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IMPORTANZA DEL PORRE STUDIO MASSIMO

NELLA DIVINA COMMEDIA.

"Siccome gli antichi Greci dal solo Omero la sapienza e la eloquenza traevano, Dante volle anch' egli la medesima utilità prestare col suo poema; di dentro a cui dagli antichi nostri si profferiva ai discepoli quanto lume bisognasse per bene intendere e ragionare molto meglio che dalle volgari scuole si apprenda, ove con dispendio pub. blico e stolidità privata solo s' impara a sconoscere il vero ed il naturale ed a fortificare l'ignoranza colla presunzione. „

GRAVINA.

Benchè d'ogni parte a'nostri di cresca la riverenza e l'amore al divino Poeta, io stimo opportuno di raffermare innanzi a voi l'importanza del porre studio supremo nell'opera magna di lui, a rintuzzare la vana arroganza di chi questo Grandissimo aggiunga e confonda alla solita schiera de' Classici, e a farvi palese come il mio intendimento di darvi in quest'anno per fondamento primo di studio la Divina Commedia non muova da sconsigliata predilezione, ma da salde ragioni e da invitta persuasione dell'animo.

Tre cose danno ragione di pregio alle opere dell'ingegno: bontà, verità, bellezza; e secondochè l'una all'altra prevalga, l'opera va più o meno pregiata; ma se tutte e tre vi s'accolgano in amoroso legame di perfezione, ella dee per fermo reputarsi ottima e quasi divina. Posto questo, se mi succeda di fare a voi manife

sto come siffatto mirabile accoglimento occorra appunto nella Divina Commedia, io vi avrò con ciò dimostrato la meravigliosa eccellenza di lei e ad un tempo l'utilità che potrà derivarvi dal pigliarla a principale subietto delle vostre meditazioni.

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Per tempissimo, amore di spirituale bellezza, distruggendo nel nostro Poeta ogni sensuale appetito e sedendo signore da lato al consiglio della ragione, traeva l'intendimento di lui da tutte le vili cose e gli poneva in cuore ogni dolcezza di affetto, ogni umiltà di pensiero. Vinti così gl' impedimenti di questo corpo caduco, l'animo suo nobilissimo, affissandosi nel sole del sommo Vero e del Bene infinito, siccome cagione prima di quella bellezza ond'egli era preso, si levò al cielo imperturbabile di altissima contemplazione; e come amor gli dettava, propose a sè stesso, in pro del mondo che mal vive, di celebrare la bellissima luce di quel sole divino e di mostrare com'essa illumini e fecondi la vita dell' uomo e delle nazioni. Ecco il seme di quella stupenda rivelazione di riposti veri, ch'egli chiamò Commedia e ch'io amerei di chiamare etica delle nazioni. Altri di sparse moralità arricchi le vaghe invenzioni dell'ingegno, ma niuno dei Classici nostri drizzò nella morale, come in segno supremo, l'arco della mente e molto meno si alzò a quella sommità di principii, ove si spande la luce di Dio. Dante pervenne si alto e di lassù vide chiaro l'ordine degli spiriti e de' loro amori, seme (com'egli dice) d'ogni virtù e d'ogni operazione che merta pene: vide la comunanza civile degli uomini ordinata alla divina ed eterna, si che, dettando le supreme leggi di quella, tenne sempre l'occhio alle più alte leggi di questa. Nè l'altezza, da cui mirava, gli tolse d'attendere alle più basse cose, ma ogni minimo vizio fu da

1 Vedi nella sua Vita Nuova.

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lui sferzato e ogni più umile e più riposta virtù ritratta e lodata con istudio d'amore. Da ciò le vicende della sua gloria, che sali col salire dell'italiana virtù, scese con lo scender di questa. 1 Ed io non temo di esagerare, affermando che nella Divina Commedia trovasi accolto tutto il mêle della morale rivelata da Cristo, in quanto è norma di vita e fonte di perfezione vera all'uomo e all'umana specie. Or perchè noi non vorremo far gustare ai giovani di così gran volume quanto più sia possibile? L'educazione dell'animo sta innanzi a quella dell'intelletto; e poco monta che il giovane ignori in tutto o in parte le pazzie di Orlando, le meraviglie di Armida, la bellezza e la grazia di Laura; ma grandemente importa che ben s'invasi nella mente, come liquore prezioso e vitale, l'alta sapienza della dantesca parola. « Torniamo pure (grida il Balbo con vigoroso affetto), abbandoniamoci all'onda che ci fa tornare al più virtuoso fra' nostri scrittori, a colui ch'è forse solo virilmente virtuoso fra' nostri classici scrittori. >>

