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IV. Per intromissione di Gregorio X, come ho detto, nel '75 i Ghibellini dal governo Guelfo di Firenze furono riammessi in patria; e frutto dell'officio di paciere del Cardinale Latino si fu una riconciliazione generale, e cessata la signoria vicaria di re Carlo, ai Ghibellini son concessi sei dei quattordici posti nella` signoria. Però i Ghibellini vengono ricacciati nel 1285.

Nel 1287, di Guelfa, Arezzo si mutò in Ghibellina, per opera di quel Vescovo Ubertino de' Pazzi, e venne fatto capitano di guerra Buonconte di Montefeltro, figliuolo di quel Guido (1), il quale a sua volta fu nel 1289 fatto Podestâ di Pisa, serbatasi maisempre Ghibellina; e fu appunto al giungere in Pisa del nuovo Potestà, che fu deliberato (12 Marzo 1289), nel modo che narra l'Allighieri, l'orribile morte d'Ugolino e de' suoi. In quest'anno istesso (11 Giugno) avviene la battaglia di Campaldino colla rotta degli Aretini, pel valore specialmente di Corso Donati e di Vieri de' Cerchi. Dante si trovò a Campaldino, come si trovò in appresso alla spedizione de'Guelfi di Toscana contro Pisa, spedizione che si risolse colla presa del castello di Caprona (2).

V. Miserie lagrimevoli, danni, crucci, rancori, sentimenti rei di vendetta e di sangue faceano feroci i cuori; e ancor peggio doveva accadere. Pel notissimo fatto de' Cancellieri di Pistoia, Fi. renze doveva patire ben altro per la divisione de' Guelfi in Bianchi e in Neri, questi capitanati dai Donati, quelli dai Cerchi; onde il Villani : « non che i Cancellieri per li Fiorentini si racconciassono insieme, ma i Fiorentini per li Cancellieri furono divisi e partiti, multiplicando di male in peggio » (3). Il Villani e Dino hanno nelle loro Cronache pagine potenti di schiettezza storica, d'elegante semplicità per appagare ogni studioso di Dante su questo periodo storico tanto necessario all'intelligenza piena di buona parte delle Opere di Dante, pagine che in ogni anima ben fatta destano compianto di tante sciagure. Bonifazio VIII mandò in Toscana il Cardinale d'Acquasparta (4) due volte come

(1) Cf, Purg., v. 88; Inf., xxv11, 29 e segg.; Conv., Iv, 28.

(2) Inf., xx1, 95.

suo le

(3) Quando questa divisione propriamente accadesse, non si può affermare con certezza; tra gli stessi scrittori toscani chi lo pone verso il 1286, chi poco prima del 1300.

(4) Cf. Par., XII, 124.

gato, dapprima (1300) per trovar modo d' impedire ogni eccesso e violenza tra Bianchi e Neri, la seconda volta (1301) per impedire ulteriori disordini depo quelli che avevano accompagnato l'ingresso di Carlo di Valois in Firenze. Di questo Papa, così mal giudicato da Dante, è bene che gli studiosì dell'Allighieri prendano nota delle parole finali della lettera con che Bonifazio affidava al Cardinale si nobile incarico: << Ut haec salubrius et ef << ficacius impleantur cum quiete et pace, te, de cujus legalitate, << bonitate, circumspectione et experientia matura confidimus, ad < partes easdem providimus destinare, in eadem provincia no<< stra tibi auctoritate concessa; per cuius dictus Comes (Valesensis) favorem protectus, directus consilio, et maturitate adju << tus, commissum sibi officium juxta divinum beneplacitum et « nostrum, cum moderatione et mensura, tranquillius ac utilius < possit debitae executioni mandare. Quocirea fraternitatem tuam << rogamus, monemus et hortamur attente per apostolica tibi prae<< cepta mandantes quatenus celeriter te accingens, et ad partes <«<illas te personaliter festinus accedas.... et tam tu quam ipse ve. << stra studia convertatis ad seminandum semen charitatis et pacis, ut sedatis guerrarum et dissensionum turbinibus, qui nimis < invaluerunt ibidem, provincia ipsa, tot impulsibus agitata, qua<< si post noctis tenebras, floridum diei lumen aspiciat.

