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benevolo e attento e docile l'uditore; e ciò massimamente in causa di genere ammirabile. Or tale essendo la materia del presente trattato, perciò nel principio dell' esordio o prologo si comprendono quelle tre cose. Imperocchè l'autore dice, che canterà tutto che potè ritenere di quanto ei vide nel primo Cielo, e quindi per le utili cose a dire si procaccia la benevolenza; per la loro ammirabilità, l'attenzione; per la possibilità, la docilità. All' utilità accenna quando propone di narrare quelle cose che massimamente lusingano l'umano desiderio, cioè i gaudi del Paradiso; ne avverte l'ammirabilità, promettendo di cantare materia si ardua e sublime, come sono le condizioni del regno celeste; e ne dimostra la possibilità, allorchè s'accinge a dire quel tanto che potè ricordarsi, perchè se potè egli, altri ancora il potranno. Queste cose tutte si toccano in quelle parole dov' ei conta d'essere stato nel primo Cielo, e di voler ritrarre ciò che del regno santo gli fu dato di conservare, quasi tesoro, nella sua mente. Cosi veduta la bontà e perfezione della prima parte del prologo, è da procedere alla sposizione della lettera.

XX. Dice adunque che la gloria del primo Motore, che è Dio, in tutte parti dell' universo risplende, ma cosi che in una parte sia più, e in altra meno. Che risplenda dovunque, il manifesta la ragione e l'autorità. La ragione dice: ogni cosa che è, o ha l'essere da sè o da altro; or consta che aver l'essere da sè non conviene se non ad Uno, Primo o Principio, che è Dio; dappoi che l' essere non importa per sè la necessità dell' essere, e questa non compete se non ad Uno, Primo o Principio che vogliasi dire, causa dell' universo. Adunque tutti gli enti, fuorchè quest' Uno, hanno l'essere da altro. Se adunque si prenda l' ultimo o qualsiasi degli enti universi, è manifesto che il suo essere da altro dipende; e quello da cui l' ottiene, o l'ha da sẻ o da alcun altro; e così, giusta che si dimostra nel secondo de' Metafisici, vi sarebbe un processo infinito nelle cause agenti. Il che non

Metaphysicorum. Quod quum sit impossibile, erit devenire ad Primum, qui Deus est. Et sic, mediate vel immediate, omne quod est, habet esse ab Eo; quia ex eo quod causa secunda recepit a prima, influit super causatum ad modum recipientis et reiicientis radium, propter quod causa prima est magis causa. Et propter hoc dicitur in libro de Causis « quod omnis causa primaria plus influit super suum causatum, quam causa universalis secunda. » Sed hoc quantum ad esse.

XXI. Quantum vero ad essentiam, probo sic: Omnis essentia, præter primam, est causata; aliter essent plura, quæ essent per se necesse; quod est impossibile. Quod causatum est, vel a natura, vel ab intellectu; et quod a natura est, per consequens causatum est ab intellectu, quum natura sit opus intelligentiæ. Omne ergo quod est causatum, est causatum ab aliquo intellectu mediate vel immediate. Quum ergo virtus sequatur essentiam, cuius est virtus; si essentia sit intellectiva, virtus tota est unius, quæ causat. Et sic, quemadmodum prius devenire erat ad Primam causam ipsius esse, sic nunc, essentiæ et virtutis. Propter quod patet, quod omnis essentia et virtus procedat a Prima, et intelligentiæ inferiores recipiant quasi a radiante, et reddant radios superioris ad suum inferius, ad modum speculorum. Quod satis aperte tangere videtur Dionysius, de cœlesti hierarchia loquens. Et propter hoc dicitur in libro de Causis quod omnis intelligentia est plena formis. Patet ergo quomodo ratio manifestat, divinum lumen, id est divinam bonitatem, sapientiam, et virtutem resplendere ubique.

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XXII. Similiter etiam, ac scientia, facit auctoritas. Dicit enim Spiritus Sanctus per Hieremiam: Numquid non cœlum et terram ego impleo?; » et in Psalmo: « Quo ibo a spiritu tuo? et quo a facie tua fugiam? Si ascendero in cœlum, tu illic es: si descendero in infernum, ades. Si sumpsero pennas meas» etc. Et Sapientia dicit, quod Spiritus Domini

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potendosi avverare, si dovrà riuscire ad un Primo, che è Dio. E quindi tutto ciò che è, mediatamente o immediatamente ha l'essere da Quello. Ond' è, che la causa seconda procedendo dalla prima, opera verso il causato a maniera di specchio, che riceve il raggio e lo riflette. Il perchè la causa prima è più causa, e nel libro delle Cagioni si dice « come ogni causa primaria opera di più sopra il suo causato, che non la causa seconda universale. E ciò quanto all' essere ;

rispetto poi all' essenza, eccone la prova.