Se la bontà dell' intendimento, il divino lume della virtù fosse unico pregio del gran poema, pur basterebbe esso solo a innamorare di sè ogni spirito ben disposto. Ma Dante alla bontà somma dell'intendimento congiugne ricchezza mirabile di sapienza, si che, mentre educa l'animo, conforti la mente di solido cibo. Egli è ormai verità provatissima che egli accolse nel suo poema il fiore d'ogni più alta dottrina di tutti i tempi fino a lui, e che i più nobili rampolli dell' antico ingegno seppe innestare alla nuova pianta della dottrina di Cristo, componendo i dettami di Aristotile e di Platone colle sentenze di Agostino e dell'Aquinate. Nè a questo si stette contento, ma con nuove e sottilissime investigazioni, in cui non so se più sia da meravigliare l'acutezza del Vedi C. Balbo, Vila di Dante.

dubitare o la temperanza, toccò importantissime verità di si profonda natura, che nostra mente cede a tanto oltraggio; mostrando col vivo esempio come il dubbio, perchè sia fruttuoso, debba nascere appiè dell' albero della verità, e come natura, se ben secondata e non travolta all'andazzo di male passioni, ci spinga di altezza in altezza a quel sommo Vero, in cui l'intelletto si acqueta, come in suo nido. E che dirò dell'insegnamento che ne viene da quella ricca vena di viva storia, che corre per ogni parte del gran poema, avvivando del suo umore vitale i semi fecondi delle accennate verità? Se l'istoria de'tempi andati fu per antico stimata maestra di vita e specchio del vero, che dovrà dirsi dell'istoria che una mente capace e un animo puro e giustissimo narri de' tempi suoi, recando giudizio pacato e sottile su' fatti presenti, e raffrontando questi ai passati a cercare la riposta cagione degli uni e degli altri? Per me stimo più utile la lettura de' moltissimi luoghi storici del poema dantesco, che non quella di tutte le cronache e di tutte le storie de' secoli XIII e XIV.

Ma qui non si fermi la vostra ammirazione. Lasciando stare le scienze morali, in cui Dante a giudizio. di tutti fu eccellentissimo, egli, intelletto divinatore, gittò nella sua Commedia alcuni semi di quelle scienze fisiche, che, cresciute a dismisura, vediamo oggi fiorire e fruttificare a meraviglia. Già Guglielmo Libri additò nel poema di Dante mirabili tocchi di cose matematiche, e più recentemente Giovanni Antonelli vi notò accenni di cose astronomiche, il Visiani di cose botaniche, il Pareto di geologiche, il De Renzi di mediche.

Se non che, io temo che alcuno di voi dica fra sè: poniam pure che in Dante sia copia divina di bontà e di sapienza, che rileva questo al tuo proposito? Tu, istitutore di lettere amene, vuoi forse metterti in toga

di filosofo o di scienziato? A questa naturale dimanda io rispondo innanzi tutto che bellezza, verità, bontà sono una cosa, e che però nello studio delle lettere, c'ha per subietto primo la bellezza del dire, non deve porsi da parte o in ultimo luogo la verità e la bontà; ma riguar. darle con intenzione d'amore, come fonti saldi e certi, ond'esce limpido rivo di bellezza perenne. E poi, dubitate voi forse che nella mente di Dante non iscendesse, più chiaro e più largo che in altro Classico mai, cotesto rivo divino? Nessuno fu più valente di lui nel vestire di sensibili forme bellissime le verità più astratte, nessuno più vivo pittore di tutti gli affetti e de'lor costumi, nessuno più nuovo e più evidente nelle sue comparazioni, nessuno più ricco di vispa, varia e proprissima lingua. Miracolo d'arte, la sua Commedia ne porge esempio di ogni maniera di stile e di poesia; si che, cercando in quella, trovi l'acutezza e la precisione del dialettico, la efficacia dell'oratore (or dolce, ora acerbo, ora impetuoso, or pacato), la gravità di chi ammaestra, l' evidente semplicità di chi narra, la vivezza di chi descrive; e come nel grande vi senti la sublimità commotiva del tragico, così nel mediocre e ridicolo ti gusta il sale del comico e il forte agrume del satirico; nella lode la potente sveltezza di lirica fantasia, nel dolore la soave dolcezza dell'elegia: onde può bene aggiustarsi a lui ciò che il grave Quintiliano afferma di Omero: «< ... Come dall'oceano i fiumi e i fonti pigliano cominciamento e lena al corso, egli diede principio ed esempio a tutte le parti dell'eloquenza. »

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Ma a che mi dilungo in parole su cosa, che il fatto apertamente dimostra? Correte attentamente l'istoria delle lettere nostre, e vedrete in ogni secolo prosatori e poeti de' migliori, ciascuno secondo la diversità di

Vedi la Ragion poetica di Vincenzio Gravina.

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