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disobbedienti, insolenti, fuggitivi, e in nessun modo abili a resistere alle ferme e forti ordinanze de' svizzeri e tedeschi. Oltre di questo, non si fida tanto il re in loro, sapendo come siano i suoi spagnuoli da loro odiati, che volesse nella lor fede commettere l'importanza di tutto un esercito. Per tutti questi rispetti adunque il re ne' suoi bisogni, sia nei Paesi Bassi o sia in Italia, ha fatto il fondamento de' suoi eserciti sopra i tedeschi, della fede dei quali e del valore più volte esperimentato sa che si può fidare, e si è contentato, per maggior sicurtà delle cose sue, che più degli altri gli costassero, e di sopportar la loro licenza cosi quanto spetta alla religione, come al resto. Di loro l'imperatore si serve come di proprj sudditi; ma il re, che non tiene superiorità nell'imperio, conviene averli come forestieri, e riconoscerli dai principi loro signori e da quelli che lor concedono il passo di venir ne' suoi paesi; talchè le più importanti forze sue da terra, che consistono nella fanteria, pajono in certo modo dipendere dalla disposizione e volontà degli altri. Il medesimo si può dir della cavalleria, perchè volendola accrescere a grosso numero è necessitato ricorrere in Germania, benchè poi nella cavalleria germana si possa, per diversi rispetti, desiderar quella perfezione che è nella fanteria.

Mancano ancora al re per capitani de' suoi eserciti quei Colonna, Pescara, Leva, Vasto, Borbone, Gonzaga e Marignano, i quali col lor valore acquistarono all' imperatore tante e così nobili vittorie. Tra' spagnuoli, a'quali si danno sempre i più importanti ed onorati carichi, non si nominano ora quasi altri che il duca d' Alva, il duca di Sessa, e i vicerè di Napoli e Sicilia.

Ma il duca d'Alva, se bene per età ed esperienza è di gran lunga superiore a tutti gli altri, siccome quello che non solamente ha vedute, ma come capo e generale maneggiate molte guerre in Germania, in Piemonte, nel reame di Napoli e nel paese di Roma, nientedimeno ha nome piuttosto di savio che di valoroso capitano; perchè con eserciti potentissimi, atti ad ogni grande impresa, si è contentato di non aver perduto.

RELAZIONI VENETE.

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Al duca di Sessa (1) felicemente riusci in Piemonte l'impresa di Centale e Moncalvo, ma non è chi gli attribuisca molta o poca intelligenza delle cose della guerra, e piuttosto vien tenuto per uomo delicatissimo ed oziosissimo, che attenda tuttavia all'amore, alle mascherate, a' tornei, e cose tali, per le quali ha consumata quasi tutta la sua facoltà e gli è convenuto vender la maggior parte del suo stato, siccome della vita sua e del suo procedere quei di Milano ne sanno molto ben render conto, ed io ancora ne potrei dir più d'una particolarità. Però egli ridotto in povertà, e tuttavia continuando nei medesimi modi, avria cara ogni occasione di provar fortuna, onde potersi rifare; e di qua è nato qualche suo disegno di tentare alcuna impresa; e quando giunse alla corte si lasciò particolarmente intendere che volentieri avria voluto il carico dell'impresa d' Africa, della quale si ragionava innanzi che seguisse il caso delle Gerbe. Procurò poi ancora d'esser fatto generale dell' armata, e finalmente, quando si disse di mandare ajuto in Francia a' cattolici, dimostrò desiderio di esserne fatto capo, in caso che gli ajuti si avessero a mandare uniti, e non separati come si ragionava (2).

Il duca d'Alcala (3), vicerè di Napoli, non ha mai veduto guerra, ed ora, come si dice, dimenticandosi di così gran carico che tiene, attende quasi continuamente ai giuochi e all' ozio, lasciando la cura di quasi tutti i negozi al segretario Soto.

