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parola che poi ripete a Minosse; e a Pluto:

Non è senza cagion l' andare al cupo:
Vuolsi cosi nell' alto, ove Michele
Fe'la vendetta del superbo strupo:1

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Securo già da tutti i vostri schermi,
Senza voler divino e fato destro?;'

lasciando a lui argomentare da questa meravigliosa sicurezza, ond' era dotato, l'onnipotenza di Colui che lo mandava. Similmente l'angelo a'demoni di Dite:

O cacciati del Ciel, gente dispetta,...
Perchè ricalcitrate a quella voglia,

A cui non puote il fin mai esser mozzo
E che più volte v' ha cresciuto doglia?
Che giova nelle fata dar di cozzo?

V'ha però luogo del XIX dell'Inferno, che par contradire a questa mia dimostrazione, ed è quello ove il Poeta esclama:

O somma Sapienza, quanta è l' arte

Che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,

E quanto giusto tua virtù comparte!

Ma, se bene s'attenda il più riposto senso di queste pa

1 Inf., VII.

2 Ivi, XII.

8 Ivi, XXI.

" Ivi, IX.

role, dovrà riconoscersi che non la sola Sapienza, si l'intiera Trinità è qui sotto il nome di Sapienza bellamente rammentata, raccogliendovisi con potente sublimità di sintesi le tre opere dell' alto provveder divino in cielo, in terra e nel mal mondo, cioè sulla città perduta e su quella ricreata da Dio, prima combattuta sulla terra, poi gloriosa nel cielo. Onde al mal mondo non è da riferire tutta intera la invocazione, come chi riferisse il tutto alla parte, ma si l'ultima sentenza: « E quanto giusto tua virtù comparte, » colla quale appunto si tocca la virtù o potestà del Padre, nel cui governo può dirsi che la giustizia apparisse più manifesta della misericor. dia, secondo quello di Tommaso: « Certe opere si attribuiscono alla giustizia, cert' altre alla misericordia; perchè in alcune si fa più vivamente palese l'opera della giustizia, in altre quella della misericordia. » '

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Come allo svolgimento di ogni materiale semenza è necessario il calore di questo sole visibile e temporale; così, perchè la semenza più nobile dello spirito, gittata dalla potestà del Padre, s'apra e germogli, fa d'uopo che la riscaldi e l'avvivi colla sua luce ardentissima il sole invisibile eterno della sapienza del Figlio. Antico

Somma teologica, parte prima, quest. XXI, art. 4.

2

La bella comparazione della terra, che, spoglia della neve e sciolta dai geli tenaci, a' lieti soli di primavera si rinnovella di verzure e di canti (Parad., II, 106), può ben riferirsi anco all'intelletto delle nazioni, venute sotto il governo del Cristo.

1

pensiero questo, che tacito forse già mosse i primi Cristiani a pregare rivolti verso l'Oriente; e che, nobilmente significato da' Padri, ne aiuta a meditare quella sapienza increata, lume di vita alla famiglia universale di tutti gli spiriti, che l'umanità fatta cieca nell'antica notte ralluminò per modo da renderle in ogni tempo vivace la vista del bene. « Per niun'altra cosa (così il dot» tissimo Pico) più convenientemente possiamo raffigu>> rare il Cristo che pel Sole. Imperocchè e nel Sole pose >> il suo tabernacolo e uscì della tribù di Giuda, che ha >> per insegna il leone, animale solare: e mentre Pla» tone nella Repubblica chiama il Sole visibile figlio » di Dio, perchè noi nol piglieremo ad immagine del » figlio invisibile? Il quale, se è luce vera che illustra > ogni intelletto, ha evidentissima somiglianza in que»sto Sole, luce apparente che illustra ogni corpo.... » Or non è meraviglia se un così alto e cristiano pensiero piacque tanto all'altissimo e cristianissimo Cantore de' tre regni, che e' ne fece, quasi direi, l'anima di buona parte del suo poema. Ed invero a quel colle vestito de' raggi del pianeta, che mena dritto altrui per ogni calle, figura della perfezione civile irraggiata dal Cristo, leva gli occhi il Poeta appena uscito dalla selva selvaggia e aspra e forte; e, impedito poi nel cammino dalla lonza, si rincuora e s'affida nel mistico Sole, che vede muovere in su, cioè guidare il cammino dell'umanità, con quelle stelle, Ch' eran con lui quando l' Amor divino Mosse da prima quelle cose belle, cioè cogli angeli, chiamati da Giob stelle mattutine, che per la precognizione dell'ordine delle cause precedettero il movimento della creatura corporea, e così

