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vero dicit quod fiebat nox, cum tamen non videatur stetisse per totum Infernum ultra tres dies naturales! Respondendum breviter quod auctor multum temporis expendit deliberando utrum aggrederetur tantum opus quod excogitaverat, nec ne: unde in praecedenti capitulo dixit: Ch'io fui per ritornar più volte volto. L'osservazione è giusta, non la spiegazione. Più probabile è che Dante credesse conveniente fingere accaduto di notte il suo ingresso nel regno infernale, e che a questa convenienza sacrificasse l'inverisimiglianza che il breve riposo, le titubanze, l' incontro colle belve, il dialogo con Virgilio occupassero dodici ore.

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Che Dante avesse buona ragione di scegliere la notte pel suo ingresso nell' inferno, lo ho toccato nella precedente Appendice (cf. 3. XVI), e perciò in questo consento col Bartoli. Mi piacerebbe però che il dotto Dantista nello svolgimento dell'azione del primo Canto dell' Inferno non iscorgesse nessuna inverisimiglianza, ma un fatto naturale semplicissimo.

Il Monte doveva essere alto assai, se è vero che mentre il Sole era alto tuttavia (forse verso le ore due pomeridiane) nella valle non penetrava (Inf., I, 60), appunto per l'ingombro che il monte faceva. Di più l'altezza d'un monte si desume dalla profondità delle valli; e Dante chiamò fonda la selva, ove s'era smarrito (Inf., xx. 129), con che rafferma l'altezza del monte. Inoltre, quantunque il Poeta non lo dichiari, ci obbliga ad ammettere 1) che nel triplice contrasto colle tre fiere fra l'una e l'altra dovette esserci di mezzo non breve intervallo di tempo, nel quale Dante continuava l'ascesa : 2) che la lotta col Leone dovette essere più vigorosa e lunga che non quella colla Lonza; e quella colla Lupa, per conseguente, più viva e persistente di quella col Leone.

La crescente violenza del contrasto si deve desumere dalle condizioni morali del Poeta, e da attento esame tra la prima e la terza opposizione (vv. 34-43, e 52-60).

Che vi sia stato non breve spazio di tempo tra l'una e l'altra fiera, lo si prova dalla precisa testimonianza del Poeta. Infatti vedemmo alto assai il monte; proprio quasi al cominciar dell'erta (v. 31) trova la Lonza, e in pochi versi si spaccia della narrazione di tutte e tre le fiere, come il rinnovato contrasto fosse avvenuto con tutte nel medesimo luogo. Ma le parole risguardo alla Lupa

Questa mi porse tanto di gravezza...
Ch'io perdei la speranza dell'altezza

(vv. 52-54),

ci fan chiaro capire ch'era arrivato bene in su; e ciò viene confermato dalla similitudine, che tosto segue, e specialmente dal confronto tra l'acquistare e il perdere; e ancor più dall'espressione Venendomi incontro, a poco a poco Mi ripingeva là dove il sol tace

vv. 59-60;

al che mette come suggello il ruinare in basso loco, che tosto seguita, dove vede ognuno implicita l'idea dell'altezza. Quelli poi tra i chiosatori che nelle parole di Virgilio a Dante

Dinanzi a quella fiera ti levai,

Che del bel monte il corto andar ti tolse

Inf., 11. 120,

intendono il corto andar per la vicina sommità del monte, ancor meglio danno ragione alle mie induzioni. Però, tale spiegazione del corto andar non parmi accettabile, quando si ripensi il significato del bel monte, e si accolga il noto adagio nemo repente pessimus, nemo repente optimus; onde il corto andar s'ha da intendere per la via più breve, la quale posson battere le anime, che non si smarrirono sì gravemente nella selva, mentre per Dante giunto sino al passo,

Che non lasciò giammai persona viva,

era mestieri giungere al monte per via troppo più lunga. Ad ogni modo, pur senza il sussidio di quest'ultima interpretazione, abbiam veduto bastevoli argomenti per conoscere come Dante abbia speso la prima giornata, perchè con verità potesse far capo al II Canto colle parole: Lo giorno se n'andava.

APPENDICE IV.

