Pulito, e brun, talchè dipinto pare, Passa ben di dolcezza ogni altra cosa: Non ho nel mondo cosa, che non desse Commessa ben dalle spalle, e dal petto; : Aver quel collo fra le braccia stretto, L'altre, che den parer, che asconde e copre ? Che fanno in ciel il sole, e l'altre stelle, Così se guardi fiso Pensar ben dei, ch' ogni terren piacere Si trova dove tu non puoi vedere. Poi guardo i bracci suoi distesi, e grossi, Che dir per me non si potrebbe il quinto. Graziosa a vederla, E disdegnosa, dove si convene; Intra' suoi be' costumi un atto regna, Che Amore è tanto, quanto sua beltate: E sol d'onestà, e di gentil usanza; Posciachè al mondo bella donna nacque, Beltà di corpo e d'anima bontate": Fuorchè le manca un poco di pietate. Fazio degli Uberti? (fiori nella metà del XIV Secolo.) II. La bella stella, che il tempo misura, Sembra la donna, che mi ha innamorato, Posta nel cicl d'Amore: E come quella fa di sua figura A giorno a giorno il mondo illuminato ; Alle genti, ed a quei c'han valore, Col lume, che nel viso le dimora : E ciaschedun l'onora ; Perocchè vede in lei perfetta luce, Quel ciel d'un lume, ch' agli buoni è duce Da bella donna più, ch' io non diviso Son io partito innamorato tanto, Quanto convene a lei; E porto pinto nella mente il viso, O bella donna, luce, ch' io vedrei, Dice tra se piangendo il cor dolente: D' intelletto a parlar cosi altamente E viemmi di vederla un desidero, Che mi reca il penser di sua beltate, Che la mia voglia sprona Pur ad amarla e pur non mi abbandona; Ma fallami chiamar senza riposo. Lasso, morir non oso, E la vita dolente in pianto meno: E s'io non posso dir mio duolo appieno, Non mel voglio però tenere ascoso; Ch'io ne farò pietoso Ciascun, cui tien il mio Signor a freno, Riede alla mente mia ciascuna cosa, E fo come colui che non rposa, In pianto ed in languire. Da lei mi vien d'ogni cosa il martire; Cotal m'è or, quale mi fu a vedere, Dietro al desio, che a madonna mi tira E il grande lacrimar, che mi distrugge E non saprei io dir, quale io divegno; E la figura sua, ch'io dentro porto; Giammai trovar chi mi desse conforto, Tu non sei bella, ma tu sei pietosa, Canzon mia nova, e cotal te ne and rai, Per avventura da madonna udita: Parlavi riverente, e sbigottita Pria salutando, e poi si le dirai, Com' jo non spero mai Di più vederla anzi la mia finita; Perchè io non credo aver si lunga vita. Guido Guinicelli di Bologna (?) III. Giovene donna dentro al cor mi siede, Io non saprò dischiarar ciò, che vede Gli spirti innamorati, cui diletta Perchè ogni lor vertù ver lei è ita; Dunque 'soccorso chero Da quel Signor, che apparve nel chiar viso, Dimorasi nel centro la gentile Leggiadra, adorna, e quasi vergognosa : Appresso de' suoi piedi l'alma umile; E posciache nel gran piacer si accende, Per confortare ́la sua cara ancilla : L'aspra saetta, che percosso m'ave, E tuttor sempre, nè si chiama stanco, Che 'l si converta in amaro sospiro: A simile d' uom morto; E s'egli avvien, ch' io colga alcun conforto, Ancor di certo ciò non mi assicura ; Anzi sto in paura; Perchè di rado nel vincer si acquista, Luce ella nobil nell' ornato seggio, E signoreggia con un atto degno, Qual ad essa convene ; Poi sulla mente dritto li per meggio Amor si gloria nel beato regno, Ched ella onora, e tene; Sicchè li pensier, ch' hanno vaga spene, Considerando si alta conserba Fra lor medesmi si coviglia, e strigne : E d'indi si dipigne |