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storia voglia esser distinta secondo che i popoli furono privati d'ogni verace lume o rabbelliti del nuovo albóre di Cristo. Questa capital distinzione, che Giovanni trasse dal seno stesso del Verbo e Agostino da Mosè,2 piacque al cristiano Poeta; il quale, dopo averla toccata in quella ricordanza soave del quarto giorno della creazione là in sul muovere del poema,' efficacemente la rappresenta per la differenza ch' e' pone tra il cielo dell'Inferno e quello del Purgatorio; l'uno muto d'ogni luce e mugghiante per bufera, l'altro tutto serenità e lieta chiarezza di sole: differenza, che a lui preme di fare avvertita prima d'ogni altra, giacchè in sull' entrare del secondo cerchio infernale, ove cominciano i tormenti, cioè l' Inferno vero, dice subito:

E vengo in parte, ove non è che luca,

e appena uscito dal tristo buco a piè del monte felice, sclama:

Dolce color d' oriental zaffiro,

Che s' accoglieva nel sereno aspetto

Dell' aër puro infino al primo giro,
Agli occhi miei ricominciò diletto.

Ma Cristo nell' umana storia è non solo da considerare come principio di distinzione, si ancora come principio d'accoglimento, poichè a Lui, o in quanto

1 Vangelo, I, VIII.

2 Confess., XIII, 12.

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<< Temp' era dal principio del mattino,

El Sol moveva in su con quelle stelle
Ch' eran con lui, quando l' amor divino
Mosse da prima quelle cose belle. »

Il fiat lux diè moto alla pigra materia; e la rivelata parola svegliò lo spirito umano vecchio, ozioso e lento: onde vennero bellezze nuove e crescenti d'intelletto e d'amore.

speranza di ventura salute o in quanto conforto nel bene, ebbe ed ha fisso il guardo l'umanità in ogni tempo guardo, onde a lei rifiorisce la vita più o men gentile e odorata di bontà, secondo che l'animo suo è meglio disposto alla virtù della luce. A questo guardo fecondo e a' suoi mirabili effetti il Poeta fa cenno, prima sotto figura delle due mistiche ripe dipinte di mirabil primavera, poi più apertamente là dove descrive la rosa di Maria con questi versi belli di evidente semplicità:

Da questa parte, onde 'l fiore è maturo
Di tutte le sue foglie, sono assisi
Quei che credettero in Cristo venturo:
Dall'altra parte, onde sono intercisi
Di vôti'i semicirculi, si stanno
Quei ch'a Cristo venuto ebber li visi. 2

3. Come le virtù de' popoli antichi e nuovi
si accolgano in Cristo per amore.

"In forma dunque di candida rosa

Mi si mostrava la milizia santa,
Che nel suo sangue Cristo fece sposa. "
Parad., XXXI.

Uno dei più lieti accorgimenti del nostro Dante, poco o niente avvertito dai Commentatori, si è quello ond' e' sa da più immagini qua e là fiorite nel suo poema cavar dolcezza di ordinato concetto, simile ad ape, che di più fiori trae dolcissimo frutto d'unico mêle.

1 Così leggono, e parmi con più proprietà, le prime quattro edizioni.

2 Parad., XXXII. Vedi il cap. 2, parte I, de' miei Accenni di filosofia della storia.

Cosi nel Paradiso le immagini delle due rive fiorite e della rosa di Maria, poniamo ch' e' sieno belle a meraviglia ciascuna per sè, più belle ancora m' appaiono raggiunte insieme per virtù di meditazione, come già furono in quella ricca mente, ove pigliarono sapore di dolcezza unica. E valga il vero: i fiori delle due rive non rendono figura delle umane virtù nei due tempi, in cui si parte la vita della nostra specie? E la rosa di Maria, in cui alla vista del Poeta, fatta di più superbo acume nell'onda viva della luce di Dio, que'molti fiori convertonsi, non simboleggia quelle stesse virtù, in quanto s'accolgono in Cristo a meravigliosa unità? Tutt'e due queste immagini si convengono bellamente al concetto che vi s'acchiude. I fiori, pianticelle così leggiadre e pure, tutte letizia di colori e fragranze, sono immagine viva d'ogni pensiero e d'ogni amore più eletto. Però qualunque studioso raccoglimento di cose buone e belle fu detto fiore, e tuttodi noi diciamo fior d'innocenza, di bellezza, di onestà, e più efficacemente fior d'uomo. Or che v' ha mai di più eletto della virtù ? Ell' è veramente fiore divino, che fa l'animo bello e odorato. Chi questo pensi, vedrà come sia cosa gentile immaginare l'eletta umanità, le virtù de' popoli antichi e nuovi in forma di tanti fiori, e più gentile ancora che tutti que' fiori, per così dire, si mescano e convertansi in un solo gran fiore, a significare che le virtù civili e morali delle antiche genti, incolorandosi sotto i raggi di Cristo di bellezza nuova e pigliando odore di bontà più soave e più pura, alle virtù nuove delle genti cristiane s'aggiungono in bella unità, come fragranze e colori d'unico fiore; unità che arcanamente risponde a quella del sole che le feconda.' Se poi pon