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Col medesimo amore di pace, collo stesso spirito cristiano di concordia, Benedetto XI nel 1204 dà eguale incarico al Cardinale da Prato; ma la fazione cittoriosa si mostra sorda ai tentativi del legato pontificio, che contro i riottosi scaglia la scomunica (1). Nel 1307 Clemente V ad eguale intento e del pari invano manda il Cardinale Napoleone Orsini (2).

VI. Per la sventura sua propria e per quella della patria si può facilmente capire come nell'animo di Dante un noto mutamento politico dovesse accadere, ma non tale da potergli far mettere in dimenticanza la sua origine guelfa e il guelfismo professato. Da

(1) Di tale missione del Cardinale da Prato parla quella Epistola, che fu attribuita a Dante, come scritta da lui al Cardinale stesso in nome dei Bianchi esiliati; è la prima tra le Epistole di Dante pubblicate dal Torri, dal Fraticelli e dal Giuliani.

(2) E quel medesimo che è da Dante rimproverato nell'Epistola, ch'egli indirizzò ai Cardinali Italici dopo la morte di Clemente V.

ciò a parer mio debbonsi forse ripetere certe, almeno apparenti, contraddizioni dalle quali, pel contrasto dei due principj, non si seppe bastantemente guardare; ma dobbiamo grandemente ammirare lo sforzo ch'egli fa di trovar modo di conciliazione tra i diritti e le pretese delle due parti opposte; sforzo che non solo rivela la sottigliezza, alle volte fin soverchia, dell'ingegno, ma sì la bontà del cuore e la magnanima carità dell'intento. Ne sono luminosa prova la Monarchia e quattro delle sue Epistole. Forse era questo lavorio d'intelletto, aiutato dal desiderio del cuore che al povero esule persuadeva ch'egli non parteggiava nè per gli uni nè per gli altri, ma d'essersi fatto parte per sè stesso, giudice spassionato dell'operare si de' Guelfi che dei Ghibellini (1). Conchiudo col Tommaseo (loc. cit.): "Allo spiriro Guelfo dobbiamo l'ingegno di Dante Alighieri. Guelfo egli nacque, e Guelfo crebbe, Guelfo combattè, Guelfo amò, Guelfo governò la sua patria: infino a mezzo il cammino della vita fu Guelfo. Come Ghibellino egli odia; come Guelfo ama. ›

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Ad ogni modo per non incorrere in gravi errori, sarà sempre necessario distinguere tra Ghibellini politici e Ghibellini eretici. Farinata, Cavalcante, Federico II, l'Ubaldini e più di mille altri martoriati nel sesto cerchio dell' Inferno, non son quivi per ghibellinismo politico, sibbene per eresia. "I Ghibellini, scrive lo Schlegel, si distinguono non solo per uno spirito di superbia lor proprio, e per la prevalenza che volevano dare al temporale sopra lo spirituale, ma per questo massimamente, che negavano la potenza dell'invisibile. »

(1) Cf. Inf. XV, 70-72; Par. VI, 92 e segg.; XVII, 67-69.

APPENDICE VIII.

IL VEGLIO DEL MONTE IDA

I. Qualunque possa essere il modo speciale d' intendere il Veglio in sè e nelle sue parti, non vi può tuttavia esser dubbio che non racchiuda una grande concezione dell' Autore desunta dalla filosofia della storia, della quale l'Allighieri si mostra così attento e sottile e felice indagatore. In quella maniera che sotto il manto della mitologia sa discernere la verità delle antiche dottrine del genere umano (1), onde nel Poema e nel Convito e nella Monarchia tanto di sovente accoppia alla mitologica la storica tradizione; così parmi che in un sol quadro abbia voluto raggruppare il suo grande pensiero sullo svolgimento morale del genere umano, la Mitologia e la Storia sacra e profana chiamando in sussidio pel disegno, pel fondo, pel colorito.

Giunto col suo discepolo al fiumicello Flegetonte, la cosa più singolare e notabile che Dante avesse mai visto dal suo ingresso nell' Inferno infino a questo punto, Virgilio così gli parla

In mezzo il mar siede un paese guasto,
che s'appella Creta,

Sotto il cui rege fu già il mondo casto.

Una montagna v'è, che già fu lieta
D'acque e di fronde, che si chiamò lda;
Ora è deserta come cosa vieta.

(1) Cf. Conv. IV, 24 e 26.

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