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ex consueto prisci meatus alveo deflectentes in alterum labi non sinunt, in pristinum restaurari faciat. Parve ciò tanto facil cosa al Vescovo, che promise lo farebbe. Ma appena manifestò ai Vicentini tal desiderio dei Padovani, e volle imporlo quasi comando dell' imperatore, ne nacque tale subbuglio, che il Vescovo poté a mala pena salvarsi nella torre del Vescovado dal furore del popolo, che avea perciò posto mano alle armi. Né maggiore efficacia ebbero le lettere imperiali, che ordinavano apertamente: decursus aquarum per solitos alveos versus Paduam nequaquam per Vicentinos impediri, lettere che furono accolte a Padova con gridi di gioia, a Vicenza col disprezzo. E qui è dove i Vicentini si mostrano crudi al dovere. I Padovani non tollerarono in pace tanta caparbietà, ma come portavano le barbare consuetudini d'allora, crudi anch'essi al dovere, si vendicarono saccheggiando e bruciando i paesi del Vicentino fin dove potevano, talora fino alle porte di Vicenza; saccheggi ed incendii che provocarono da parte dei Vicentini altrettanti incendi e rapine nei paesi del Padovano:

Ma queste non erano che semplici avvisaglie; bisognava a viva forza cangiar nuovamente corso all' acqua, che bagna Vicenza, togliendola al palude di Lozzo, ove allora si scaricava, e rimettendola nell' alveo antico. Però tutto lo sforzo dei Padovani si rivolse ad impadronirsi a Longare della fatale serraglia e abbatterla. Mossero il loro esercito verso Vicenza, sperando sorprenderla, ma trovatala sull'allarmi fecero alto nei boschi presso il Tesina, mandando intanto un corpo verso Costozza a tentare il passo del Bacchiglione. Cane n'ebbe sentore; vi accorse rapidamente, come era suo costume, e sorprese i nemici parte affaccendati ad espugnare il baluardo di legno, parte sdraiati tranquillamente al rezzo sotto gli alberi. Impetuosamente li assalse e disperse. I feriti che avean cercato rifugio pei campi, vi morirono qua e là aut in alveo bifurcati amnis praecipites submerguntur. Furono inseguiti i fuggi. tivi sino al bosco del Tesina, ove erano gli accampamenti, che Cane avrebbe potuto facilmente espilare, ove non avesse temuto gli venisse tagliata la ritirata, o fosse sorpresa Vincenza, che egli avea lasciata scoperta. Nel ritorno trucidava i nemici, che erano sfuggiti al primo scontro, sed maxima horum turba in aquis praecipiti saltu demersa ut jugulum vitaret, in imo fluminis alveo suffocatur. Si quis vero nauta tranare potuit, ripis sedere re

pertus a ruralibus Canem sequentibus denique saucius pilo in medis undis obruitur. Haec namque strages supra quam virorum quatuorcentum numero magnam Cani suffecit audaciam. Cito queste parole del Ferreto perchè possono aver dato origine all' interpretazione del colorar l'acqua in sangue.

I Padovani intanto non iscoraggiti per questo rovescio, tentato invano di penetrar nel borgo di S. Pietro, si ripiegarono su se stessi fino al Tesina. Ivi ristoratisi in fretta di cibo e breve sonno, trasportano gli accampamenti a Secula di fronte alla famosa chiusa di Longare, ove giunsero in sull'alba e tosto summa illis cura fuit locum recenter obstrusum per solitos riparum meatus Paduam aggere moto dirigere. Ma ricompariva Cane co' suoi, e da star sull'opposta riva con saette ed altri argomenti tenea lungi i guastatori. Fu chiesto rinforzo a Padova, da cui accorsero volonterosi giovani e vecchi, oltre cento cavalieri e trecento pedoni mandati da Rizzardo da Camino, e bande di Cremonesi, e del Marchese Francesco d'Este, in tutto insomma un cinquantamila uomini e diecimila cavalli. Questo grosso stuolo avrebbe dovuto non solo sfondare le magre schiere dello Scaligero, arctumque fluminis alveum superare, ma radere al suolo Vicenza e Verona. Ubi multitudo, ibi confusio. Nacquero dispareri e si trasportarono gli accampamenti di fronte a Castegnero. Si tentò invano di costruire un ponte sotto gli occhi del nemico tenuto lungi dalla sponda con una tempesta di dardi. Cane, benchè avesse meno numeroso esercito, seppe tanto travagliarli, che male avvezzi ai disagi e colti per giunta da pestilenti malori, dovettero ritirarsi.

