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Pulito, e brun, talchè dipinto pare,
Il vago mio pensier allor mi tocca
Dicendo: Vedi allegro dar di piglio
Dentro a quel labbro sottile, e vermiglio,
Dove ogni dolce, e saporoso pare.
Deh, odi il suo vezzoso ragionare
Quanto ben mostra morbida, e pietosa,
E come il suo parlar parte e divide :
Mira, che quando ride,

Passa ben di dolcezza ogni altra cosa:
Così di quella bocca il penseir mio
Mi sprona, perchè io

Non ho nel mondo cosa, che non desse
A tal ch' un sì, con buon voler, dicesse.
Poi guardo la sua svelta, e bianca gola

Commessa ben dalle spalle, e dal petto;
E il mento tondo, fesso e piccioletto,
Talche più bel cogli occhi nol disegno.
E quel pensier, che sol per lei m'invola,
Mi dice Vedi allegro il bel diletto

:

Aver quel collo fra le braccia stretto,
E far in quella goia un picciol segno.
Poi sopraggiugne, e dice: Apri lo 'ngegno;
Se le parti di fuor son si belle,

L'altre, che den parer, che asconde
Che sol per le bell' opre,

e copre ?

Che fanno in ciel il sole, e l'altre stelle,
Dentro in lui si crede il Paradiso;

Così se guardi fiso

Pensar ben dei, ch' ogni terren piacere

Si trova dove tu non puoi vedere.

Poi guardo i bracci suoi distesi, e grossi,
La bianca mano morbida, e polita,"
Guardo le lunghe, e sottilette dita,
Vaghe di quello anel, che l'un tien cinto;
E il mio pensier mi dice: Or se lu fossi
Dentro a que' bracci fra quella partita;
Tanto piacer avrebbe la tua vita,

Che dir per me non si potrebbe il quinto.
Vedi, ch' ogni suo menbro par depinto,
Formosi, e grandi, qnanto a lei si avvene,
Con un color angelico di perla :

Graziosa a vederla,

E disdegnosa, dove si convene;
Umile. vergognosa, e temperata,
E sempre a vertù grata

Intra' suoi be' costumi un atto regna,
Che d'ogni riverenza la fa degna.
Soave a guisa va di un bel pavone,
Diritta sopra sè, come una grua.
Vedi, che propiamente ben par sua
Quanto esser pote onesta leggiadria ;
E se ne vuoi veder viva ragione,
Dice il pensier: Guarda alla mente tua
Ben fissamente, allorchè ella s' indua
Con donna, che leggiadra, e bella sia:
E come move, par che fugga via
Dinanzi al Sol ciascun' altra chiarezza;
Cosi costei ogni adornezza sface.
Or vedi, s'ella piace,

Che Amore è tanto, quanto sua beltate:
E somma,
e gran bella con lei si trova :
Quel, che le piace, e giova,

E sol d'onestà, e di gentil usanza;
Ma solo in suo ben far prende speranza.
Canzon, tu puoi ben dir sta veritate:

Posciachè al mondo bella donna nacque,
Nessuna mai non piacque
Generalmente, quanto fa costei ;
Perché si trova in lei

Beltà di corpo e d'anima bontate":

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Fuorchè le manca un poco di pietate.

Fazio degli Uberti? (fiori nella metà del XIV Secolo.)

II.

La bella stella, che il tempo misura,

Sembra la donna, che mi ha innamorato,

Posta nel cicl d'Amore:

E come quella fa di sua figura

A giorno a giorno il mondo illuminato ;
Cosi fa questa il core

Alle genti, ed a quei c'han valore,

Col lume, che nel viso le dimora :

E ciaschedun l'onora ;

Perocchè vede in lei perfetta luce,
Per la qual nella mente si conduce
Piena vertute a chi se ne innamora.
E questo è, che colora

Quel ciel d'un lume, ch' agli buoni è duce
Con lo splendor, che sua bellezza adduce.

Da bella donna più, ch' io non diviso

Son io partito innamorato tanto,

Quanto convene a lei;

E porto pinto nella mente il viso,
Onde procede il doloroso pianto,
Che, fanno gli occhi miei.

