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APPENDICE III.

LE TRE FIERE

I. Accortosi Dante del suo smarrimento nella selva selvaggia, s' argomenta d' uscirne; giunto appiè d' un colle,

Là ove terminava quella valle

Inf., I, 14,

in che s'era perduto, e viste di quel colle le spalle

Vestite già de' raggi del pianeta,

Che mena dritto altrui per ogni calle

ivi. 17-18,

e riavutosi alquanto della fatica e della paura, s' accinge ad ascendere il monte; ma trova un forte ostacolo, che così ci descrive:

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Ed ecco quasi al cominciar dell' erta,

Una Lonza leggiera e presta molto,
Che di pel maculato era coverta.

E non mi si partia dinanzi al volto;

Anzi impediva tanto il mio cammino,
Ch' io fui per ritornar più volte vôlto.

Temp' era dal principio del mattino;

E il Sol montava in su con quelle stelle,
Ch' eran con lui, quando l' Amor divino

Mosse dapprima quelle cose belle;

Si che a bene sperar m' era cagione
Di quella fiera alla gaietta pelle

L'ora del tempo e la dolce stagione

ivi, 31-43.

E infatti giunge a vincere questa prima opposizione, e segue la sua via.

Appresso, altro ostacolo, e più forte, in guisa che il buon animo, in che si sentiva per la vittoria sulla Lonza, gli fugge e subentra la paura, per la comparsa d'un Leone: il Poeta lo de

scrive:

Questi parea che contra me venesse

Con la test' alta e con rabbiosa fame,
Si che parea che l' aer ne temesse

ivi, 46-48.

Ma supera anche l'opposizione del Leone, e prosegue il suo viaggio. Però ecco un terzo ostacolo, il più forte di tutti:

Ed una Lupa, che di tutte brame

Sembiava carca nella sua magrezza,
E molte genti fè già viver grame.
Questa mi porse tanto di gravezza,

Con la paura, ch' uscia di sua vita,
Ch'io perdei la speranza dell' altezza.

E quale è quei che volentieri acquista,

E giunge il tempo che perder lo face,
Che in tutti i suoi pensier piange e s'attrista;

Tal mi fece la bestia senza pace,

Che, venendomi incontro, a poco a poco
Mi ripingeva là, dove il Sol tace

ivi, 49.60.

Questi i tre impedimenti, che Dante trovò nell' ascendere il dilettoso monte.

II. Bisogna confessarlo; nei commentatori antichi c'è un singolare accordo nell'intendere nelle tre fiere la lussuria, la superbia e l'avarizia, secondo il testo dell'Apostolo S. Giovanni, che citano (Epist. 1, 2, 16): Omne quod est in mundo, concupiscentia carnis est (Lonza), concupiscentia oculorum (Lupa), et superbia vitae (Leone).

Quando il commento del sacro Poema cominciò a portarsi nel campo politico, il Marchetti, pur ravvisando nelle tre Fiere i vizi accennati, volle darvi una personificazione; e osservando che Dante rinfacciò con grande sdegno ai Fiorentini la disfrenata

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<lor lascivia; a Carlo di Valois la stolta ambizione, che lui spinse < vanamente al conquisto del reame di Napoli, e a Roma (quanto più spesso l'ira gli dettò) l'avarizia, › gli parve di scorgere Firenze nella Lonza, nel Leone il Valois, la Curia Romana nella Lupa; ma per ciò stesso il Marchetti si trovò obbligato, per salvare la cronologia, ad ammettere nella Selva l'esilio di Dante; il che sconviene all'intenzione stessa di Dante, per quanto credo d'aver dimostrato altrove (1): nondimeno all' interpretazione del Marchetti non mancarono nè mancano seguaci.

Più tardi Cesare Balbo, in quel suo commento critico de' due primi Canti dell'Inferno, che fa seguire al Cap. VII del Libro II della sua Vita di Dante, pensò che nelle tre Fiere si dovessero intendere i tre vizi predominanti in Firenze, specialmente ritratti dal Poeta per bocca di Ciacco (Inf., vɩ, 74) e di Brunetto (Inf., xv, 68), cioè l' invidia, la superbia e l' avarizia; e nella Selva, rispetto a Dante, scorge in particolare Firenze.

La spiegazione del Balbo non piacque a chi tien fermo ad escludere qualsiasi elemento politico da questi simboli e figure, elemento che, ad ogni modo, non si può escludere dal Poema, dove al religioso il politico si mescola manifestamente (2). Tuttavia si vede subito quanto la spiegazione del Balbo si discosti da quella del Marchetti ed altri, e come non si cada punto nella ragione politica, specialmente con qualche temperamento. Di vero, se la selva selvaggia raffigura in genere la condizione dell'umanità, che ha smarrito la via della virtù, questa selva per un dato individuo deve in pari tempo raffigurare di necessità un dato paese, una data condizione locale, che a quello smarrimento per i cattivi esempi fu d'impulso; onde, a parer mio, non si cadrebbe per nulla nel senso politico pur ammettendo nella Selva lo stato di qualsiasi uomo errante; e rispetto a Dante discernendo nella Selva Firenze, il luogo ov'egli fu a viver posto (Purg., XXIV, 7-9); e per simil modo nelle tre Fiere si possono intendere i generali ostacoli ch'ogni uomo errante si trova innanzi qualvolta dalla via del vizio voglia mettersi per quella della virtù; e per

(1) Cf. Appendice II, 2. 1 e segg.