Del duca di Medinaceli (4), vicerè di Sicilia, non mi fa bisogno dir altro, poichè la riuscita della impresa delle Gerbe può dimostrare quanto il re si possa fidar di lui.

Nei Paesi Bassi poi non saprei nominar altri, che avesse nome di buon capitano, che il conte d'Egmont, che ebbe

(1) Ferdinando di Cordova, discendente dal gran capitano Gonzalvo al quale Ferdinando il Cattolico aveva conferito il ducato di Sessa nel regno di Napoli. Stette dal 1558 al 1560 al governo di Milano.

(2) Del duca di Sessa e della sua matta prodigalità parlano anche le seguenti relazioni.

(3) Parafan di Rivera, mandato vicere a Napoli nel giugno 1559. Mori in quel carico nell'aprile del 1574.

(4) Don Giovanni della Gerda.

gran parte nella vittoria di Gravelinga (1), ma forse è più ardito che savio; e alla vita che fanno quegli uomini, di mangiare e bere oltra misura, con difficoltà può riuscire tra loro un perfetto capitano.

GI' Italiani che si trovano al servizio del re cattolico già son noti alla Serenità Vostra. Il marchese di Pescara (2), di grande speranza; il duca d'Urbino (3), che non si è trovato mai a nessuna impresa; il signor Marcantonio Colonna, di buon nome (4); il sig. Ascanio della Cornia (5), tenuto per intelligente e valoroso; il sig. Antonio Doria (6), di molta età ed esperienza, e di buona volontà dimostrata verso questo stato; il sig. Gio. Batista Castaldo (7), medesimamente di grande età, molta esperienza e buon volere; il sig. Cesare Gonzaga (8), altrettanto più giovane, generale della gente d'arme di Milano; e il sig. Vespasiano Gonzaga (9), generale della infanteria italiana. Ma nessun di questi è di tanta autorità, che a lui fosse dal re commesso un esercito, se non forse il marchese di Pescara, che nel tempo della guerra ha comandato in Piemonte, e che passa anco in certo modo per spagnuolo (10).

Quanto all' armata, fu fin al tempo dell' imperatore Carlo ricordato ch'ella si dovria accrescer tanto che fosse superiore alla turchesca, mostrando che ciò non era impossibile ad un principe che possedea tanti stati alla marina, copiosi di legnami e di tutte le altre cose necessarie, colla comodità massimamente della città e riviera di Genova, che potria somministrar grandissima copia di marinari. Colla quale armata non

(1) II 13 luglio 1558; vittoria che determinò l'apertura delle trattative, che condussero alla pace di Castel Cambrese.

(2) Francesco d'Avalos, figlio di Alfonso marchese del Vasto e di Pescara. (3) Guidobaldo II.

(4) Quegli che poi comandò le galee pontificie nella giornata di Lepanto, ed ebbe tanta parte in quella vittoria.

(5) Vedi S. I, T. 3o, p. 373. Fu maestro di campo generale dell' armata della

Lega a Lepanto. Mori poco appresso.

(6) Vedi S. I, T. 1°, p. 305, e T. 3o, p. 368.

(7) Di lui pure è discorso nei precedenti volumi.

(8) Primogenito di don Ferrante principe di Guastalla.

(9) Capo, allora, del ramo dei Gonzaga di Sabioneta. Uno, come dice il Lit

ta, tra i più insigni di sua casa.

(10 E veramente la famiglia d' Avalos era di origine spagnuolo.

per so

solamente non si accrescerebbe, ma si diminuirebbe la spesa, perchè si potrebbe in questo caso far di meno di quella che ogni anno in ciascuno stato vicino al mare, spetto d'infedeli, si convien fare, senza comparazione molto maggiore, aggiungendo che i beneficj, che per quella si ri ceveriano, sariano inestimabili. Perciocchè non solo si assicurerebbero molto meglio i paesi dalle tante invasioni, che con gran danno loro e infamia perpetua di lui patiscono, e di disuniti si renderiano uniti; ma ancora, accresciuto di forze e di reputazione, saria certo di tener sempre in officio i confederati, e la Serenità Vostra in maggior rispetto verso lui che verso il Turco; onde allora, stimato e d'ogni parte sicuro, potria disegnar qualche impresa, e particolarmente quella d'Africa necessaria alla sicurtà della Spagna; la qual non si può tentare con buon consiglio, se prima le forze di mare non sono superiori alle turchesche.

