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a diciott'anni, sino a questo punto. Per me è un miracolo d'arte che l'alto elogio, il ringraziamento, la preghiera, l' espressione ultima e più potente di questo amore potentissimo finiscano con uno sguardo e un sorriso di lei, come aggradimento, come ultimo saluto, e che il sorriso e lo sguardo tosto ritornino a Dio e in Dio, quasi ultima espressione di quell'a mor santo, che a Dio avea condotto Dante, unico scopo:

Cosi orai; e quella si lontana,

Come parea, sorrise e riguardommi;

Poi si tornò all' eterna Fontana

Par., xxx1, 91-93.

Ma chi non sente nella preghiera di Dante che Beatrice fu anche donna vera? per quanto grande la fantasia del Poeta, per quanto singolare il suo ingegno e la sua arte, tanta fiamma vera e quasi sensibile non si può accendere da una allegoria, qualunque sia il suo nome, se sotto alla donna-simbolo non ci era la donna vera, che un tempo fece piangere di vero e inestinguibile amore l'anima del Poeta, quel grande e benefico amore, dal quale scaturi e si fece perenne tanta gloria, nonchè d'Italia, ma del mondo.

XVII. A me, in tutto questo dibattito per la Beatrice reale o puramente allegorica, ha fatto sempre specie questa considerazione: se Beatrice non fosse stata una donna vera, come avrebbe un seggio nel Paradiso cristiano? Soprachè, le donne del Poema, pur tolte qualche volta ad allegoria, furon creature in corpo ed anima, ora beate per il premio della loro virtù; così Maria e Lucia, Lia e Rachele e Matelda; e così Marta e Maddalena del Convito; e così, ditelo pure, donna vera è colei, di cui Dante per qualche tempo si fece schermo per nascondere il suo vero amore per Beatrice (1); e donna vera la donna gentile, del cui amore viziato poscia il poeta si pente (2), per quanto in appresso siasi ingegnato nel Convito di farne un simbolo della Filosofia. E donna vera Beatrice, nata di buon padre in Firenze nel 1266, e quivi

(1) Vita N., 8. 5.

(2) Vita N., 83. 36-40.

vissuta, e quivi morta il 9 Giugno del 1230 (1), e andò in Paradiso, e propriamente

su nel terzo giro

Del sommo grado.

Nel trono, che i suoi merti le sortiro

Par., xxx1, 67-69,

ove siede presso all'antica Rachele (2): e fu da quel beato scanno (3), da quel perpetuo cantare alleluja (4), che fu mossa da Lucia a correre in soccorso dello smarrito amante (5); ond'ella qual donna

(1) In bocca di Beatrice non avrà nessun valore questa espressione? saranno un gioco per la ragione dell'allegoria? dice ella di sè:

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(Purg., XXX1, 47-51).

Il Carducci in una di quelle dottissime note, onde fregiò l'edizione della Vita Nuova procurataci dal D'Ancona, al . xxx (dove Dante parla della morte di Beatrice avvenuta nel Giugno, che, secondo l'usanza di Soria, sarebbe il nono mese dell'anno), scrive: "Tutto ciò viene a dire, come dichiara il Fraticelli, "che Beatrice mori nella prima ora del nono giorno di Giugno 1290. E qui nota "molto a proposito il Dionisi (Preparaz. ist. crit., 11, 250): Se tutto ciò che l'autore " scriveva della sua Beatrice era finto, perchè affaticavasi egli a cercare fin nella "Siria il mese al nostro Giugno corrispondente, che là fosse il nono, quando comodamente finger poteva il transito di lei in novembre, che per vocabolo e 66 numero, all'uso fiorentino, è appunto il nono? E aggiunge il Torri: "Se "Beatrice fosse stata un ente immaginario e non reale, non si sarebbero preci"sati gli anni che visse, l'essere cristiana, e perfino il giorno e l'ora della sua morte. ."

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6.

(2) Inf., 11, 102.

(3) Inf., 11, 112.

(4) Inf., x1, 88.

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(5) Par., xxx11, 137.

di cielo (1) beata e bella (2) venne a Virgilio, e gli affidò l'alto ministero, al quale sarebbe ella poscia subentrata per gloria del mondo, per compiere la mirabile trama di quella immensa orditura, che il poeta aveva immaginata e divisata per ispirazione di lei; e così compissi per degno affetto il gran voto, che Dante aveva fatto risguardo alla sua Donna, cioè di dire di lei quello che mai non fu detto d'alcuna. E in omaggio a questi due innamorati, cosi benefici alla gloria d'Italia e al continuato incremento della sua letteratura, io son lieto di pubblicare queste pagine appunto in questi dì, che l'Italia con affetto riverente ricorda il secentesimo anno della morte di Beatrice (3).

(1) Pur., 1, 53 e 91.

(2) Inf., 11, 53.

(3) Questo volume doveva pubblicarsi lo scorso anno.

APPENDICE II.

LA SELVA SELVAGGIA E IL MONTE DILETTOSO

I. Della Selva selvaggia, nella quale Dante si smarrì, si è scritto già molto e in varia sentenza; e, piacendo a Dio, si continuerà a scriverne, senza tuttavia sperare, almeno per ora, che si arrivi una buona volta a finire la discussione, e che gli studiosi dell' Allighieri s' accordino nel medesimo concetto. Veramente i vecchi chiosatori (1) su questo, in generale, non erano dissenzienti, e nella selva ravvisarono senz'altro la condizione dell'uomo deviato dal bene e dalla rettitudine. Ma come in altre cose, anche su questa significazione si discostò in parte da loro il commento moderno, dando luogo a interpretazioni, che non solo, per chi ha un po' di pratica in questi studi, sono disformi affatto dalla mente dell' Autore, ma che offendono financo la ragione storica, come incontra di chi nella selva scorge il Priorato, ovvero l'Esilio. Ove si trattasse di scrittori dozzinali (e di siffatti ve n'ha pur tanti anche negli studi danteschi), si potrebbe dire che tali affermazioni fossero effetto d'ignoranza: ma d'uomini valenti, quali i propugnatori dell' Esilio e del Priorato, non si può dir altro se non che abbiano accolto que' sogni, pur in onta alla storia, per un certo amore di novità, del quale neppure i dotti sanno sempre mantenersi scevri; e soprattutto per non aver tenuto rigida fede alla stessa parola di Dante. Infatti, quanto alla ragione storica, bastava semplicemente osservare e rilevare quando precisamente lo smarrito Poeta si ritrovò per quella selva oscura; e codesto quando risorge chiarissimo dalle parole, che l'Autore altro

(1) Cf. BARTOLI, Stor. della Lett. It., VI, 1, 7, e segg.

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