IL VELTRO

I. Può parer cosa strana che ancora si creda opportuno di parlare di questo Veltro, dopo che tanto se n'è parlato e da uo. mini valentissimi; ma, purtroppo, l'accordo fra i disputanti non è ancor fatto, e credo che si tosto non si farà. Qui, più che in qualsiasi altra quistione dantesca, sarebbe cosa lunga annoverare anche solo i principali scrittori, che del Veltro più o men diffusamente trattarono, e le opere, alcune notabili per ingegno ed erudizione, che se ne scrissero. D'altra parte, siccome io non mi propongo di confutare le altrui opinioni, ma solo di dire schiettamente la mia, così non è necessario ch' io rechi in mezzo nè scrittori, nè opere, a tutti professando debito rispetto e stima, che non possono scemarsi per differenza d'opinione.

Nel disputato Veltro molti ravvisano un Papa indeterminato; parecchi altri un Papa determinatissimo, cioè S. Benedetto XI (1); pochi un Imperatore, e qualcuno inchinerebbe per Enrico VII: i

(1) La cosa ha apparenze di vero; nato di pastori a Treviso, vi scorgono che conviene così il verso e sua nazion sirà tra Feltro e Feltro: di più, essendo della Regola di S. Domenico, e i Domenicani avendo nel loro stemma un cane levriere, il Veltro, secondo loro, è bello e trovato. 'Il Betti però vorrebbe leggere tra feltro e feltro, cioè vissuto tra le lane de'pastori e le lane di S. Domenico. Il Bennassuti invece non vorrebbe che fri Feltro e Feltro indicasse il territorio tra Montefeltro in Romigna e Feltre nella Marca Trivigiana, e scrive: " I suoi genitori (nazion) erano di un sobborgo di Feltro. Il sobborgo è sempre quel luogo tra la città e la provincia; dunque tra Feltro città e Feltro provincia. » (Crede il lettore che questo dunque del Bennassuti sia un po' tirato ?) E prosegue: «< Se erano pastori, luogo è da ciò. Egli però, conosciuto per Nicolò Boccasino, nacque a Trevigi, forse per trovarsi colà nel verno la greggia paterna. Ecco: certi dunque, e certi forse, in argomenti così gravi, non mi vanno. Cf. 3. XVI.

più vi scorgono Cangrande della Scala, in appresso signore di Verona; altri sostiene che il Veltro debba essere Uguccione della Fagiuola, Lodovico il Bavaro, o Matteo Visconti; e chi Dante stesso e il suo Poema (1); per altri è Cino da Pistoia, è Botticello Bonacossi di Mantova, è Castruccio Castracani (2); altri ancora, in un momento di buon umore, per non dir peggio, vi intravidero Lutero, o Guglielmo I Imperatore di Germania, o Garibaldi, o Vittorio Emanuele, e nella Lupa il Cardinale Antonelli e M.r De Merode! (3).

Dunque lasciamo le erudizioni, e proviamo se ci venga fatto di conoscere il Veltro col solo sussidio delle Opere di Dante; anzi chiediamo a lui che ci spieghi questo enigma forte.

II. Prima di tutto attendiamo alle parole di Virgilio riguardo alla Lupa:

Molti son gli animali, a cui s'ammoglia,

E più saranno ancora, infin che il Veltro
Verrà:

Inf., 1, 100-102;

profezia del tutto indeterminata, sì che il Veltro sarebbe potuto venire tanto l'anno appresso, quanto un secolo dopo. Nel Purgatorio (xx, 10 e segg.), Ugo Capeto, dopo di avere imprecato alla Lupa maledetta, dice:

O Ciel, nel cui girar par che si creda
La condizion di quaggiù tramutarsi,
Quando verrà per cui questa disceda?

(1) Quest'opinione, già prima sostenuta dal Missirini (cf. Vita di Dante, Parte II, cap. XIX), fu poco fa propugnata con molto ingegno dal conte Ruggero della Torre col suo Poeta- Veltro (Cividale, 1887), lavoro che è un più ampio svolgimento di ciò che l'autore un anno prima col pseudonimo di Graziella, aveva già accennato col suo Saggio su Dante (Roma, 1886). Anche non potendo consentire coll' egregio giovane nel finale intento e nella qualità delle prove a riconoscere nel Veltro Dante stesso e l'opera sua, non si potrà negargli una conoscenza poco comune delle opere di Dante.

(2) Di costoro, più che tutto, vale la parola dell' Arrivabene: «Ma già di Veltri, a cui bastassero a cibo sapienza e virtù, o non nacque il primo, o si spense nel canile la razza. »

(3) Cf. BARTOLI, Stor. Lett. It VI., I, pagg. 209 e segg.

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