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cioè, chiosa il Bianchi, aiutò i foro civile ed il foro ecclesiastico, conciliando le leggi dell' uno con quelle dell'altro; la quale opera piace a Dio e a tutta la Corte celeste, che vogliono in pace e in concordia le due Podestà; e ciò, com' ognun vede, altro non costituisce che l'intimo scopo della Monarchia di Dante. Or bene: se l'Allighieri fosse stato avversario del Dominio Temporale dei Papi, chi mi vorrebbe far credere che avrebbe messo nel suo Paradiso un uomo, che tanto s'industriò a raccogliere ed illustrare documenti, che non solo propugnano la giustizia e il diritto di quel Dominio, ma che della difesa ed integrità di esso fanno un peculiare dovere allo stesso Imperatore (1)? Concludiamo dunque che pure poterat Imperator in patrocinium Ecclesiae patrimonium et alia deputare (e vedete bene che Dante non solo accorda il Patrimonio, ma anche alia), ma che lo concesse davvero (stando alla supposta donazione, creduta a' tempi di Dante); e in ciò nulla nè di contrario al diritto, nè di cagione di male; il male si fu che l'Impero non abbia fatto riserva dall' alto dominio, “cuius unitas divisionem non patitur; „ e cosi resta raffermato che tutto ciò che nelle Opere di Dante pare far contro al civile Principato dei Papi, non è che una apparenza, che, alla luce di sereni e irrepugnabili argomenti, come nebbia al Sole tosto si discioglie.

(1) Basta anche solo dare

un'occhiata alla Distinzione XCVI. del De

creto, lasciando pure in disparte le altre.

APPENDICE VII.

GUELFI E Ghibellini

I. Da Adalberto, marchese di Toscana (850), ripete la sua origine la stirpe di Welf, la quale ebbe poscia molta importanza negli avvenimenti della Germania. Ebbe più tardi per dote il marchesato d'Este, e nel 1071 giunse alla signoria ducale della Baviera. La casa dei conti di Hohenstauffen proveniva dal castello di Weibling nel Wirtemberg, e nel 1080 ottenne il ducato di Svevia. Morto Enrico V, ultimo della casa di Franconia, ebbe l'impero Lotario, della casa di Sassonia (1125-1137): ma contro di lui si trovarono i fratelli Federico e Corrado degli Hohenstauffen, il secondo de' quali era stato pure nominato re di Germania da un partito. Lotario strinse alleanza col duca di Baviera Enrico il Superbo, gli conferì il ducato di Sassonia, dandogli in moglie la propria figlia. Morto Lotario il trono imperiale è ottenuto da Corrado IH degli Hohenstauffen (139-1152), che per vendicarsi muove tosto aspra lotta al duca di Baviera: e Welf e Weibling furono il grido di guerra degli eserciti delle due famiglie e tosto quei due nomi si stesero per tutta quanta la Germania. La casa de' Welf perdette la Baviera, ma potè mantenersi nel ducato di Sassonia. A Corrado succeduto nell' impero il nipote Federico I Barbarossa (1152-1190), si riconcilia coi Guelfi, restituendo ad Enrico il Leone, figlio e successore del Superbo, la Baviera. Ma il malanimo nelle due schiatte non era spento; alla battaglia di Legnano (29 maggio 1176) nel momento più decisivo Enrico colle sue milizie abbandona l'Imperatore, il quale fatto risolvette a favore del Papa e della Lega in piena vittoria la giornata, che altrimenti avrebbe finito in sicura sconfitta ma Enrico fu per ciò dall' Im

peratore privato di quasi tutti i suoi possedimenti. Più tardi, durante la minorità di Federico II, le due opposte fazioni divampano ancor più, sì che la Germania si trova con due re, eletti da due opposti partiti, Filippo di Svevia e Ottone IV di casa Welf, figlio d' Enrico il Leone. Ma intanto più che semplici denomi nazioni di due case nemiche tra di loro, il nome di Guelfii e di Ghibellini aveva assunto in Germania carattere distinto di due diverse tendenze, di due differenti intenti di governo, i Guelfi sostenendo le ragioni della Chiesa, i Ghibellini la lotta dell' Impero contro di lei.