(2) Basta leggere ciò che Dante pensa delle due felicità temporale ed eterna, alle quali l'umanità chiamata sotto due Guide differenti, per persuadersi di quanto qui affermo. Cf. Appendice V, 2. 1 e segg.

conseguente, risguardo al Poeta, gli ostacoli, le opposizioni interne per aver sì a lungo dimorato nella Selva, cioè nei mali abiti della colpa; ed esterne, provenienti dai mali esempi della gente, colla quale conviveva. E a bello studio ho detto ostacoli e opposizioni, anzichè vizii; ciò si mostra chiaro anche dal fatto, come notò un dotto critico (1), che Dante i suoi errori gli aveva già bastevolmente adombrati nello smarrimento per la Selva, onde non v'era bisogno di nuovi simboli: scprachè bisogna pure attendere che dal punto che Dante si ritrovò nella Selva, ossia s'accorse de'suoi errori, comincia tosto per lui la resipiscenza e il fermo proposito di allontanarsene, come per effetto lo mostra il tentativo di ascendere il monte.

III. Checchè sia di ciò, significhino le tre fiere gli interiori ostacoli, che s'incontrano al bene per l'abito del male, o gli ostacoli che ci vengono dal di fuori, o l' una o l'altra cosa insieme, la spiegazione non può trovare discordanza.

Dove non posso consentire coi commentatori, si è là dov'essi nella Lupa altro non veggono che l'avarizia. Su questo punto io dirò la mia opinione con tutta schiettezza; e giudichi il lettore

Se nella Lupa si ammetta esclusivamente l'Avarizía, in quale delle fiere sarà compresa la prodigalita? eppure nel quarto Cerchio dell' Inferno e nel quinto del Purgatorio i due vizi, mal dare e mal tener (Inf., vin, 58), hanno la identica pena; onde Stazio disse ai due Poeti:

la colpa che rimbecca

Per dritta opposizione alcun peccato,
Con esso insieme qui suo verde secca

Purg., XXII, 49-51.

Le parole di Virgilio a Dante intorno alla Lupa,

Molti son gli anima'i, a cni s' ammoglia,

Inf., I, 100,

hanno senso ampio, e ben si capisce che la Lupa deve avere un significato più che non sia semplicemente l'avarizia, come nell'uso comune viene intesa.

Parmi che Dante ci abbia discoperto egli stesso il vero sim

(1) I! BERARDINELLI, nel suo excellentissimo lavoro Il Concetto della Div. Commedia, 2. 193.

bolo, che racchiuse nella Lupa: il Veltro, (1) simbolo d'ogni giustizia, doveva essere il naturale nemico della Lupa, e doveva farla morire di doglia, cacciarla dal mondo e rilegarla nell' Inferno,

Là onde invidia prima dipartilla

Inf., 1, 11:

ed ecco il Veltro e la Lupa insieme in queste brevi parole della Monarchia (1, 13): remota Cupiditate omnino, nihil Iustitiae restat adversum. È sapiente la distinzione, che chiosando la Lupa, fa Pietro di Dante: Avaritia est duplex: nam uno modo immoderatus dicitur appetitus rerum temporalium, quae veniunt in usum et utile humanae naturae quaecumque pecunia extimari possunt: alio modo dicitur omnis immoderata cupiditas habendi quodcumque bonum; et sic est etiam invidiae et superbiae. Et de ista specie avaritiae loquitur. San Tommaso fa un vero ritratto della Lupa di Dante in queste parole (Somm. Th., 1 11, 84, 1): Cupiditas tripliciter dicitur. Uno modo, prout est appetitus inordinatus divitiarum; et sic est speciale peccatum. Alio modo, secundum <quod significat inordinatum appetitum cujuscumque boni temporalis; et sic est genus omnis peccati; nam in omni peccato << est inordinata conversio ad commutabile bonum. Tertio modo << sumitur prout significat quamdam inclinationem naturae cor<< ruptae ad bona corruptibilia inordinate appetenda. › E si deve ben avvertire che dell' Avarizia, propriamente detta, che è una specie soltanto della Lupa, ma non la Lupa in tutta la sua estensione, il S. Dottore ragiona in altra parte dell' Opera (11 11, 118, 1 e segg.).

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Se nel Sacro Poema c'è simbolo, che in tutto paja doversi riferire alla Lussuria, e alla conseguente cecità, che produce nel'uomo, è la strega, che a Dante viene in sogno all' entrare nella quinta Cornice del Purgatorio (XIX, 1-3, e 57-63); eppure, ad onta di tutte le apparenze, nessuno potrebbe ivi giustamente riferire tal simbolo esclusivamente alla Lussuria, dacchè la parola di Virgilio, interprete irrepugn bile, non senza grave ragione lo riferisce del pari all' Avarizia e alla Prodigalità, alla Gola e alla Lussuria; e in tutto questo io non ci veggo altro che la Lupa, nel senso vero che credo averle attribuito lo stesso Dante.

(1) Veggasi l'Appendice seguente.

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