Sayfadaki görseller
PDF
ePub

A darne tempo già stelle propinque, Sicuro d'ogni intoppo e d'ogni sbarro, Nel quale un cinquecento dieci e cinque, Messo di Dio, anciderà la fuia...; » e nel XXVII del Paradiso: « Ma prima che genna' tutto si sverni.... Ruggeran si questi cerchi superni, Che la fortuna che tanto s'aspetta Le poppe volgerà u'son le prore...? » Similmente nel De Monarchia: « E perchè la disposizione di questo mondo seguita quella delle celesti sfere, è necessario, affinchè gli universali ammaestramenti della pacifica libertà comodamente a' luoghi e tempi si adattino, che questo terreno Imperadore sia da colui spirato, il quale presenzialmente vede tutta la disposizione de' cieli. >> Chi poi m'opponesse che il tra feltro e feltro così spiegato diventa soverchiamente oscuro, dirò che Dante in tutti que❜luoghi, ove piglia aria di profeta, si piace di quella solenne oscurità che accompagno in ogni tempo la parola rivelatrice del futuro, e aggiungerò francamente che ad ogni modo io amo meglio confessare oscuro questo luogo dantesco che dar taccia al Poeta di mente malferma nelle proprie opinioni, di animo partigiano e, quel che è peggio, di lusinghiero verso i tiranni della sua patria,

28

IL SATANA DANTESCO.

"Sicut lumen ejus et tenebrae ejus.

Lo imperador del doloroso regno

Del mezzo 'l petto uscia fuor della ghiaccia :
E più con un gigante i' mi convegno,
Che i giganti non fan con le sue braccia.
Vedi oggimai quant'esser dee quel tutto
Ch'a così fatta parte si confaccia.
S'ei fu si bel com'egli è ora brutto,

E contra il suo Fattore alzò le ciglia,
Ben dee da lui procedere ogni lutto.
Oh quanto parve a me gran meraviglia,
Quando vidi tre facce alla sua testa!
L'una dinanzi e quella era vermiglia:
Dell'altre due, che s'aggiungeano a questa
Sovr'esso 'l mezzo di ciascuna spalla,
E si giungeano al luogo della cresta,
La destra mi parea tra bianca e gialla;
La sinistra a vedere era tal, quali
Vengon di là, ove 'l Nilo s'avvalla.
Sotto ciascuna uscivan due grand'ali

Quanto si conveniva a tanto uccello:
Vele di mar non vid'io mai cotali.
Non avean penne, ma di vipistrello
Era lor modo: e quelle svolazzava,
Si che tre venti si movean da ello.
Quindi Cocito tutto s'aggelava:

Con sei occhi piangeva e per tre menti
Gocciava il pianto e sanguinosa bava.

Da ogni bocca dirompea co' denti
Un peccatore, a guisa di maciulla;
Si che tre ne facea così dolenti.

Inf., XXXIV.

Una delle più sublimi fantasie, onde l' Alighieri arricchiva quella sua terribile Cantica, che tuono accoglie d'infiniti guai, è senza dubbio Lucifero; il quale, siccome re di dolori e di pene, nel suo sentimento regale quasi raccoglie i tormenti molteplici e i dolori della perduta gente, a cui sovrasta. Chi è che non si senta tremare le vene e i polsi alla visione di quello smisurato mostro, che da mezzo 'l petto uscìa fuor della ghiaccia? La sua statura è oltre il modo non solo degli uomini, ma anco de' più famosi giganti della favola. Il suo capo ha tre facce, sì che ogni parte vegga del suo doloroso impero e di sotto a ciascuna faccia escono due grand'ale, nude d'ogni penna, al cui paragone le più grandi vele, che mai corressero mari, quasi scompaiono. Per quelle, eternamente svolazzate, muovonsi tre venti, onde Cocito si aggela. Da ogni bocca dirompe co'denti un peccatore a guisa di maciulla; si che da' tre menti insieme col pianto de' sei occhi gocci sanguinosa bava.

