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lo suo uso avere non può, il quale è vedere Iddio (ch'è sommo intelligibile), se non in quanto l'intelletto considera Lui e mira per li suoi effetti. E che noi domandiamo questa beatitudine per somma, e non l'altra (cioè quella della vita attiva), n' ammaestra lo Evangelio di Marco, se bene quello volemo guardare. Dice Marco, che Maria Maddalena, e Maria Jacobi, e Maria Salome andarono per trovare il Salvatore al monimento, e quello non trovarono, ma trovarono un giovane vestito di bianco, che disse loro: Voi domandate il Salvatore, e io vi dico che non è qui: e però non abbiate temenza; ma ite e dite alli discepoli suoi e > a Pietro, che Ello li precederà il Galilea; e quivi lo vedrete, > siccome vi disse. Per queste tre donne si possono intendere le tre Sette della vita attiva, cioè gli Epicurei, gli Stoici e li Peripatetici, che vanno al monimento, cioè al mondo presente, ch'è ricettacolo di corruttibili cose, e domandano il Salvatore, cioè la beatitudine, e non Lo trovano; ma uno giovane trovano in bianchi vestimenti, il quale, secondo la testimonianza di Matteo ed anco degli altri, era Angelo di Dio. E però Matteo disse: « L'Angelo di Dio discese dal cielo, e vegnendo volse la pietra e sedea sopr'essa, e 'l suo 46 aspetto era come folgore, e le sue vestimenta erano come neve. Questo Angelo è questa nostra nobiltà, che da Dio viene, come detto è, che nella nostra ragione parla, e dice a ciascuna di queste Sette, cioè a qualunque va cercando beatitudine nella vita attiva, che non è qui; ma vada, e dicalo alli Discepoli e a Pietro, cioè a coloro che 'l vanno cercando, e a coloro che sono sviati, siccome Pietro che l' avea negato, che in Galilea li precederà; cioè che la beatitudine precederà noi in Galilea, cioè nella speculazione. Galilea è tanto a dire, quanto bianchezza. Bianchezza è un colore pieno di luce corporale, più che nullo altro; e così la contemplazione è più piena di luce spirituale, che altra cosa che quaggiù sia. E dice: « e' precederà; » e non dice: « e' sarà con voi; » a dare ad intendere che alla nostra contemplazione Dio sempre precede; nè mai lui giugnere potemo qui, il quale è nostra beatitudine somma. E dice: « quivi lo vedrete, siccome e' disse; » cioè: quivi avrete della sua dolcezza, cioè della felicitade, siccome a voi è promesso qui; cioè siccome stabilito è che voi aver possiate. E così appare che la nostra beatitudine, questa felicità di cui si parla, prima trovare potemo imperfetta nella vita attiva, cioè nelle operazioni delle morali virtù, e poi quasi perfetta nelle

operazioni delle intellettuali; le quali due operazioni sono vie spedite e direttissime a menare alla somma beatitudine, la quale qui non si puote avere, come appare per quello che detto è. »

Egregiamente S. Tommaso (1) osserva, che tutte le sollecitudini delle umane azioni, se s' indirizzino secondo la retta ragione ai bisogni della vita presente, appartengono alla vita attiva, la quale per mezzo di ordinate operazioni provvede alla necessità della vita presente: se poi tendono a soddisfare a qualsiasi concupiscenza, appartengono alla vita voluttuosa, la quale non è contenuta nella vita attiva: ma le sollecitudini, che mirano alla considerazione della Verità, appartengno alla vita contemplativa.

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Questa distinzione, nota il Lubîn, abbraccia tutte le operazioni della Vita umana nel tempo; e però il soggetto allegorico della Commedia, che comprende le tre vite, è egualmente completo che il letterale, in cui è figurato.

IX. Dante ne dichiara, che la vita contemplativa è più divina della attiva; e siccome « quanto la cosa è più divina, è più di Dio simigliante, manifesto è che questa vita è da Dio più amata» (2). Egli è per questo che nella terza Cantica, giunto al secondo Cielo, che è quello di Mercurio, il Poeta si fa dire:

Questa picciola stella si correda

Di buoni spirti, che son stati attivi,
Perchè ohore e fama gli succeda,

Par., vi, 112,-114.

E non isfugga che il pianeta è picciolo, che anzi « Mercurio è la più piccola stella stella del Cielo » (3); e che anzi" più va velata de' raggi del Sole, che null' altra stella » (4); ad indicarne le imperfezioni, che nella vita attiva s'incontrano, la quale non ha per intento diretto di cercare la prima ed essenziale Verità,

(1) Somm., HH, 179, .

(2) Conv., 11, 5.

(3) Ivi.

(4) Ivi, 11, 14. E trova conferma nel Par., v, 129, dove Mercurio è detto la spera,

Che si vela ai mortai con gli altrui raggi.

ch' è Dio; questo pensiero è rilevato dal Poeta nell' allegata terzina; onde poi soggiunge:

E quando gli desiri poggian, quivi

Si disviando, pur convien che i raggi

Del vero amore in su poggin men vivi.

I Santi invece, che menarono vita contemplativa son posti dal Poeta nel Cielo di Saturno, che è l'ottavo (1), e tal pianeta << sopra tutti gli altri pianeti è alto (2).

Appunto in Saturno al Poeta, non senza perchè, si presenta questa visione:

Di color d'oro, in che raggio traluce,
Vid' io uno scalèo eretto in suso
Tanto, che nol seguiva la mia luce.

