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sempre si troverà più ardente, ma che tale ufficio specialmente si conveniva alla beatitudine sua, a cui la concordia e pace è piu che a nessun altro da Dio commessa; in modo che non sapeva che si rispondere, nè negarmi che la santità sua, accecata dalla passione particolare, incorre in errore.

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Scrivendo mi sono sopraggiunte lettere dal clarissimo Contarino oratore delli 16, per le quali prudentemente mi avverte quelle cose delle quali per più mie ho dato notizia alla serenità vostra, cioè delle preparazioni che si fanno per Cesare e per il pontefice per la mutazione di questo stato, sebbene dicono per Perugia, e del giungere in Roma dell' abate Nero ai 15 con l'accordo tra Cesare ed il Pontefice del quale per le precedenti mie diedi avviso alla serenità vostra.

Subito sono stato con la signoria e signori Dieci, alli quali avendo comunicato quanto di sopra ho detto, li ho esortati con tutte quelle ragioni che a questo ufficio si ricercano, e che oramai infinite volte ho usato, ad armarsi gagliardamente e fare ogni provvisione necessaria, perchè non era da dubitare delli inimici ed anche di qualche assalto improvviso e prestissimo. L'illustrissimo gonfaloniere mi rispose che non erano per mancare in cosa alcuna, ed usare tutte le forze loro senza risparmio della vita stessa, ma che era necessario che fossero soccorsi, perchè le forze loro non sariano abbastanza a tanto impeto. E qui il proposto de' signori disse: « Il bisogno è li sorte che le buone parole non ba«< stano; gli effetti son necessarj. Questo popolo se non << vede gli aiuti dovrà prender partito, come quello che << vede che da per sè stesso non può, per quanto si faccia,

A Roma, come sopra si è detto.

<< prevalere ». A me parve occasione di parlare diffusamente in tal materia, e mi sforzai, per dir brevemente alla serenità vostra, di dimostrar loro che come la rovina loro non poteva procedere se non dalla composizione con Cesare, così la conservazione era posta nella sola difesa, usando principalmente (oltre il costante desiderio del pontefice di riavere questo stato, e l'unione di Cesare con sua santità) queste due parti; l'una quanto poco si potevano fidare degli accordi con Cesare; l'altra che sempre che sua maestà abbia confermate le cose sue, come quella che è benissimo chiara delle condizioni e volontà di questa repubblica, si vorrebbe in ogni caso assicurare e levar via Pisa e Livorno e tutte le fortezze, e porre presidio nella città, in modo che saria no sempre servi; e che bisognava che essi primamente si aiutassero, e che poi di mano in mano non gli verrebbero meno gli aiuti della serenità vostra e del cristianissimo. Il gonfaloniere usò ottime parole e mi ringraziò, e quattro delli Dieci mi vennero ad accompagnare, e mi dissero: «< Am<<< basciatore, non guardate alle parole del proposto, che « le ha dette da per sè, e la ferma volontà delle città è « di correre ogni pericolo per la difesa, nella quale ab« biamo posta ogni speranza ».

Di poi sono stato con l'oratore di Siena, e di consentimento di questi signori ho usato ogni diligenza in persuaderlo che la mutazione di Perugia e di questo stato saria la servitù della repubblica sua, e che altro non si attende dal pontefice, sebbene sotto altri pretesti, che ríponere in casa Fabio Petrucci per poter poi di quella città disporre a piacer suo, e che in ciò ha favorevoli li Cesarei. Mi ringraziò molto, dicendomi che quella repub

Vedi la nota a ciò relativa nella lettera 28.a

blica era sempre stata ed era affezionatissima della illustrissima serenità vostra, e che esso faria ottimo ufficio con li suoi signori, e che conosceva che io dicevo il vero, perchè i Cesarei avevano instato perchè il governo del magistrato loro dei ventuno si riducesse a dieci, per poter meglio a' suoi voleri disponere di quello stato, e che la maggior parte se ne av vedevano; pure che tra dieci giorni si vedrebbe la volontà di quella città, nel qual tempo si aveva a creare il nuovo magistrato che ha ad entrare alli dieci di agosto. Io gli dissi, andando più innanzi, che la certa loro sicurtà saria l'accostarsi alla lega, la quale mai non li abbandonerebbe; ove che vedono che li Cesarei farebbono peggio agli amici che alli inimici. Mi rispose che il sospetto di questi signori Fiorentini era stato cagione che da prima non entrassero in essa, e che ora essendo Cesare per venire di prossimo e potente, ed avendo fatto tanto per lui, sarebbe loro vergogna il far mutazione. Gli replicai che questo anzi sarebbe argomento d'immortal gloria, che per la libertà loro e di tutta Italia avessero posposta l'amicizia anzi la servitù che avevano con Cesare. Si restrinse, e disse che teneva certissimo, che sebbene li suoi signori non fossero per mancare a Cesare nelle cose convenienti, però non vorrebbero il danno di questa città, replicandomi che faria buon ufficio.