II. In Italia, chi ben guardi, se anche non vi si udivano i due nomi, i due partiti cominciano a manifestarsi nel tempo della lotta tra Corrado III e la casa di Baviera, quando le città nostre si divisero in fazioni, e fieramente e sì di spesso venivano alle mani; certo con molta gioia dell' Imperatore, che da tante miserie che porta sempre seco la divisione, vedeva il proprio profitto. Ma i due partiti si mostrarono più apertamente darante il periodo, si glorioso per i Comuni d'Italia, della lotta tra Federico Barbarossa e Papa Alessandro III, e continuarono sotto il seguente imperatore Enrico VI. Però i due nomi Guelfo e Ghibellino entrano in Italia soltanto durante la minorità di Federico II, quando le nostre città si schierarono a favore quali di Ottone IV dei Guelfi, sostenuti da Papa Innocenzo III, quali di Filippo di Svevia de' Ghibellini; ond'è che que' due nomi cominciarono a determinare l'uno il partito della Chiesa, l'altro quello dell' Impero; il che più spiccatamente ha luogo quando Federico II, malauguratamente si diede a suscitare nuove questioni coi Papi e coi Comuni: «vedesi così, dice il Balbo, che Guelfi e Ghibellini non furon altro che nomi nuovi di parti vecchie già di due secoli, contandole non più che dal sorgere della Chiesa e delle città contro l' Impero: » ma si vede anche che il partito veramente italiano, veramente nazionale era quello de' Guelfi (1).

(1) Scrisse il Tommaseo: “Il Ghibellinismo in Italia è cosa originariamente straniera.... O riguardisi dunque come straniero, o come fondato sopra un' inuguaglianza insopportabile a popolo di vivi spiriti, il Ghibellinismo era contrario all' indole della nuova civiltà italiana. Il nostro Poeta le massime ghibelline temperò parte con la rettitudine dell' animo, parte con le guelfe memorie della sua giovinezza.... I Guelfi sono l'Italia, chè l' Italia cristiana è, per essenza sua, nazione popolana » (Guelfi e Ghibellini).

Infatti, come nota l' Ozanam, costretta la nobiltà a servire all'a monarchia, combattè sotto la bandiera ghibellina; mentre la plebe stando per il Papato militava a favore di quello, e contribuiva alla supremazia de' Guelfi; il partito Guelto divenne insomma quello delle franchigie comunali; il Ghibellino, de' privilegi feudali. Guelfi e Ghibellini, come nomi di fazioni avverse per private inimicizie cominciano a Firenze pel noto fatto di Buondelmonte (1215), donde s' originarono, come da mal seme (Inf., xxvi11, 108), tutte quelle lotte intestine, que' fatti di sangue, quell' alternarsi di governo, e tutta quella sequela di odii e di miserie, che ridussero la bellissima figlia di Roma a quella condizione che vediamo in cento luoghi delle Opere del nostro Autore. Le fazioni interne non impedivano a Firenze, secondo il variare delle parti al governo, che si portasse guerra alle città di Toscana di partito opposto, come Siena, Pisa, Pistoia, Arezzo. Nel 1248, prevalendo i Ghibellini per l'aiuto di Federigo II, furono da Firenze cacciati i Guelfi, che rotti poi i Ghibellini a Figline (20 ottobre 1250), ritornano nel gennaio 1251, mandando in esilio alcuni tra i capi de' Ghibellini, che poi in massa son cacciati nel 1258. Aiutati da Manfredi esssi diedero a' loro compatriotti la famosa rotta di Montaperti o dell' Arbia (Inf., x, 85-87; e xxx11, 81 e segg.), 4 Settembre 1260, onde rientrarono in Firenze cacciandone alla lor volta i Guelfi.

