I. Di questo argomento, specialmente da quarant' anni in qua, si è menato tanto scalpore, tanto si è scritto pro e contro, che parrebbe un fuor d'opera ritornarci sopra; e anche questo può essere, specialmente se si consideri che se è vera la parola dello Spirito Santo, che non est ira super iram mulieris, è anche vero che, dopo quella della donna, non c'è ira più cieca di quella, che deriva da passione politica; e nelle opere di Dante sovrabbondano, per chi li volesse, gli esempi.

Certo, in più occasioni i ferri si riscaldarono, e il ferro rovente, dove tocca, scotta e fa piaga; e non si saprebbe ben dire se le piaghe toccarono agli avversari politici di chi scriveva, o alla povera umana ragione, che non ce n'aveva colpa nè in margine nè in riga. Non dico che alcuni, dell'una e dell' altra opinione, non abbiamo trattato l'argomento in modo degno della sua rilevanza, e degno dell'onestà letteraria; ma in tanta turba di scrittori furono proprio come le mosche bianche. E perchè il nome di Dante, ravvivato anco pel sesto centenario della sua

(1) Nessuno su questo argomento scrisse più bellamente del P. Francesco Berardinelli (Cf. I. Dominio temporale dei Papi nel concetto politico di Dante Alighieri, Modena 1881); però, per solo amore del vero dichiaro che il presente mio lavoro, qualunque esso sia, quale oggi si pubblica, era già fatto prima che uscisse alla luce quello del Berardinelli: un Vescovo e un dotto Professore tuttavia viventi, potrebbero attestare la verità della mia affermazione.

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