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I. CIULLO D' ALCAMO (città non lontana da Palermo), uno de' primi Rimatori Siciliani, fiorì nel 1197, quando Federico II Imperatore, ottenne da Papa Celestino l'investitura del Regno di Sicilia; fece de' componimenti ad uso degli Arabi, e Provenzali (1). Lo stile di questo poeta fu giudicato da DANTE (Volg. Eloquenza Lib. I. cap. 12), ove allega un verso della Canzone che unicamente delle sue Opere a noi venne trasmessa appellandola Cantilena, senza però nominarne l'autore, e il chiama di niun pregio, siccome per insipido, e privo d'ogni coltezza. Questa Cantilena, che abbiamo inserita ne' saggi delle Poesie antiche, è fatta in dialoghi, ed una strofa propone, e l'altra risponde.

II. FOLCACHIERO de' FOLCACHIERI di Siena, fiori nel 1200 incirca, le sue Rime sono d' una maniera superiore a Ciullo', e inferiore a Federico II, e a Pier delle Vigne. (Saggio III).

III. PIETRO DELLE VIGNE (1220) assai stimato Rimatore per la squisitezza dello stile, visse in corte di Federico II; DANTE l' introduce a favellare nella sua Divina Commedia (Inferno c. XIII.)

» I' son colui, che tenni ambo le chiavi

» Del cor di Federico

(Saggio IV.)

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(1) Le Rime più antiche de' provenzali sono quelle di GIUSFREDO RUDELLO Signor di Bleus (morì nel 1162) nondimeno assai prima essi aveano incominciato a far versi in loro proprio linguaggio.

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IV. GUIDO GUINICELLI Bolognese, fiorì circa il 1226, principe de' Poeti Toscani, e il primo, che trattasse cose sottili, e filosofichc. Compose con tal robustezza eroica, e sodezza morale, che superò tutti gli altri del suo tempo, e meritò, che DANTE (Purg. c. 26) il chiamasse Padre suo, e di tutti gli altri Rimatori; » Rime d'amor usar dolci, e leggiadre. » Da Guido Cavalcanti fu superato Guinicelli nelle qualità dello stile. (Saggio V.)

V. SAN FRANCESCO D' ASSISI, nacque questo gran Santo in Assisi l'anno 1182; ha distintissimo luogo tra' primi Padri della nostra Volgar Poesia: non si può dire ch'ella nascesse più per lusingare il profano amore, che per promuoverne il divino, al qual fine sono indirizzati gl' Inni, e le Laudi ch' egli compose in forma di Canzonette, le quali son tutte ripiene di divino estro, e si veggono veramente dettate da quell' immenso ardentissimo Spirito, che l'infiammava ad amare Iddio. Il celebre Cantico (Saggio VI) siccome il Poema del VII Saggio sono stati scatenati dalla prosa, e purgati dall'ortografia di quella.

VI. FEDERICO II. IMPERATORE, figliuolo d'Arrigo VI, Imperatore, nacque in Palmero, o in Tesi nella Marca d' Ancona ai 26 di Decembre l'anno 1194, e morì ai 13 del mese istesso l'anno 1250, fu d'ingegno nobilissimo, coltivò, ed amò le lettere, e sempre procurò il loro ristoramento, fece tradurre in Latino le Opere di Aristotele scritte in arabo, e ristabili delle Università. Federico cooperò moltissimo a favore della Toscana fa

vella, massimamente nella Poesia, di modo che anch'esso tra i primi Padri della Lingua, e della Poesia Volgare s'annovera da DANTE (de vulg. Eloq. lib. I. 12) dal Bembo, e da altri. Una sola Canzone delle poesie dell'Imperatore ci è conservata nella Raccolta del Giunti (codice autografo nella Vaticana. 3214 fogl. 90) da cui è tratta, ed estesa nel nostro VIII Saggio. Fiorì egli quanto alla Poesia circa il 1230.