Quest' unità può ben chiamarsi col Poeta odor di lode al Sol che sempre verna. (Parad., XXX.)

gasi mente al nome di quel fiore, in cui è il succo di tutti i fiori dello spirito umano, nuove bellezze discopronsi. Chè rosa mistica è Maria, nella quale e come madre del Cristo e come simbolo di beneficenza infinita è virtualmente compresa l'intera famiglia degli uomini, e l'antica alla nuova gente congiugnesi in vincolo d'amore1e in comunione di beneficio.

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4. Occhiata al cammino dell'umanità

dal suo partire al posarsi.

Al divino dall' umano,

All' eterno dal tempo

Parad., XXXI.

I primi due canti della Divina Commedia, ben l'avverti alcun antico, sono quasi prologo o prefazione, giacchè vi si tocca per sommi capi il subietto dell' intero poema; il quale, altissimo e larghissimo com'è, in tanto raccoglimento di mirabile sintesi riesce così sublime, che men sarebbe la visione di tutta la terra e del cielo ad un tratto.

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Dal mezzo del cammin di nostra vita, età perfetta adombrata nel quarto giorno della Genesi, quasi da levatissima cima, il mistico Viatore ci addita tutto il cammino dell'umanità pe' secoli; e bene a ragione: chè quel mezzo, pienezza dei tempi, segna l'avveni

1 « Nel ventre tuo si raccese l'amore,
Per lo cui caldo nell'eterna pace

Così è germinato questo fiore. »

Parad., XXXIII.

2 A Dante la rosa era immagine di beneficenza; e anco nel Convito si paragona l'uomo benefico alla rosa, che spande odore. 3 Vedi sopra al cap. 2.

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mento di Colui, nel quale, come principio sommo di vita, l'umanità si muove. Ma pur toccando cotesto mezzo istorico, e' ci fa intendere la natura de' tempi che gli andarono innanzi e lo prepararono per quella selva aspra e forte, ove s'era smarrito innanzi che l'età sua fosse piena, senza che ne ricordi il modo, tant' era (dic' egli) pien di sonno in su quel punto, che si dilungò dalla via della verità e della vita: bellissimo tocco, onde ne richiama a ripensare l'origine d'ogni colpa, che fu un piegare dell'intelletto all' inclinazione de' sensi, come corpo alla soave cascaggine del sonno. E notisi profondità di conoscenza storica e bellezza vera di poesia in questo, ch'e' dice di essersi ritrovato per la selva oscura e d'averne sentita l'amarezza ineffabile nella pienezza dell'età sua; poichè l'umanità, di cui il Poeta è figura, non fu accorta della trista selva de' mali, in cui l' avea traboccata il fallo del primo padre, se non quando la Sapienza di Dio nella pienezza de' tempi venne a ralluminarne l'animo e a sanare e adempire in essa la coscienza del bene. Onde il dantesco mi ritrovai, se men potente, pur ci fa ricordare il biblico dove sei, col quale Iddio domandava Adamo dopo il peccato; perchè fuori di Lui, sommo bene ed essere sommo, niuna creatura può aver coscienza vera di sè. Ma siccome, tornata la coscienza del bene, torna la vita dello spirito, ch'è movimento amoroso verso il bene; così il nostro simbolico Viatore, fattosi accorto

1 Fors' anco dicendo: « I' non so ben ridir com' io v'entrai. Tant'era pien di sonno, ec. » Dante volle fare intendere che la mala volontà non ha cagioni efficienti, ma deficienti, onde chi vuol cercare la cagione efficiente di essa mala volontà, è come chi voglia cercare la cagione efficiente del sonno, ch'è deficienza di forza. E anco qui al nostro Dante sarebbe stato maestro Agostino in quei bellissimi capi, ove discorre della cagione della mala volontà. Vedi Cillà di Dio, XII, 7.

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