O bella donna, luce, ch' io vedrei,
S'io fossi là, dove io mi son partito;
Dolente, sbigottito,

Dice tra se piangendo il cor dolente:
Più bella assai la porto nella mente
Che non sarà nel mio parlar udito;
Perch' io non son fornito

D' intelletto a parlar cosi altamente
Nè a contar il mio mal perfettamente.
Da lei si move ciascun mio pensiero,
Perchè l'anima ha preso qualitate
Di sua bella persona;

E viemmi di vederla un desidero,

Che mi reca il penser di sua beltate,

Che la mia voglia sprona

Pur ad amarla e pur non mi abbandona;

Ma fallami chiamar senza riposo.

Lasso, morir non oso,

E la vita dolente in pianto meno:

E s'io non posso dir mio duolo appieno,

Non mel voglio però tenere ascoso;

Ch'io ne farò pietoso

Ciascun, cui tien il mio Signor a freno,
Ancora ch' io ne dica alquanto meno.

Riede alla mente mia ciascuna cosa,
Che fu da lei per me giammai veduta
O ch' io l'udissi dire ;

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E fo come colui che non rposa,
E la cui vita a più a più si istuta

In pianto ed in languire.

Da lei mi vien d'ogni cosa il martire;
Che se da lei pietà mi fu mostrata
Tanto più di ragion mi dee dolere:
E s' io la mi ricordo mai parere
Ne' suoi sembianti verso me turbata
Ovver disnamorata ;

Cotal m'è or, quale mi fu a vedere,
E viemmene di pianger più volere.
L'innamorata mia vita si fugge

Dietro al desio, che a madonna mi tira
Senza niun ritegno;

E il grande lacrimar, che mi distrugge
Quando mia vista bella donna mira,
Divien assai più pregno :

E non saprei io dir, quale io divegno;
Ch' io mi ricordo allor, quando io vedia
Talor la donna mia;

E la figura sua, ch'io dentro porto;
Surge si forte, ch' io divengo morto.
Ond' io lo stato mio dir non potria
Lasso, ch'io non vorria

Giammai trovar chi mi desse conforto,
Finch' io sarò dal suo bel viso scorto.

Tu non sei bella, ma tu sei pietosa,

Canzon mia nova, e cotal te ne and rai,
Là dove tu sarai

Per avventura da madonna udita:

Parlavi riverente, e sbigottita

Pria salutando, e poi si le dirai,

Com' jo non spero mai

Di più vederla anzi la mia finita;

Perchè io non credo aver si lunga vita.

Guido Guinicelli di Bologna (?)
Dante Alighieri (?)›

III.

Giovene donna dentro al cor mi siede,
E mostra in se beltà tanto perfetta,
Che se io non ho aita

Io non saprò dischiarar ciò, che vede

Gli spirti innamorati, cui diletta
Questa lor nova vila :

Perchè ogni lor vertù ver lei è ita;
Di che mi trovo già di lena asciso
Per l'accidente piano, e in parte fero.

Dunque 'soccorso chero

Da quel Signor, che apparve nel chiar viso,
Quando mi prese per mirar si fiso.

Dimorasi nel centro la gentile

Leggiadra, adorna, e quasi vergognosa :
E però via più splende

Appresso de' suoi piedi l'alma umile;
Sol la contempla si forte amorosa,
Che a null' altro attende:

E posciache nel gran piacer si accende,
Gli begli occhi si levano soave

Per confortare ́la sua cara ancilla :
Onde qui ne scintilla

L'aspra saetta, che percosso m'ave,
Tosto che sopra me strinse la chiave,
Allora cresce lo sfrenato desiro 9

E tuttor sempre, nè si chiama stanco,
Finché a porto m'ha scorto,

Che 'l si converta in amaro sospiro:
E pria che spiri, io rimango bianco,

A simile d' uom morto;

E s'egli avvien, ch' io colga alcun conforto,
Immaginando l'angelica vista,

Ancor di certo ciò non mi assicura ;

Anzi sto in paura;

Perchè di rado nel vincer si acquista,
Quando che della preda si contrista,

Luce ella nobil nell' ornato seggio,

E signoreggia con un atto degno,

Qual ad essa convene ;

Poi sulla mente dritto li per meggio

Amor si gloria nel beato regno,

Ched ella onora, e tene;

Sicchè li pensier, ch' hanno vaga spene,

Considerando si alta conserba

Fra lor medesmi si coviglia, e strigne :

E d'indi si dipigne

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