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III. Di parte Guelfa erano i maggiori di Dante, e cosi cacciati nel 1248 e nel 1260 (Inf., x, 47-48). Vinto e morto Manfredi (26 febbraio 1266), ritornarono i Guelfi (1), ricacciando i Ghibellini, sempre più confondendosi nel loro carattere i due partiti, e facendosi ognor più manifesta l'incertezza dal senso applicato ai loro nomi (2). Molto, checchè se ne dica, s'adoperarono i Papi

(1) Che i maggiori di Dante fossero Guelfi e sbandati dai Ghibellini nelle due cacciaie del '48 e del '60, lo sentimmo da Dante stesso. Dante nacque, secondo il Boccaccio, nel maggio del 1265, mentre durava tuttavia in Firenze il governo de' Ghibellini e l'esilio de' Guelfi: ma che Dante nascesse e fosse battezzato iu Firenze, l'Autore stesso lo attesta (Inf., xxin, 94-5; Par., XXII 112-117; XXV, 8-9). Converrebbe dunque credere che Alighiero, padre di Dante, non fosse stato esigliato, o che per grazia ne fosse ritornato almeno nell' autunno del 1264, ovvero che ne fosse ritornata Donna Bella.

(2) Sono anche per questa ragione molto rilevanti le parole che Papa Gregorio X (passando per Firenze per recarsi al Concilio di Lione) rivolgeva nel 1273

per calmare le ire, per mettere la pace tra le due opposte fazio. ni; così è, se la storia debba scriversi secondo il vero, e se i giudizi debbano cavarsi dai documenti; l'autorità di Giovan Villani ce lo conferma nella sua Cronaca; autorità derivante e dalla riconosciuta lealtà di storico, e dal non essere stato in ciò mai contraddetto da nessuno scrittore suo contemporaneo. Oltre al tentativo di Gregorio X nel '73 (al quale opponendosi i Guelfi, Firenze è punita d'interdetto), il medesimo fa nuovi tentativi di pacificazione, e con buon frutto nel '75. Niccolò III nel '77 affida al Cardinal Latino una legazione in Toscana al medesimo intento.

Ma troppo inorgogliti, troppo potenti erano i Guelfi per mostrarsi giusti e misericordiosi, o cristianamente generosi. Morto Manfredi, colla morte dell'ultimo degli Hohenstauffen, col misero Corradino (1), cadde pei Ghibellini ogni speranza, mentre si confermarono e crebbero in tutta Italia la potenza dei Guelfi o l'oltracotanza degli Angioini. « E tanto più, scrive il Balbo, che la vacanza d' Imperio continuò parecchi anni ancora, nè cessò se non nel 1273 per l'elezione di Rodolfo d' Augsburgo, uomo grande ma principe piccolo, e che per ambedue forse queste ragioni tennesi in Germania, e mai non iscese in Italia, dove cosi mancava ogni consueto capo de' Ghibellini. Così Carlo d' Angiò ebbe agio di estendere la sua Signoria di città in città, quasi per tutta Toscana, Lombardia e Piemonte, onde poi si univa al suo stato di Provenza. Ma quindi ancora in tutte queste parti della penisola, e più nel Regnò, e massime in Sicilia, gli eccessi, le tirannie, le crudeltà de' Guelfi, e le ruberie, gli stravizzi, le libidini de' Francesi. Quindi le onte e l'avvilimento dei vinti volti a disperazione. »

ai Fiorentini; le quali per giunta ci rivelano anche una volta il pensiero che i Papi si presero sempre a spegnere le ire dei partiti e a insinuare nell' anime sentimenti di unità e di fratellanza .... Ghibellinus est; at christianus, at civis, «at proximus. Ergo haec tot et tam valida coniunctionis nomina Ghibellino suc«cumbent, et id unum atque inane nomen (quod quid significet nemo intelligit) plus valebit ad odium, quam ista omnia tam clara et tam solida expressa ad charitatem?.... Sed quoniam haec vestra partium studia pro romanis Pontificibus contra eorum inimicos suscepisse asseveratis; ego Romanus Pontifex hos ve"stros cives, etsi hactenus offenderint, redeuntes tamen ad gremium recepi, ac « remissis injuriis, pro filiis habeo. >>

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(1) Inf., xxvi11, 17; Purg. xx, 68.

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