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Morte mi s'era intorno al core avvolta;
Nè tacendo potea di sua man trarlo,
O dar soccorso alle virtuti afflitte:
Le vive voci m'erano interditte;

Ond' io gridai con carta e con inchiostro :
Non son mio, no; s'io moro, il danno è vostro.

A quella petra, nella quale ero trasformato. Se mi spetra, Se mi libera da questo esser di pietra, nessuna condizione di vita a me parrà misera e grave. Purchè il P. possa togliersi dalla presenza di Laura, non ricusa alcun dolore. – Signor mio, o Amore, a cui servo. - Mezzo ecc. Verso imitato dal Tasso (Gerus. VIII): « E mezza quasi par tra viva e morta. » - La penna ecc., La penna non può tener dietro al volere, non può scrivere tutto quello ch'io vorrei. Vo trapassando, Passo sotto silenzio; il lat. praeterire. Nè potea ecc., Nè io poteva col tacere liberarmi da morte, o soccorrere a' miei spiriti (virtudi) abbattuti (afflitte, con proprietà latina). - Le vive voci, Il parlare a viva voce con Laura gli era negato: dunque le scrisse (gridai con carta e con inchiostro).

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Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi
D'indegno far così di mercè degno;
E questa spene m'avea fatto ardito.
Ma talor umiltà spegne disdegno,
Talor l'enfiamma: e ciò sepp'io dappoi,
Lunga stagion di tenebre vestito;
Ch'a quei preghi il mio lume era sparito.
Ed io, non ritrovando intorno intorno
Ombra di lei, nè pur de' suoi piedi orma,
Com'uom che tra via dorma,

Gittaimi stanco sopra l'erba un giorno.
Ivi, accusando il fuggitivo raggio,
Alle lagrime triste allargai 'l freno,
E lasciaile cader come a lor parve:
Nè giammai neve sott'al Sol disparve,
Com'io sentii me tutto venir meno,
E farmi una fontana a piè d'un faggio.
Gran tempo umido tenni quel viaggio.
Chi udi mai d'uom vero nascer fonte?
E parlo cose manifeste e conte.

Mi credea.... far, Credeva farmi.

Lunga stagion ecc., Per lungo tempo circondato di tenebre per essere il mio lume sparito, ossia per non essersi Laura più fatta vedere a me. Il fuggitivo raggio, La donna che da me fuggiva. Vedi come in mezzo a questa luce stoni quell'ombra di lei, per Segno, indizio di

Laura.

E farmi una fontana ecc. Vedi in Ovidio (Metam. IX) la trasformazione di Ibli in fonte. Quel viaggio, Quel cammino, quella strada, ch' egli bagnava delle sue lacrime.

L'alma, ch'è sol da Dio fatta gentile

Conte, Note.

(Chè già d'altrui non può venir tal grazia).
Simile al suo Fattor stato ritene:
Però di perdonar mai non è sazia
A chi col core e col sembiante umile,
Dopo quantunque offese a mercè vene:
E se contra suo stile ella sostene
D'esser molto pregata, in lui si specchia;
E fal, perchè 'l peccar più si pavente:
Chè non ben si ripente

Dell'un mal chi dell'altro s' apparecchia.
Poi che Madonna, da pietà commossa,
Degnò mirarmi, e riconobbe e vide
Gir di pari la pena col peccato,

Benigna mi ridusse al primo stato.

Ma nulla è al mondo, in ch'uom saggio si fide:
Ch'ancor poi, ripregando, i nervi e l'ossa
Mi volse in dura selce; e così scossa

Voce rimasi dell'antiche seme,

Chiamando Morte, e lei sola per nome.