Questo ricordo, se bene paresse buono all' imperatore, nientedimeno, per essere in altre cose occupato, non fu mai da lui messo in opera. Ma il re presente, coll' occasione della pace e dell'ozio, conoscendo chiaramente come nessun' altra cosa più di questa può accrescer la riputazione e grandezza sua, già molto tempo dimostra di tener l'animo inclinato ad abbracciarlo, ed ha dall' un canto avuto ventura di trovare un pontefice che per si fatto modo ha secondata la volontà sua, che gli ha provvisto in Spagna, per via del clero, le paghe di 60 galee, oltra gli assegnamenti che vi sono in Siviglia per 16, in Napoli per 17, in Sicilia per 4, che in tutto fanno assegnamenti per 97 galee; e i mercanti di Siviglia si sono offerti al re di provvedere per altre 4; sicchè, in tutto, il re avria l'assegnamento pronto delle cento galee ch'esso è obbligato di tener per la bolla della concessione del pontefice. Ma dall' altro canto ha avuto la disavventura che in poco più di due anni e mezzo ha perduto per diversi accidenti 64 galee, come ben apparirà a chi vorrà ricordare la rotta delle Gerbe, la perdita del Cicala (1) e il naufragio di Spagna (2). Però

(4) Veggasi sopra a pag. 15.

(2 Veggasi parimente a pag. 11.

al presente non ne ha il re in essere più di 34 in circa; e se ben si dicono molte parole del re, non solo di supplire al numero a cui è tenuto, ma ancora d'aver sempre pronti molti altri corpi di galee da armare nei bisogni, in quel modo che arma la Serenità Vostra, d'uomini liberi descritti ne' paesi, per poter ne' bisogni accrescere e fortificare l'armata sua; nientedimeno avendo rispetto alla poca cura che ordinariamente si mette in questo, e alla solita negligenza di quella corte, son tanto lontano da creder che mai si abbiano da condurre ad effetto si grandi disegni, che piuttosto penso che sia da desiderare che da sperare di veder mai anco perfetto il numero solo delle cento galee. Ma quando poi questo si fosse adempiuto, non potria però il re di continuo, o molto lungamente, tener l'armata sua unita, la qual per tanto spazio di mare si troveria separata ; e la Spagna, che farà la maggior parte della spesa, non vorrà sopportare di restar lungamente senza guardia, avendo massimamente i corsari d' Africa vicini, che spesso la molestano.

La qualità appresso delle galec è degna di considerazione, perchè quelle che sono proprie del re, per negligenza e avarizia de' ministri, non si sono mai vedute in ordine delle cose necessarie, mancando principalmente del conveniente numero di artiglierie, di marinari, e di soldati; e le altre che sono di particolari, perchè essi procurano più il beneficio proprio che quel del principe, per diverse ragioni che ora saria troppo lungo di raccontare, non possono far utile servizio. E queste e quelle sono per la maggior parte armate di schiavi nemici del padrone e desiderosi della libertà; e benchè il re abbia voluto regolarle e mettervi alcun miglior ordine, nientedimeno non si potrà mai levar il naturale affetto degli schiavi, gl' interessi dei particolari, e gl' interessi e negligenza de' suoi ministri.

In questo termine adunque mi sono sforzato di descrivere, come ho potuto comprendere e giudicare che stiano, le proprie forze del re cattolico. Ora dirò i rispetti ch' egli ha con gli altri principi, per i quali si potrà congetturar quanto più o meno quelle siano da stimare.

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