La serenità vostra mi perdoni se io sono troppo lungo; che come io non mi stracco mai di rare tutte quelle cose che mi paiono di beneficio

pensare ed ope

suo,

così

non posso fare di non dirle la somma di quelle. Alla

grazia della quale ec.

Di Firenze li 18 di Luglio 1529.

CARLO CAPELLO

LETTERA XXXI.

SERENISSIMO PRINCIPE

Le ultime mie furono di oggi è il terzo dì per l'ordinario. Quella sera questi signori nella pratica e nel consiglio degli Ottanta consultarono lungamente come si avevano a governare in questa venuta di Cesare e in questi moti pontificj. Messer Niccolò Capponi, che fu gonfaloniere, persuase che si dovesse trattar col pontefice e con Cesare e vedere di componer le cose. Gli rispose il signor Tommaso Soderini, e parlò due ore molto bene e con soddisfazione della maggior parte, persuadendoli che non dovessero attendere in modo alcuno nè pensare ad accordo con Cesare nè col pontefice, ma continuare nella lega ed armarsi, e porre la conservazione loro nella gagliarda difesa, rendendosi certi che non sarebbero abbandonati dai confederati. E così deliberarono di fare.

Jeri ritornò qua Francesco d'Osimo con lettere di credenza del signor Malatesta a questi siguori, e alli oratori francese e ferrarese ed a me. Mi ha detto che alli 15 arrivò in Perugia un commissario del pontefice, il quale fece intendere al signor Malatesta l'appuntamento di sua santità con Cesare con condizione di riaver questo slato, la impresa del quale sua beatitudine si crede facilissima col mezzo di Siena, esortando sua signoria acconciar le cose sue con la sedia apostolica e non perder questa occasione, perchè poi lo vorrà fare quando non potrà, nè gli sarà avuto alcun rispetto; che il signor Malatesta intertiene il detto commissario con buone parole, e che

Quel Francesco Gentili di cui è discorso nella lettera 28.a

a Achille della Volta.

I

faceva intendere di aver deliberato di voler morire per la difesa sua; ma che è necessario che sia aiutato; e come ha fatto intendere a questi signori e signori oratori, mi pregava ch' io volessi far quel ufficio con la serenità vostra, del quale l'altra volta mi fece istanza, come io per le mie dei 14 ne scrissi a quella. Io ancora, sotto lettere di credenza, non ho mancato pel detto nunzio di confermare sua signoria alla gagliarda difesa, e dimostrargli che non si può fidare del pontefice con molte ragioni, e principalmente riducendogli a memoria la morte del padre e la prigionia del fratello, rendendola certissima che non gli sarà mancato di ajuto, massime da questi signori, promettendogli di far con loro ottimo ufficio come ho fatto veramente, e che io replicherei alla serenità vostra, la quale l'aveva in luogo di figlio, e stimava le cose sue come proprie. Jersera dipoi finita la pratica di questi signori ritornò a me, e dissemi che l'oratore francese e il ferrarese gli avevano risposto, l'uno che non si trovava in comodo di denari da soccorrerlo, ma che bene scriveva al signor Renzo che operasse di maniera che gl'inimici non potessero partirsi dal regno; l'altro che scriverebbe al signor duca suo diligentemente, ma che conosceva che era bisogno di altre forze che di sua eccellenza. Che questi signori gli avevano dato due mila fanti, in modo che tutta la speranza del signor Malatesta suo padrone si posa nelli soccorsi di questi signori e della serenità

vostra.

Gioan Paolo Baglioni, non è ben noto per quale cagione, fatto decapitare da Leon X, il dì 11 giugno del 1521, in Roma, dove il pontefice con istudiati artifizj l'aveva indotto a portarsi.

2 Orazio, fatto arrestare in Perugia da Clemente VII nei primordj del suo poutificato, e condurre a Roma in Castel Sant'Angelo, ove fu tenuto finchè parve al pontefice più utile l'adoperarlo che lo spegnerlo.

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