L'alma, int. di Laura. - Gentile, Nobile, secondo la sua prima significazione, che è dal lat. gentilis. - Stato, Natura, qualità. Dio è fonte di perdono, e cosi Laura. - Quantunque, Quante mai si voglia è il lat. quotcumque. A mercè vene, Implora pietà. - In lui, In Dio; imita Dio. - E fal, E lo fa. Dell'altro s'apparec chia, Si apparecchia a commetterne un altro. - Gir di pari ecc., Essere la pena pari, proporzionata alla colpa. Dante (Purg. XXX): << Perchè sia colpa e duol d'una misura. » Al primo stato, Nello stato di prima, cioè nello stato d'uomo. Ripregando, Tornando a pregarla d'amore. Mi volse, Mi cambiò. - Scossa.... dell'antiche some, Spogliata del corpo umano. Scosso dal lat. excussus, che ha dato il più comune Scusso. Voce ecc. Essendo il corpo trasformato in selce, il P. divenne come Eco, di cui vedi Ovidio (Metam. III). - E lei sola, int. Laura, perchè lei sola lo poteva aiutare. Ma io non capisco come si possa invocare allo stesso tempo chi ne uccida, e chi ne salvi.

Spirto doglioso, errante (mi rimembra)
Per spelunche deserte e pellegrine,
Piansi molt'anni il mio sfrenato ardire;
Ed ancor poi trovai di quel mal fine,

E ritornai nelle terrene membra,
Credo, per più dolor ivi sentire.
I' seguii tanto avanti il mio desire,
Ch'un dì, cacciando, siccom' io solea,
Mi mossi; e quella fera bella e cruda
In una fonte ignuda

Si stava, quando 'l Sol più forte ardea.
Io, perchè d'altra vista non m'appago,
Stetti a mirarla: ond'ella ebbe vergogna;
E per farne vendetta, o per celarse,
L'acqua nel viso con le man mi sparse.
Vero dirò (forse e' parrà menzogna),
Ch'i' sentii trarmi della propria immago;
Ed in un cervo solitario e vago
Di selva in selva ratto mi trasformo;

Ed ancor de' miei can fuggo lo stormo.

Spirto, perchè privato del corpo. - Pellegrine, Straniere. - Per più dolor, ecc. Accenna alla seguente sua trasformazione in cervo, si come avvenne ad Atteone. Vedi Ovidio (Metam. III). L'acqua nel viso ecc. Anche questa circostanza è presa da Ovidio: << hausit aquas (Diana), vultumque virilem Perfudit. » Imago, Forma, figura, del corpo umano. Vago, Errante, conforme al lat. vagus (vagus Hercules, vagus Sol, vaga flumina, ecc.); ed ha per suo compimento di selva in selva. De' miei can, De' miei tristi pensieri che m'inseguono.

Canzon, i' non fu' mai quel nuvol d'oro,
Che poi discese in preziosa pioggia,
Si che 'l foco di Giove in parte spense:
Ma fui ben fiamma ch'un bel guardo accense;
E fui l'uccel che più per l'aere poggia,
Alzando lei, che ne' miei detti onoro.
Nè per nova figura il primo alloro

Seppi lassar; chè pur la sua dolce ombra
Ogni men bel piacer del cor mi sgombra.

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Quel nuvol d'oro ecc. Allusione alla favola di Giove convertito in pioggia d'oro per giacersi con Danae (Metam. IV). - Si che 'l foco ecc. Sicchè sodisfece in parte l'ardente passione del Dio. Ma fui ben fiamma, che ecc., Come il guardo d' Egina (Metam. VII) trasformò Giove in fuoco. E fui l'uccel che ecc. Perifrasi dell'aquila. - Alzando lei, Come l'aquila alzò Ganimede al cielo: questo per l'allusione alla favola; ma in realtà, Celebrando lei e inalzandola co' miei versi. - Nè per nova figura ecc., Nè per altra donna seppi mai dimenticare il mio primo amore per Laura.

Figura qui vale Persona, come in Dante (Purg. III): « Lo sol che dietro fiammeggiava roggio, Rotto m'era dinanzi alla figura. » Questa Canzone, che potrebbe intitolarsi Le metamorfosi del Poeta, è piena di mitologia, e tutte le trasformazioni sono imitate dai Latini, principalmente da Ovidio. Si direbbe che Laura serva come di filo a unirle insieme.

