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del luogo, ove s'era smarrito, si studia di uscirne e, giunto a piè d'un colle, alza gli occhi alle sue spalle

Vestite già de' raggi del pianeta,

Che mena dritto altrui per ogni calle.

Or chi in questo colle vestito del nuovo sole non vede simboleggiato quell'alto fine di civiltà, che il Verbo di Dio ebbe rivelato all' umanità credente? E l'effetto meraviglioso della rivelazione di Cristo, che, porgendo alla umanità la prima dolcezza di vita degna, fece più amara in lei la memoria delle turpitudini antiche, non è forse vivamente ritratto in quel riconfortarsi del Poeta alla vista del colle e in quel rivolgersi addietro a rimirar la selva,

come quei che con lena affannata Uscito fuor del pelago alla riva

Si volge all'acqua perigliosa e guata?

Ma più sarà chiara la verità di questa interpretazione, se porremo avviso alla mirabile rispondenza di ciò che segue. Il posare del Poeta e il suo salire

Si, chè 'l piè fermo sempre era 'l più basso,

ci rendono come in bel rilievo l'immagine dei due tempi primi dell'umanità ringiovanita da Cristo: un tempo di riposo dall'antico e vano affaticare dietro false ombre di bene civile, tra il cader dell'Imperio e 'l sorgere dei Comuni, e un tempo di civile operosità nuova e vera, che dal nascimento dei Comuni si spicca, in cui alla umanità non anco ferma dell'animo nel sommo bene di Cristo pongono forte impedimento al ben fare i falsi beni dell'antichità, che a tre supremi riduconsi, concupiscenza, cupidigia e superbia di vita. Quest'ultimo è il

tempo del Poeta; tempo di fierissima pugna fra la carne e lo spirito, che a' presenti dovette riuscire tremendo e a noi lontani par bello, sol perchè, insinuandoci colla mente nel suo segreto, ammiriamo in esso una solenne preparazione di civiltà. Nè qui, benchè pervenuto dove ogni istorico suole far punto, e' si rimase il Poeta dal suo sublime discorso pe' varii tempi dell'umana istoria: ed egli è ben naturale, chi pensi esser proprio di animo angusto, fiacco, impotente restringersi nel presente, massime se reo, e, quasi futuro non fosse, affisarvisi sconsolato d'ogni speranza; mentre ad animo largo, vigoroso, potente nella fede e nell'amore, quale il dantesco, il male presente è spontaneo argomento di futura speranza, in cui rallargare l'animo e riposare la mente come in suo nido. Cosi Agostino, anima gigante, da'flagelli de' barbari e dalle turpitudini della corrotta città dei suoi tempi levava la mente al casto e pio costume di una città incorruttibile e alla saldissima pace dell'eterno sabato. E Dante anch'esso, che di Agostino ritrae più che di altra natura mai, dalla miseria dell'esilio e dai tristi costumi di Firenze e d'Italia spiccandosi, drizza l'ala della contemplazione a più alte e più serene cose; e, come al contemplante il futuro già è, egli pone Virgilio cavato del Limbo per virtù divina, o, fuor di lettera, la scienza, tratta da viltà di corruzione a bellezza di gloria per la sapienza di Cristo, farsi guida a lui, figura viva dell' umana generazione, e mostrandogli a documento di vita l'intima condizione delle due città, la dolente per disperato affanno e la beata di una soave speranza, disporlo alla visione della donna trionfale, che lui, già rifatto dell' animo, recando dalla civil perfezione a quella più eccelsa dello spirito, tragga di terra in cielo. Dove salendo di altezza in altezza fino a quell'altissimo luogo, ov'è Maria, infinita

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larghezza, e Lucia, luce di rivelazione, e Beatrice, figlia di questa luce, il nostro Vate si acqueta, affisando la vigorosa pupilla in quel

punto,

A cui tutti li tempi son presenti;

semplice lume, che solo potè fargli chiaro il cammino dell'umanità pe’secoli e la posa di lei nell'eternità della pace. Così, finito in questa vista suprema l'ardore del suo magnanimo desiderio, soggiunge:

Ma già volgeva il mio desire e 'l velle,
Si come ruota ch' egualmente è mossa,
L'Amor che muove il Sole e l'altre stelle:

parole che, in sentenza, concordano alle ultime della Città di Agostino: « Ivi (nel cielo) vacheremo e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo e loderemo. >>

'La vergine siracusana, in cui la parola di Cristo operò sì mirabili cose da mostrare in atto vivo la verità di quel detto: « E Iddio ha scelto le cose deboli del mondo per isvergognar le forti, » dovette porgersi al nostro Poeta come il più acconcio simbolo della rivelazione. (Vedi la Leggenda di Sinta Lucia nella Raccoltina di leggende del secolo XIV pubblicata pei tipi Barbèra.) Nè io voglio già negare la divozione di Dante verso la martire di Siracusa, come quella ch'egli avrà tante volte pregato per la sua vista offesa; ma solo nego che questa divozione sia stata cagione prima del simbolo dantesco.