Vidi anche per li gradi scender giuso

Tanti splendor, ch' io pensai ch'ogni lume,
Che par nel ciel, quindi fosse diffuso,

Par., xx1, 28-33;

e di quell' Anime beate, segue il Poeta, quali di là spiccavano il volo senza ritornarvi; quali, partitene, ritornavano al posto primiero; quali vi soggiornavano in gaudiosi movimenti.

Di questa Scala dice più sotto S. Benedetto a Dante che essa varcava fino all' Empireo, e soggiunge:

Infin lassù la vide il patriarca

Jacob isporger la superna parte,

Quando gli apparve d' Angeli si carca,

Par., xxII, 68-72;

L' Angelico così ragiona (3): "Jacob vidit Angelos ascendentes, quod pertinet ad contemplationem; et descendentes. quod pertinet ad actionem. 29

(1) Par., XXI e XXII.

(2) Conv., 11, 14; e le due proprietà, che quivi nota del pianeta di Saturno, sono assai bene applicabili alla Vita Contemplativa. Non è per questo da cre dere che solo nel Cielo di Mercurio ed in quello di Saturno vi siano beati di vita attiva o contemplativa, quando si pensi che la santificazione si consegue solamente per una di queste due vie; però in quei due Cieli Dante colloca i Santi che in modo particolare si diedero ad una di queste due Vite. I Santi Teologi del cielo del Sole furono e attivi e contemplativi.

(3) Somm., II II, 181, 4.

Nel Breviario Romano (1), di S. Romualdo, che è pure annoverato tra i Beati nel Cielo di Saturno (2), si legge: Spiritu etiam prophetiae non caruit. Scalam a terra coelum pertingentem, in similitudinem Jacob Patriarchae, per quam homines in veste candida ascendebant, et descendebant, per visum conspexit; eoque Camaldolenses monachos, quorum Instituti auctor fuit, designari mirabiliter agnovit.

Saviamente avverte il Lubin, che se Dante, seguendo Aristostele, parla delle due Vite attiva e contemplativa, come di mezzi a vivere felici in questo mondo, sul fine peraltro dell' ultimo tratto allegato testè dal Convito, egli le considera pure come vie spedite e sicure non solo a raggiungere la felicità temporale, ma pur anco l'eterna.

L'affermazione dell' egregio Dantista si potrebbe comprova re con molte testimonianze dell' Allighieri, il quale chiaro affermava che mortalis ista felicitas quodammodo ad immortalem felicitatem ordinatur (3); e che tanto di sovente, in ciascuna sua opera, fa a' suoi lettori invito di levarsi alle cose divine, svincolandosi dalle transitorie, le quali fan parer dritta la via torta (4). Certo, nella contemplazione delle magnificenze di Dio, quasi richiamo alle creature di quaggiù (5); egli vedeva un mezzo potente a sollevare le anime ai loro alti destini (6), a vincere le seduttrici battaglie (7), a conseguire quella libertà dello spirito, ch'egli andava cercando: e ch'era lo scopo supremo così del suo mistico viaggio, come del Poema.

(1) Die 7 Febr.
(2) Par., xx11, 49.
(3) Mon., 111, 15.

(4) Purg., X, 2.3.

(5) Purg., xiv, 148-151; Par., 1, 140-107.
(6) Purg. xv, 52-4; Par., x, 1 e segg.

(7) Purg., xix, 61-63. Dante, perchè la contemplazione sia davvero proficua, di frequente ci dà savio consiglio, quello cioè di non pretendere di speculare troppo addentro certe cose, che vincono il nostro intelletto: cf. Purg., 11, 37-39; xxxIII, 82-90; Par., XIX 79 e segg.; Conv., Iv, 5, e di frenare l'ardore della contemplazione, potendo anch' essa diventare inordinata (Purg., xxx11, 9). Nel suo De Aq. et Terr. §. xxII: "desinant ergo, desinant homines quaerere quae supra eos sunt, et quaerant usque quo possunt, ut trahant se ad immortalia et divina pro posse, ac maiora se relinquant. „

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APPENDICE XI.

SIMBOLISMO DEI NUMERI

I. Chi ha qualche famigliarità coi Padri, coi Teologi e cogli scrittori in genere del medioevo, sa con quanta cura s'ingegnassero di trarre dai numeri deduzioni simboliche. Sant' Agostino e S. Gregorio Magno in ciò vincono gli altri. Si legga quanto discorre il primo sul 3, 4, 38 e 40 (1), e il secondo sul numero 7 (2). Aristotele, citato da S. Tommaso, afferma che omne et totum in Tribus ponimus; e il santo Dottore nel medesimo luogo dichiara che omnis multitudo in tribus comprehenditur, scilicet principio medio et fine (3). In altro luogo discorre del 7, numero il quale universitatem significat (4). Del 10 cosi parla l'Angelico: „Denarius est quodammodo numerus perfectus, quasi primus limes numerorum, ultra quem numeri non procedunt, sed reiterantur ab uno (5).

Questo modo di considerare i numeri era ai tempi di Dante divenuto per sottigliezze una vera cabala: nè Dante, e per ra

(1) Tract. XVII. in Dann., post init, ed in Psalm. 86.

(2) Homil. 33 in Evang.

(3) Somm., II II, 702. E ibid., III, 53, 2:,, Com nendatur perfectio ternarii, qui est numerus omnis rei, utpote habeas principium, medium et finem. (4) Ibid., 111, 102 5, ad 5.

(5) Ibid., II 11, 87, I E altrove (ibil., III, 31, 8): II 10,, est perfectionis signum, in quantum est quodammodo terminus omnium numerorum, qui procedunt usque ad decem. E S. Agostino nel Serm. 44 de Verbis Domini: Multi sunt alii sine dubio suscitati, sed non tres frustra commemo

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