CANZONE II - 6

Lodando le bellezze di Laura, mette in questione
se debba o no lasciarne l'amore

Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi
Non vesti donna unquanco,

Nè d'or capelli in bionda treccia attorse
Si bella come questa, che mi spoglia
D'arbitrio, e dal cammin di libertade
Seco mi tira si, ch'io non sostegno
Alcun giogo men grave.

Persi. Color perso è colore misto di purpureo e di nero, ma il nero vince. In bionda treccia. Se i capelli sono d'oro, parrebbe che bionda fosse superfluo. – Șì bella, riferiscilo a donna. Non sostegno, Non potrei sostenere.

Alcun giogo, int. d'Amore.

E se pur s'arma talor a dolersi

L'anima, a cui vien manco

Consiglio ove 'l martir l'adduce in forse,
Rappella lei dalla sfrenata voglia
Subito vista; chè del cor mi rade
Ogni delira impresa, ed ogni sdegno.
Fa 'l veder lei soave.

S'arma, S'appresta. - Consiglio, Senno, giudizio. - Ove, avv. di tempo, Quando. - L'adduce in forse, La riduce a temer della vita. Rappella ecc., costr. Subito vista (Laura) rappella (richiama) lei (l'anima) dalla sfrenata voglia (dalla eccessiva volontà di dolersi). - Ed ogni sdegno fa ecc., Volge in dolcezza ogni mio sdegno.

Di quanto per amor giammai soffersi,
Ed aggio a soffrir anco

Fin che mi sani 'l cor colei che 'l morse,
Rubella di mercè, che pur l'envoglia,
Vendetta fia; sol che contra umiltade

Orgoglio ed ira il bel passo, ond' io vegno,
Non chiuda e non inchiave.

Di quanto ecc. È compimento di Vendetta fia. Sarà fatto vendetta di quanto ecc. Rubella di mercè, Nemica di pietà, spietata. - Envoglia, Invoglia, innamora. - Sol che contra ecc., Sol che l'alterezza e lo sdegno di lei contro l'umiltà mia non mi chiuda e serri a chiave il varco a lei; ossia, purchè a me non sia vietato di continuare a vederla.

Ma l'ora e 'l giorno ch'io le luci apersi
Nel bel nero e nel bianco,

Che mi scacciâr di là dov' Amor corse,
Novella d'esta vita che m'addoglia
Furon radice; e quella in cui l'etade
Nostra si mira, la qual piombo o legno
Vedendo è chi non pave.

· Nel bel nero e nel bianco, Nelle nere pupille e nel candido volto di Laura. - Di là dov' Amor corse, Dal possesso del mio cuore, occupato subito da Amore. - Novella.... radice, Prima cagione. Dante (Inf. V): « Ma se a conoscer la prima radice Del nostro amor ecc. » E quella, cioè Laura. In cui l'etade ecc., Nella quale si specchia l'età nostra, Che è specchio di virtù e di bellezza al secol nostro. La qual piombo o legno vedendo è chi non pave. Una delle molte e sforzate inversioni del P. E chi non ne shigottisce, vedendola, convien che sia di piombo o di legno, cioè che sia un insensato.

Lagrima adunque, che dagli occhi versi
Per quelle che nel manco

Lato mi bagna chi primier s'accorse,
Quadrella, dal voler mio non mi svoglia;
Chè 'n giusta parte la sentenzia cade:
Per lei sospira l'alma; ed ella è degno
Che le sue piaghe lave.

Lagrima adunque ecc. Ecco il senso, datoci dal Leopardi, di questa specie di logogrifo: « Adunque (poichè il mio male è proceduto per gli occhi miei, che videro Laura) niuna lacrima ch' io versi da questi medesimi occhi per la pena che mi danno quelle saette che nel mio fianco sinistro bagnan di sangue chi fu primo ad accorgersi del mio male, cioè il mio cuore; niuna lacrima, dico, mi svoglia dal mio volere, cioè mi rimuove dal proposito di amar questa donna; perocchè la sentenza, cioè la condanna cade in quella parte di me che l'ha meritata: per colpa di questa parte, cioè degli occhi, l'anima mia patisce: or dunque è ben giusto che quelli lavino le piaghe di questa. »

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