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Il Fojano predicatore fu fatto ritenere dal signor Malatesta e manderassi al pontefice '. Le stinche furono rotte, ove erano gli Aretini e i Pisani; e i prigionieri, i quali erano rinchiusi in due palazzi, furono liberati, e in molti luoghi il popolo gridava le palle, e brevemente la città tutta dimostrò una nuova faccia.

Quel giorno medesimo furono fatti quattro ambasciatori a don Ferrante, Bardo Altoviti, Lorenzo Strozzi, Jacopo Morelli e Pier Francesco Portinari, li quali alli 11 andati e ritornati, e venuti nella terra Bartolommeo Valori commissario generale del pontefice e il signor Pirro da Castel San Pietro ed il signor Galeazzo Baglioni, trattarono gl'inclusi capitoli *, li quali quello stesso giorno furono ottenuti nel consiglio degli Ottanta, e mandarono oratore al pontefice in poste Bartolommeo Cavalcanti per ottenere dalla santità sua che gli ostaggi, quali sono richiesti da Cesare alla città in numero di cinquanta, non abbiano ad essere più di venticinque.

Jeri poi furono sulle provvisioni de`denari per le genti di fuori e per quelle di dentro; ed oggi nel gran consiglio hanno dato libertà alla signoria di fare che cinque cittadini provvedano il governo di ducati cento mila,

E fu mandato: e « si disse poi che, vivo o morto, ebbe in sepol« tura il fiume del Tevere. » (Nardi IX). Il Varchi nel XII.o racconta che « chiuso in castel Sant' Angelo, dopo più e più mesi, stando in ultima «< inopia di tutte le cose necessarie, ed essendogli ogni giorno per commis«<sione di Clemente stremato quel poco di pane e d'acqua che gli erano « conceduti, non meno di sporcizie e di disagio, che di fame e di sete mi« serabilmente mori. »>

* Questa capitolazione in dieci capi leggesi nel Varchi, nel Nardi ed altrove, la quale non era al tutto disonorevole pe' Fiorentini, portando per primo che la forma del governo avesse da determinarsi da Cesare e non dal papa, e che si conservasse la libertà. Se non che, come appunto dice il Varchi, di queste convenzioni non solo non ne fu osservata nessuna, ciascuna fu fatto precisamente il contrario.

ma di

li quali tra mesi sei sieno rimborsati da cento cittadini, e li cento poi da altri trecento, e questi ultimi siano fatti creditori sopra le prime angarie; e così li cinque, come li cento e li trecento, saranno nominati dalla signoria come al pontefice, cioè al signor Malatesta, parerà: e già hanno fatto provvisione di ducati quaranta mila, dimani sperando di mandar a torre delle vettovaglie; e tratterrannosi molti altri capitoli pertinenti al signor Malatesta '.

Io in tanta difficoltà e confusione, essendomi d'ora in ora noto quanto da ciascun lato si ordinava, ho usato ogui destrezza, e con l'una e con l'altra parte ho fatto tutti gli uffizj che per conservazione della città si convenivano a mitigare gli animi concitati, ed a porre tra loro concordia. Nè però si può fidarsi della salute della città fino a che l'esercito non sia partito, tanto è il desiderio del sacco; e questa notte da tre bande sono veuuti alle mani, ed hanno tentato di entrarvi; ma il capitano non manca d'ogni diligenza.

Per lettere de' miei del dì 4, ho inteso quanto sopra ogni merito mio onoratamente la serenità vostra mi ha creato suo savio di terra ferma; onde sebbene non è virtù in me che possa produrre operazioni tante nè tali che rispondano alla grazia sua e al desiderio mio, pure io le confermo che ogni accrescimento di dignità nella persona mia sarà sempre a beneficio ed onore di quella, e che sempre con tutte le forze mie darò opera che almeno ciascuno intenda che io conosco e confesso che oltre gl'infiniti debiti che ogni buon cittadino ha

Questi pure si leggono nel Varchi.