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VII. BRUNETTO LATINI, notaio Fiorentino, egualmente gran Filosofo, gran Rettorico, e gran Poeta ; le sue Opere sono ricchissime non meno d' eloquenza, che d'ottima morale. Fu il primo (secondo Villani, Istorie lib. 8 cap. 19) » che cominciò a digrossare i Fiorentini, e farli scorti di ben parlare, e in saper gui» dare la loro Repubblica secondo la politica Veramente di lui posson chiamarsi discepoli DANTE, Guido Cavalcanti, il Barberino, il Petrarca, il Boccaccio, e Fazio degli Uberti, essendosi tutti arricchiti del Tesoretto. DANTE imitò lo smarrimento per una selva oscura; il Barberino il parlare, e l'insegnare che fanno le virtù ; il Petrarca ne' Trionfi; il Boccaccio nel Labirinto, e Fazio degli Uberti nel suo Dittamondo. DANTE lo mise tra i poeti di buono stile ma forse in odio, chè Brunetto era stato del partito Guelfo quando egli seguitava i Ghibellini. I Fiorentini l'ebbero sempre in grandissima stima, e riconoscendolo per Maestro, e onorandolo col titolo di valente, di grande, di savio, e di sommo, ed anche facendolo Dittatore del loro Comune (Giov. Villani lib. VI. cap. 75), venne onorato da Principi stra

nieri, e particolarmente dai Re di Napoli. Il maggior suo fiorire potè esser circa il 1260. Scrisse in prosa Francese il TESORO, ossia una Enciclopedia delle scienze umane in quattro capitoli, di cui il primo tratta del Cielo e della Terra, della Storia, e della Fisica, intrecciato con varie Leggende antiche, e pitture fantastiche; il secondo dell' Etica; il terzo della Logica, il quarto infine della Rettorica e Politica. Quest'Opera, cominciata dall'autore nell' anno 1255, terminata nel 1260, venne tradotta in Italiano da Bono Giamboni (Treviso ai 16 Dec. 1474; e Venezia 1533 ecc. ecc.) Il contenuto del TESORETTO di Brunetto è il seguente Nel suo ritorno di Spagna (1260) dall'ambasceria fatta per il Comune di Firenze al re Alfonso, smarritosi in una selva, finge avervi trovata la Natura, con cui, e con quasi tutte le virtù ragionava delle materie, per le quali si suol possedere il nome di scienziato, virtuoso, costumato, e pio. Un accreditato autore posteriore ne parla nel seguente modo: « Da

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quest'opera son nate le nostre maggiori Muse, ond' a ragione vien nominato Maestro. » Più felicemente de' suoi antecessori Latini riuscì nel sollevare con tali opere il secolo dalla barbarie, che non fu ne' tempi Gotici a coloro, che riducendo in brevità le arti, e le scienze tutte, procacciavano d' allettare con poca fatica gl' ingegni a non cadervi. Posciachè si vede succedere a quelli ch'abbiamo ricordati di sopra una sequela di altri chiarissimi intelletti, da' quali non pure Firenze, e Toscana, ma l'Italia tutta, e l'Europa ne ricevettero splendore immortale. La maniera de' versi adoperata da Ser Brunetto è stimata da

Franc. Barberino esser la più antica della nostra lingua. Il PATAFFIO del medesimo autore è una frottola, ossia un accozzamento di proverbi, motti, e riboboli in terza rima, dei quali abbiamo dato un Saggio (num. XI) siccome d'un Sonetto ricavato dal Codice 580 car. 764 della Chigiana. (Vedi anche un frammento del Tesoretto, Saggio IX).

» Barbariem veterem, Te Rhetore, Thusca juventus » Exuit, et linguae paulatim sermo Latinae

» Cultior eluxit, priscumque recepit honorem,

» Nam de fonte tuo mansuras ebibit undas

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VIII. BERNARDO DA BOLOGNA, fiorì circa il 1280. Allacci ci serbò un suo Sonetto scritto a Cavalcanti, (Saggio XII) dal quale apparisce il miglioramento, che aveano incominciato a fare quelli, che vennero dopo Federico II, massimamente nell'ortografia, e nella purità della lingua. Altri suoi Sonetti si leggono dopo la Bella Mano di Giusto de' Conti pubblicate dal Corbinelli.

IX. DANTE DA MAIANO (luogo del Poggio di Fiesole), fiori circa il 1290, riconosciuto, e stimato da Dante Alighieri, e da Guido Cavalcanti per aver contribuito non poco all'ingrandimento della Toscana Poesia; contuttociò le sue rime non hanno la robustezza dell' Alighieri, nè la dolcezza di Cino, nè la squisitezza dello stile d'ambedue, essendosi egli valuto a larga mano delle voci anche più volgari, e plebee, e di tutte le sconce licenze, come danno a vedere quelle sue rime, che si leggono nella rac

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