Sempre in quell' anno (1312), per istigazione di Nicolò da Lozzo, si volle ritentare la fallita impresa. Di nottetempo alla sordina l'esercito padovano giunse là, donde si era ritirato l' altra volta. Un picciol drappello passa quietamente il fiume, piglia alle spalle i pochi villani di guardia al ponte di Castegnero, li taglia a pezzi e getta nel fiume. Si buttan travi sulle stilate del vecchio ponte e l'intero esercito padovano passa al di qua. Indarno il podestà di Vicenza (Cane era a Verona) mandò alcuni mercenari per tener testa al nemico avanzantesi; quei pochi vengono dispersi, e l'esercito nemico occupa trionfalmente tutti i circostanti paesi, fermandosi a Costozza, dove snida quelli, che si erano rifugiati nel Covalo e ne depreda le masserizie. In

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terea Patavi aquae inopes intra moenia, accersitis undique fossoribus, declivem fluminis alveum per solitas inde ripas tellure obruta dirigunt. Compiuta cosi felicemente l'impresa, per cui si eran mossi, producto in amnem solito fluvio, spintisi per braveria a saccheggiar fin sotto le mura della città, tagliando viti ed olivi, e tutto ciò sotto gli occhi di Cane, che incapace ad opporsi si rigirava sui monti, si ritirano danneggiando tutta la parte meridionale della vicentina provincia. E qui rappresaglie si succedevano a rappresaglie, incendi a incendi, crudeltà a crudeltà per tutto quell'anno e per altri ancora. Tanto per allora Vicentini e Padovani eran lungi dal farsi eccellenti e relinquere la prima vita!

Tale in compendio è il racconto, che ci fa di quelle tristi vicende il Ferreto storico vicentino contemporaneo ai fatti, che narra; e precisamente questo racconto, che è riconfermato da quello del padovano Albertino Mussato, anch'esso testimone oculare, parmi limpido commento alla discussa terzina. Sono dipinte in esso anche troppo vivamente le discordie fra Vicentini e Padovani, e buon pretesto ad esse diviene l'acqua del Bacchiglione. I Vicentini la tolgono a Padova, mandandola mercè la steccaia di Longare nelle paludi di Lozzo; i Padovani accorrono armati a toglier l'impedimento, e ci riescono finalmente nel 1312. La profezia di Cunizza, che Padova al palude Cangierà l'acqua che Vicenza bagna, allora letteralmente si adempie.

APPENDICE XVII.

LE OPERE DI D'ANTE

PARTE PRIMA

LE OPERE MINORI.

« Lo studio (di Dante) ha da incominciare... « dalle Opere Minori, ch' ei disegnava come preparazione al Poema, per conchiudersi intorno alla Divina Commedia, corona dell'edificio, e«spressione poetica del concetto, ch' ei traduceva « politicamente nella Monarchia, filosoficamente « nel Convito, letterariamente nel libro per la « Lingua Volgare. Perchè Dante è una tremenda unità... e tutto Dante è un pensiero unico, seguito, sviluppato (MAZZINI, prefaz. all' ediz. della Div. Comm. illustr. da Ugo Foscolo).

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ARTICOLO I.

LA VITA NUOVA.

I. La Vita Nuova è una candida narrazione dell' amore di Dante per Beatrice, che insieme contiene il germe fecondo, da cui più tardi si doveva svolgere il grande soggetto della Divina Commedia; ed è, scrive il Giuliani, la prima nostra prosa volgare dove gli umani sentimenti siensi dispiegati con la maestria propria della Natura» (1). A differenza delle altre Opere di Dante, la Vita Nuova, se prestium fede al Todeschini, ci giunse « in

(1) La Vita Nuova ecc., pag. VI, Firenze, Succ. Le Monnier, 1883.

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