2 Clemente VII non voleva, e s'intende, regnare sopra un cadavere. Malatesta gli doveva rispondere della integrità di Firenze: l'osservanza delle promesse del pontefice verso di lui era a questo sol patto.

alla patria sua, devo io particolarmente per tante e tanto immeritate beneficienze esserle immortalmente obbligato. Ed alla grazia della serenità vostra umilissimamente mi raccomando.

Di Firenze li 13 di Agosto 1530.

CARLO CAPELLO

P. S. Il signor Malatesta mi ha due fiate richiesto ch'io offerisca alla serenità vostra ad ogni servizio suo la persona sua e cinque o sei mila fanti eletti. E veramente come non si può negare che non siano genti valorose quelle che si trovano con sua signoria, così mi pare superfluo dire del chiarissimo valore di quella, e quanto sia accorta ed avveduta '.

1 Ho notati questi due epiteti perchè svelano il giudizio che il Capello facesse del Malatesta; intorno il quale se le convenienze diplomatiche non gli permettevano di dare in queste lettere più aperta testimonianza, tornato in patria altamente proclamò il tradimento da lui operato, come consta da una lettera contenuta nel codice 595 della classe strozziana nella Biblioteca Magliabechi; lettera ch'io mi propongo di pubblicare insieme a molt' altre del Feruccio, dell' Oranges, del Gonzaga, del Carducci, del Carnesecchi, dell' Alamanni e di altri, relative all' assedio di Firenze.

Con questa lettera si conchiude la corrispondenza e, cred' io, la legazione del Capello; avvegnacchè da questa ultima missiva appaja come il governo suo, presentendo la imminente crise della Repubblica di Firenze, lo avesse già deputato ad altro carico.

A noi tardava di raggiungere la fine della medesima, nou per distenderci nei numerosi rilievi dei quali la materia ci offrirebbe argomento, ma per fermarci ad uno solo, al quale nel corso di queste lettere abbiamo accennato, cioè al giudizio che debba farsi di Malatesta Baglioni, intorno gli operati del quale troviamo in questa

legazione del Capello due nuove ed importantissime testimonianze da aggiungere alle molt' altre che le storie di questi avvenimenti ricordano; voglio dire le sue frequenti corrispondenze coi nemici della repubblica, ed il ragguaglio del numero dei medesimi che rimase nel campo dopo la partita dell' Oranges; testimonianze le quali tanto eziandio si avvalorano dallo spettacolo si vivamente. espresso in queste lettere della indomita costanza e dei solenni propositi de' Fiorentini.

Nè mi conduce a questo rilievo il pensiero di restituire una verità storica della quale negli uomini assennati e coscienziosi non può essere dubbiezza; ma il bisogno, anzi l'obbligo, che, come uomo compreso della dignità delle lettere, sento in me di protestare contro lo spirito di un libro venuto in luce a questi giorni in Perugia, sotto il titolo di Vita e imprese militari di Malatesta IV Baglioni, pel quale il signor Gio. Battista Vermiglioli intende di tessere un panegirico all' ultimo capitano de'Fiorentini; libro la cui moralità è non dirò di trovar scusa ma lode dello spergiuro.

Che dove pur fosse vero il contrario di quello che è ad csuberanza provato, che cioè i Fiorentini non avessero potuto venire a capo di quella impresa, l'obbligo strettissimo dell' uomo che aveva giurato di dare non che le sostanze la vita per quella causa, era di morir combattendo o di dimettersi da quel comando. Ma il convenire e dargli lode d'avere patteggiato coi nemici, e trattenuto i Fiorentini dal venire a battaglia anche quando egli, il Malatesta, credeva che avrebbero potuto sortirne vittoriosi (p. 115-116), e ciò per lo specioso titolo che quel popolo fosse poi per cadere nei pericoli delle discordie intestine, è tale spregio della virtù che volentieri mi persuado non essersi dallo scrittore intesa la portata delle sue proprie parole.

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