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chio, pigliando quel che può dell'albore diffuso, pur vi s'affissi e non tremi. Or da quali fantasmi poteva meglio trasparire ed esser temperato ad un tempo il sommo vero favellato dall'Alighieri, che da que' due della luce e delle tenebre? Io non credo necessario di menarvi per molte parole in cosa di tanta perspicuità: solo mi basti accennare che l'immagine della luce fu sempre interposta tra l'intelletto e l'essenza del bene, come per contro l'immagine delle tenebre sempre ricorse spontanea tra l'intelletto e l'essenza del male; sicchè ormai possa dirsi che al bene e al male sieno que' due fantasmi congiunti quasi ad anima il corpo. Se non che, l'evidenza e la gentilezza dei supremi fantasmi della dantesca Simbolica è da reputare, meglio che al Poeta, alla cristiana tradizione che glieli porse. Ma l'alta fantasia non li ricevette come specchio l'immagine, si come vivace terra il buon seme; e da quelli trasse ordinata generazione di simboli minori, che sensibilmente raffigurassero il processo intimo e riposto tanto del male, quanto del bene. Sottil cosa questa e che sfugge all'osservazione dell' uomo: chi mai pensò lo spirito, chi ne seppe il quanto e il quale? Pur, se mettiamo l'occhio ai fantasmi del Poeta, in parte e ad umana misura avviseremo il vero. Vuoi tu vedere come si corrompa lo spirito? Ecco, poni l'occhio in quell'abisso tenebroso e osserva lo sfarsi lento della materia, che, travolta per deficienza di luce dalla prima forma e bellezza, si fa ognor più sorda e più cieca e più deforme. Il principio della vita incorruttibile non è nello spirito, ma gli viene dall'alto: s'ei non l'accoglie, corrompesi; come appunto sanità e fecondità mantengonsi nei corpi per amor della luce, onde senz'essa anco i più saldi si disfanno. Vuoi tu vedere la segreta operazione del bene? Guarda in alto, su pel monte felice, e quel nuovo riso di cielo, quell'armonia

di moti soavi, quell' ingentilire della materia per virtu della luce ti disporranno la mente alla visione del vero. Ecco: a quella guisa che la candida luce dalle supreme altezze, ove abita, scende e sveglia la briosa varietà dei colori, e qui verdeggia, là s' imbianca, più su disfavilla; Iddio dalle invisibili altezze, ove si cela, scende e sveglia nell'anima i raggi riflessi e i colori delle gentili virtù: il verde della speranza, il tremulo scintillare dell'umiltà, il quieto raggio della pace, il candido lume della pietà, il fiammeggiare dell' amor fraterno e più della vigorosa temperanza, che tutto affrena. O mirabile fantasia, chesi potente bellezza generasti del tuo fecondissimo grembo! Per te io mi sento levato sopra me stesso a quel sommo vero, che dentro te scintillò ardente e lieto, siccome stella in cielo. E tu, bellissima luce, che fosti simbolo sovrano a cotanta fantasia, e che sempre mi torni d'ogni parte al pensiero, ben mi parli alte e soavi cose. Tu sei dovunque è gentilezza e amore, e per l'ampio dei cieli e nelle valli fiorite e sulla gioiosa pupilla; tu, pensata, sei ricchezza della mente, sei dolcezza della parola e dell'arte, ove più alto volino, seguendo il sublime rapimento del cuore. Chè se da te salgo a quell'infinità di luce ineffabile, onde sei figura lontana, e la contemplo nell'amorosa imitazione degli spiriti creati,

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Per tanti rivi s' empie d'allegrezza

La mente mia, che di sè fa letizia,

Perchè può sostener che non si spezza.

Intorno alle varietà dell' angelico lume tratte a morali intendimenti, vedi i Sette cerchi del Purgatorio dantesco, superbo lavoro di Paolo Perez.

2 Parad., XXIV. All' imo del monte sacro il Poeta vede rider tutto l'Oriente del bel pianeta, che ad amar conforta. Amore e verità sono a lui come luce e ardore di unica stella.

CONCLUSIONE.

La innamorata fanciulla, poichè ad uno ad uno colse i fiori del campo, apre l'odoroso grembo e si piace di riguardare i raccolti colori. Cosi facciamo noi su questo affettuoso raccoglimento di bellezze dantesche; riguardiamole tutt'insieme adunate, chè suole a riguardar giovare altrui.

Belle ci appariscono le Metafore, bellissime le Similitudini, stupendi i Simboli. Ma qual'è, per così dire, la vita ascosa, onde muove si lieta apparenza, il segreto di siffatte bellezze? Intentamente pensando la perfetta limpidezza delle dantesche Metafore, io ne veggo il segreto nella schietta visione del vero e nella terribile rapidità dell'intelletto del Poeta: giacchè per quella visione egli acquistò come un'arcana famigliarità cogli esemplari delle cose, sì che ne conoscesse, quasi direi, il volto e i movimenti e il suono, e per quella rapidità affissò nella fugace parola le più intime e più riposte relazioni delle cose; relazioni, da cui deriva ogni bontà e leggiadria di metafora. Meditando poi sulla straordinaria varietà e sull' incomparabile vivezza delle Similitudini, io ne trovo la ragione principalmente nell'acume del giudizio e nell'abito dell'osservare, onde quasi non isfuggì al Nostro alcuno degli aspetti notevoli delle cose; nello squisito senso dell'arte, pel quale delle osservate cose valse a cogliere la parte più eletta o meglio spiccata; e nella profonda gentilezza dell'anima, che, quasi cetra ben

temprata, rese intera la nota delle più gentili affezioni. Tornando per ultimo ai Simboli, e'mi paiono figli di una vigorosa e purissima fantasia, levata sempre e per ispirazione e per abito al di sopra delle sensibili cose, dal segno visibile all'invisibile verità: fantasia, onde m'è lieta figura quella vergine raffaellesca, che tien l'occhio e l'animo a non più visti sereni, da cui vien luce e armonia. Brevemente, le principali cagioni dell'evidenza dantesca (studiata da me nelle Metafore, nelle Similitudini e ne' Simboli) sono queste: chiarezza e vigoria di mente, senso finissimo dell'arte e spirituale agilità di fantasia. Or come queste rarissime qualità, ciascuna delle quali basterebbe a far grande un poeta, trovaronsi in Dante congiunte insieme per modo che forse più non fu mai in alcuno; così non è meraviglia se l'evidenza dantesca di gran lunga soverchia quella di ogni altro poeta. E chi, pieno la mente di nostra maggior musa, si facesse a considerare l' evidenza di poeti minori, troverebbe un cotal velame a' suoi occhi, come chi dal più alto de' cieli, ove, quasi in ispecchio, si raccoglie la luce, discendesse verso la terra; chè monti, alberi, torri vedrebbe circonfusi di lievissima nube.

APPENDICE.

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