Notevole è il contrapporsi di queste tre donne benedette alle tre belve: chè di contro alla mutabile concupiscenza (lonza) sta l'immutabile amore e sapienza dell'eterna Verità (Beatrice); di contro alla feroce superbia (leone) l'umile parola di Cristo (Lucia); di contro alla insaziabile cupidigia (lupa) la divina larghezza, copia perenne di beneficii (Maria).

5. La perfezione nel tempo e la perfezione
nella eternità.

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Quando a noi, tardi figli di Adamo, rivola il cuore tra le delizie del terrestre Paradiso, a quella serenità luminosa di cielo, a quella perpetua primavera, a quel purissimo fonte che rampollava dalle viscere della terra, a quell'aura vespertina, annunziatrice lieta della venuta di Dio, dentro si sveglia e ci punge un desiderio mesto di quell'ombre lontane di perduta felicità; nè pensiamo che da quell'ombre ci parla una felicità più vera e più alta, che a noi veniva da cose spiritualmente più belle e incorruttibilmente più soavi, da cui per superbia cademmo, e a cui, facendoci in su per forza di operosa umiltà, dobbiamo studiarci di risalire. Chè a quelle esteriori bellezze fu bellamente concorde l'animo innocente; tutto luce e serenità come il cielo, come i campi fiorito, irrigato, come la terra da quel fonte interiore, da occulta rugiada di arcana rivelazione, e rallegrato dall'aura di Dio, che nell'intimo petto dell'uomo ad ora ad ora ineffabili cose parlava. E in si verginale freschezza, in si quieta letizia di tutte le creature, ognuna delle quali avea pace e amore seco e con l'altre, può egli pensarsi diseguaglianza e discordia? Come da segreta virtù di angelici operatori la terra e il cielo traevano armonia di sempre vive bellezze; così dalla virtù onnipotente di Dio, a cui si stava congiunto, come a principio di vita, l'umano spirito traeva eguaglianza e concordia nelle sue facoltà e ne' suoi atti. Poichè tanto amava il volere, quanto l'in

FRANCIOSI.

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telletto, illustrato dall'eterno Vero, apprendeva; e il corpo per una cotal sua spiritualità seguiva agilissimo e lieve i più alti voli del cuore. Ma scostato l'uomo da Dio, saldo e immutabile bene, e fattosi principio a sè medesimo, mentre fu turbata l'amorosa letizia delle cose che gli servivano, fu anco guasta l'eguaglianza e la concordia delle sue interiori virtù, e la volontà pervertita, ma da infinito desiderio sospinta, pugnò coll'intelletto cieco invischiato nella vanità delle cose terrene; ed ambo poi, volontà e intelletto, furono servi alla carne, battagliera tremenda che di loro pugne inforzava. Questo tempo reo di discordia fu pena dell'antico fallo e insieme preparazione di virtù nuove: e quando l'età ordinata innanzi ai secoli fu piena, venne la Sapienza di Dio a cessare nella umana natura ogni tormentosa contradizione e ogni pu gna, ralluminando l'intelletto, raddrizzando il volere e tornando l'uno e l'altro nella signoria già perduta. Se però cessi la discordia, rimarrà in ogni tempo la diseguaglianza fra l'intelletto e il volere, si che all'ardore di conoscere l'infinito non risponda la conoscenza dell'intelletto: diseguaglianza, onde a noi viene bella necessità di fede e disciplina di preziosa umiltà. A questa diseguaglianza, cui di sì lontano, per più chiarezza, ho condotto il discorso, pose mente il Poeta là nel XV del Paradiso; dove alla paterna festa del suo avo Cacciaguida risponde cosi:

L'affetto e il senno,

Poichè la prima Egualità v'apparse,
D'un peso per ciascun di voi si fenno;
Perocchè al Sol, che v' allumò e arse

Col caldo e con la luce, én si eguali
Che tutte simiglianze sono scarse.
Ma voglia ed argomento ne' mortali

Per la cagion ch'a voi è manifesta

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