XXI. Ogni essenza, dalla prima infuori, è causata; altrimenti vi sarebbero più cose stanti per sè, il che è impossibile. Perocchè il causato, è o dalla natura o dall' intelletto; ed essendo la natura un'opera dell' intelligenza, ne segue che sia causato dall'intelletto ciò che è dalla natura. Adunque tutte le cause sono con mezzo o senza mezzo causate da qualche intelletto. Ma la virtù derivando dall'essenza della cosa di cui è virtù, se l'essenza sia intellettiva, la virtù sarà tutta e solo dell'essenza causante. E come sopra si venne alla Prima causa dell' essere, così ora alla Prima essenza e virtù delle cose. Donde si chiarisce che ogni essenza e virtù procede dalla Prima, e che l'intelligenze inferiori prendano i raggi dalla superiore, quasi da un sole, e a modo di specchi li rendano alle sottostanti. Del che Dionisio tocca apertamente, parlando della celeste gerarchia. E quindi leggiamo nel libro delle Cagioni che ogni intelligenza è piena di forme. » Ed ecco or dunque come la ragione renda manifesto che il divino lume, vale a dire la divina bontà, sapienza e virtù risplende in tutte parti.

XXII. Similmente che la scienza, il dimostra l'autorità. Imperocchè lo Spirito Santo per Geremia dice: « Forse che io non riempio e cielo e terra? » e nel Salmo: « Dove potrò sottrarmi dal tuo spirito? e dove ascondermi dalla tua faccia? Se mi solleverò in cielo, ivi tu sei; se discenderò in inferno, eccoti. Se prenderò le mie penne, ec. » E nella Sapienza si

replevit orbem terrarum. Et Ecclesiastes, quadragesimo secundo: Gloria Domini plenum est opus ejus. Quod etiam scriptura paganorum contestatur; nam Lucanus in nono: Jupiter est quodcumque vides, quocumque moveris.

XXIII. Bene ergo dictum est, cum dicit quod divinus radius, seu divina gloria, per universum penetrat et resplendet. Penetrat, quantum ad essentiam, resplendet quantum ad esse. Quod autem subiicit de magis et minus, habet veritatem in manifesto; quoniam videmus aliquid in excellentiori gradu esse, aliquid vero in inferiori; ut patet de cœlo et elementis, quorum quidem illud incorruptibile, illa vero corruptibilia sunt.

XXIV. Et postquam præmisit hanc veritatem, prosequitur ab ea circumloquens Paradisum; et dicit, quod fuit in cœlo illo, quod de gloria Dei, sive de luce recipit affluentius. Propter quod sciendum, quod illud cœlum est cœlum supremum, continens corpora universa, et a nullo contentum; intra quod omnia corpora moventur (ipso in sempiterna quiete permanente), a nulla corporali substantia virtutem recipiens. Et dicitur empyreum, quod est idem quod cœlum igne sive ardore flagrans; non quod in eo sit ignis vel ardor materialis, sed spiritualis, qui est amor sanctus sive caritas.

XXV. Quod autem de divina luce plus recipiat, potest probari per duo. Primo, per suum omnia continere et a nullo contineri; secundo, per sempiternam suam quietem sive pacem. Quantum ad primum, probatur sic: continens se habet ad contentum in naturali situ, sicut formativum ad formabile, ut habetur quarto Physicorum. Sed in naturali situ totius universi, primum cœlum est omnia continens; ergo se habet ad omnia, sicut formativum ad formabile; quod est se habere per modum causæ. Et quum omnis vis causandi sit radius quidam influens a prima causa,

legge che lo Spirito del Signore riempi l'universo. » E l' Ecclesiaste nel XLII: « Della gloria del Signore son piene le sue opere. Il che la stessa scrittura de' pagani cel rafferma; infatti, Lucano nel IX: Quanto vedi, dovunque ti muovi, è Giove. »

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XXIII. Bene adunque è detto, che il divino raggio ossia la divina gloria- per l'universo penetra e risplende. Penetra, quanto all'essenza; risplende, quanto all'esistere. Quello che di poi soggiugnesi del più e del meno, è verità palese: poichè vediamo alcuna cosa stare in grado più eccellente, e tal'altra in uno inferiore; come si verifica del cielo e degli elementi, però che quello è incorruttibile e corruttibili questi.

XXIV. Premessa questa verità, fa una circonlocuzione del Paradiso, con dire: ch' ei fu nel Cielo, che più della gloria di Dio, ossia della sua luce prende. Per ciò vuolsi sapere che quello è il cielo supremo, contenente i corpi universi e non contenuto da altri; dentro al quale tutti i corpi si muovono, rimanendo esso in sempiterna quiete, nè da niuna corporale sostanza derivando la sua virtù. E chiamasi empireo che val quanto cielo fiammante di fuoco ovvero d' ardore, non perchè ivi si trovi fuoco o ardor materiale, ma soltanto spirituale, che è l'amor santo ossia la carità.

XXV. Che poi riceva più della divina luce, se ne possono recar due prove; la prima, perchè l'empireo tutte cose contiene e da niuna è contenuto; la seconda, per la sempiterna sua quiete o pace. E quanto alla prima: nell' ordine naturale il contenente sta rispetto al contenuto, siccome il formativo al formabile; ciò si nota nel quarto de' Fisici. Ma nell'ordine naturale dell' universo il primo cielo contiene il tutto; adunque verso il tutto esso avrà relazione come il formativo al formabile, vale a dire come causa. Ed essendo ogni forza causante un raggio proveniente dalla prima causa che

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