2

1 Eltaplo, IV, 8. Vedi su questo anco Bonaventura nel suo Breviloquio e il Cattani nell' Essamerone.

2 Vedi sopra al cap. 4, distinzione prima della parte prima.

furono per intelletto presenti all'atto creativo.' Ma questi non sono che pochi tocchi lievissimi appetto ai molti e vivi, che incontriamo in quel secondo regno, ove l'umano spirito si purga; i cui felici pellegrini nella sapienza del Cristo, siccome abisso di luce perenne, tengon fitto lo sguardo con amore crescente, nè se ne partono mai lungo tutta la faticosa lor via. E bene sta; chè il Sole della sapienza incarnata è unica scorta all'umana famiglia, cosicchè questa non può dar passo nella via della vita e morale e civile, se quel Sole divino non le porga della sua luce; la quale però (vedi verità di poesia!) non sempre uguale vien pôrta, ma ad ora ad ora, come l'umanità s'avanza nel bene, più diritta scende e più chiara, finchè non le riluca in fronte limpidissima e viva a rabbellirne l'ampiezza e il candore, immagini delle più alte virtù dello spirito. Nè questo è artifizioso commento, ma pensieri che spontanei rampollano dalle più intime vene del poema; avvegnachè il Sole, come simbolo di Cristo, sia ricordato per ogni dove si convenisse, 3 e specialmente nel Purgatorio ne sia celebrato in moltissimi luoghi l' ufficio e la virtù di condurre gli uomini per la diritta via: ma fra tutti notevolissimo e veramente cospicuo è il luogo del canto XIII del Purgatorio, che reca come Virgilio, dub.

1

3

Agostino, De Genesi ad litt., IV, 41.

2 « E'l buon Sordello in terra fregò 'l dito,

Dicendo: Vedi, sola questa riga

Non varcheresti dopo 'l Sol partito. »
Purg., VII.

Anco dove, riguardando la sapienza del patire nel suo fonte divino, chiama Cristo Elios, ha l'animo a questo simbolo; dacchè Elios a' Greci fu il Sole, e Apollo, secondo la forma cretese, fu detto Abelios, appunto perchè gentile deificazione del giorno e della sua bellezza ispiratrice.

FRANCIOSI.

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bioso sull' eletta del cammino, fisamente al Sole gli occhi pôrse, e poi tutto rinfrancato:

O dolce lume, a cui fidanza i' entro
Per lo nuovo cammin, tu ne conduci,
Dicea, come condur si vuol quinc' entro:
Tu scaldi 'l mondo, tu sovr'esso luci:
S'altra cagione in contrario non ponta,
Esser den sempre li tuoi raggi duci.

Dove io non so se più sia da meravigliare il vivo affetto, o l'efficacia del dire, o la sottigliezza de' riposti pensieri, accennando visi le due operazioni di Cristo sull'umanità, luce di vero nell'intelletto, caldo di amore nell'animo. E della prima operazione, più propria di lui e più diretta, il Poeta ne adombra il procedere altissimo e segreto là dove prepara i lettori alla contemplazione della Cagione prima in sè stessa, dico nel XXX del Paradiso, per quella riviera di luce, ond' escono le faville vive degli angelici Amori e onde pigliano vita i fiori delle umane virtù nell'una e nell'altra riva, cioè ne' due tempi, in cui si parte la vita dell'umanità. Ma, si come la gronda delle sue palpèbre bevve di quell' onda luminosa, e' vide la riviera di sua lunghezza divenuta tonda: cioè dal fuggevole dilungarsi de' secoli levò il pensiero alla stabile eternità, ove la luce del Verbo, meglio che fiume scorrente a fecondare gli ascosi germi, è sconfinato e limpidissimo lago, in cui la famiglia del cielo specchiasi per mirarsi adorna e per avvivar sua letizia della verace bellezza di tutte cose. Da questo lago senza fondo il divino Poeta fa germinare la rosa dell'in

' Così nel Paradiso, XV:

2

Al Sol, che v'allumò e arse. »

2 Parad., XXX, 109, 114.

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