Questa immagine, anco se si consideri nella sua esteriore apparenza, è grande; testimonio le nobilissime

Nella Visione di Tundalo : « E siccome il villano, quando ha gran sete, prieme il grappolo dell'uva, così quello demonio (Satana) stringeva quelle anime in tal modo che tutte le rompeva colle mani.... » Ma il grappolo premuto è immagine lieta, onde noi ripensiamo l'aperta luce de' campi e il sollazzo, che l'arso petto riceve dal giocondo liquore; mentre il disperato infuriar di Satana ci mette il gelo nelle ossa, e ci fa pensare che quel principe del dolore, per istrigner d' anime perdute, non potrà mai smorzare la terribile sete, che dentro lo affuoca e riarde. Invece la maciulla del Nostro niente accenna di lieto: è rozzo ordigno, che percuote e dirompe.

opere d'arte, ch'ella valse a inspirare: dico i giotteschi nella cappella degli Scrovegni a Padova, il Giudizio finale dell' Angelico, il Satana maciullatore di Andrea Orgagna in Santa Maria Novella a Firenze e quello attribuito a Bernardo Orgagna nel Camposanto pisano. Ma ben più grande ci parrà l'immagine del doloroso imperatore, se, non contenti al senso letterale, vorremo cercarvi gli allegorici intendimenti, che vi sono inchiusi. Le tre facce, vermiglia, nera, bianca e gialla, sono aperto simbolo (come i più valorosi interpreti hanno avvisato) d'impotenza, d'ignoranza e d'odio sommo, imperfezioni opposte alle tre altissime perfezioni di Dio, amore, sapienza e potestà infinita. E invero (cosa non avvisata da nessuno, ch'io sappia) i diversi e turpi colori delle facce sataniche fanno manifesto contrapposto a que' tre colori, l'un dall' altro riflesso, come iri da iri, e 'l terzo fuoco, dall' uno e dall' altro egualmente spirato, che nell' unità di un semplice Lume (segno della verace e potentissima Unità) bellamente si accolgono. Inoltre, esso contrapposto si fa più spiccato e più alto, se si consideri la sottile finzione dell' agghiacciarsi di Cocito al vento delle ali di Lucifero; poichè, o piglisi il ghiaccio nel senso proprio, in quanto mortifica ogni naturale vivacità della terra, o tolgasi a simbolo dello spegnersi d'ogni amore, vita del mondo spirituale, quel vento generatore dell'eterna ghiaccia ben si contrappone allo Spirito onnipossente, che, secondo la lettera della Genesi, discorrendo sull'acque ne riempie il grembo di virtù meravigliosamente feconda, o, nel significato allegorico, discorrendo invisibile sulle nazioni desta in esse perenne vitalità di amore operoso. 2 A me pare che sulla fine del suo Inferno Dante non potesse immaginar cosa più sublime o

1 Parad., XXXIII.

1

2 Vedi l'interpretazione filologica dell' Inferno di L. Blanc.

più conveniente del contrapporre il signore della città dolente a quello della celeste città, facendoci meglio sentire l'infinita diversità de'due regni nel contrapposto de' due re.

1

Ma perchè meglio si vegga la sublimità del Satana dantesco, io voglio recare a paragone la immagine, che ci porge i Milton del suo Satana, 1 là dove pone ch'egli si faccia a rinfuocare con ardenti parole gli animi spenti de' suoi compagni di sciagura:

Alteramente eccelso
Ei di fattezze e portamento agli altri
Torreggiante sovrasta: ancor perduto
Non ha tutto il natio fulgor celeste
E, conquiso com'è, pur sempre in lui
Un arcangel si vede, un offuscato
Di gloria eccesso. Tale il Sol nascente
Timidi getta e pallidi pel grave
Aere nebbioso i raggi e tal’ei sparge,
Se Cintia il vela coll'opposto dosso,
Sovra mezza la terra un torbo e mesto
Lume, che pel timor d'aspre vicende
Tien palpitante de'tiranni il core.
Oscurato così tanto splendea

Scelgo il Satana miltoniano, perchè le altre due grandi immagini sataniche, il Mefistofele del Göthe e il Lucifero del Byron, non sono, chi ne guardi l'intimo concetto, comparabili al Sutana dantesco. Pur la tremenda parola del primo: Il verno è nel mio corpo, e la furiosa dell'altro: Tutto io vo' contrastargli.... astro per astro, Pianeta per pianeta ed universo Per universo, potrebbero ben convenirsi a colui, che si profonda nella ghiaccia e terribilmente fiammeggia dalla sua faccia vermiglia. Creature d'anima passionata, più che di mente pensosa, il M fistofele e il Lucifero vincono il Satana del Nostro per una cotal gioventù, che lor viene dalla vita del tempo, dalla vestita umanità; ma ben sono vinti di solennità e di grandezza dall' imperador del doloroso regno, che nella sua immutabile eternità del dolore e dell'ira piange e maciulla, sta fitto e pur s'agita, abisso cieco di tenebre e di tempesta.

« ÖncekiDevam »