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sedia sempre un papa che gli sia amico, perchè il maggiore suo stimolo è che non venga un pontefice che gli sia nemico; perchè confinando assai con lo stato della Chiesa non può aver il duca maggior disturbo se non da quella banda; che nissun altro principe gli può far guerra offensiva, nè solo nè accompagnato con altri, se non ha la comodità delle vettovaglie e delle monizioni da quello stato. Nè bisogna pensare che in Toscana vi possa durar molto un esercito grosso; perchè il duca ha introdotto un bel ordine ne' suoi stati in tempo di pace, acciocchè in tempo di guerra e quando bisogni non patiscano, e non si renda difficile l'osservarlo; e l'ordine è questo, che tutti li grani e tutti li vini, subito fatti li raccolti, si portano e si conducono nella città e luoghi forti, e li contadini e gli uomini di campagna ne vanno poi a pigliare per li loro bisogni di tempo in tempo; e di quello che entra e di quello che esce se ne tiene particolar conto, e tutto passa per bolettini e licenze senza alcuna spesa; di modo che sempre la campagna è vuota, e le terre, città e luoghi forti sono pieni; e mal beato colui che facesse in ciò fraude: ma è tanto il terrore, che non vi è alcuno che ardisca contraffare agli ordini dati.

E questa cosa di far monti di provvisioni camminà con tanta esattezza, e così facilmente, che il principe sa sempre, e vuol sapere a dì per dì sino a un granello quanto vi sia in ogni luogo, premiando gli accusatori, e castigando li transgressori gravissimamente; e con questi modi s'assicura dalli potenti eserciti, e delli minori non teme per aver il modo di cacciarli e di romperli. E di qui nasce che teme assai d' un papa nemico, perchè dallo stato della Chiesa l'esercito nemico può aver tutte le comodità; e però usa sempre ogni potere e ogni sua autorità per avere li pontefici dalla sua, e fatti di sua mano, come si può dire.

Del duca di Ferrara ', essendo già suo genero e giunto con un vincolo così indissolubile com'era, faceva grandissima stima e ne teneva un grandissimo conto, perchè pensava d'aver fatto, si può dire, di due stati uno solo, e disegnava di potersene valere assai in ogni tempo e in ogni occasione. Vero è che la cosa della precedenza dichiarata dall' imperatore con tanta istanza in favor del duca di Firenze aveva turbato assai l'animo del duca Alfonso; ed ora che gli è morta la moglie farà nuovi disegni, perchè gli pare quasi esser uscito di tutela, perchè pareva che in ogni cosa sua volesse il duca di Firenze porvi in certo modo l'arbitrio suo; il quale mi soleva dire molte volte che la maggior contentezza che avesse era d'avere il duca di Ferrara per figliuolo così ossequente.

3

Del duca d'Urbino come suo vicino non stà molto contento; anzi teme la grandezza di questo principe, e quasi dubita che a qualche tempo non possa arrecare disturbo alla sua successione.

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Del duca di Mantova non accade fare altra considerazione, se non che, insieme con gli altri nominati, ha da pensare che la grandezza di Firenze non sia buona per niuno di loro.

Vi sono poi Genovesi e Lucchesi, li qua li stanno in un continuo spavento di questo principe. Genovesi, perchè sanno che egli pretende di tor loro Sarzana, luogo d'importanza a confini di Toscana, che già soleva essere dei Fiorentini, e sanno ch' egli pretende azione sopra la Corsica che fu già dello stato de'Pisani, e sanno benissimo che

1 Alfonso II.

2 Per Lucrezia sua terzogenita andata sposa ad Alfonso nel febbrajo del 1560, e morta il 21 aprile dell'anno susseguente.

3 Guidubaldo figliuolo di Francesco Maria.

4 Guglielmo, fratello di Francesco III, morto nel 1550 senza

succes

sione.

con ogni minima occasione la romperia volentieri con loro per passare più oltre; di modo che del duca hanno una grandissima paura. De' Lucchesi poi non bisogna parlare, che stanno come la quaglia sotto lo sparviere, e sempre con questa ansietà d'animo di non andare nelle mani del duca, che li circonda collo stato suo. Ma il duca che non vede come averli in modo da essere padrone assoluto degli uomini e dai capitali, li quali sono per la maggior parte in mercanzie e denari contanti sopra cambj, e che conosce che ogni minimo moto saria un disertar quella città, perchè cittadini se ne partiriano abbandonando con le facoltà loro la patria, come fecero Pisani, e che vede così esser difficile non ad impadronirsi di quella città che in un soffio se la faria sua, ma ad impadronirsi degli uomini che sono quelli che fanno gli stati, li lascia nei loro termini vivere quieti, ma si ben sempre in timore; sì che eziandio in questo modo, lasciandoli nella lor libertà, gli sono si può dire soggetti.

Resta la serenità vostra, che per essere potente di forze, d'autorità e dignità suprema in Italia, desidera il duca di Firenze sommamente di esser da quella stimato e onorato, e tenuto per principe che possa e vaglia di forze e di consiglio; perchè chiaramente vede e tocca con le mani che dalle dimostrazioni che gli saranno fatte da questa serenissima repubblica debbono pigliare esempio tutti gl'altri principi, avendo egli sempre nella mente questa finale intenzione di voler essere tenuto dalli principi estranei come un moderatore delle cose d'Italia, e dai principi d'Italia come di tanta autorità sugli estranei, che li possa muovere e fermare a libito suo.

Bisogna qui dire anche due parole del Turco, acciocchè anche in questo si veda come egli procede cautamente. Con questo procura il duca d'esser tenuto grande,

e che il nome suo sia famoso; ma non vuol però che il Turco venga in cognizione che il bailo de' Fiorentini' dipenda immediate da lui, nè che la nazion fiorentina abbia che fare col duca; perchè in ogni caso che le sue galere facessero danno ai luoghi e navilj turcheschi, non vuole il duca che il Turco abbia attacco coi Fiorentini e con i loro capitali in Costantinopoli, nè che di quelli possa far rappresaglia. E questo fine mi pare che gli riesca a bene, perchè dei danni fatti per il ponente alle navi turchesche, ed ultimamente per le sue galere ritrovate e prese nella impresa delle Gerbe, il signor Turco non ha mai fatto movimento contro i Fiorentini.

Ha il signor duca di Firenze eziandio un'altra intenzione; ch'egli vorria che il signor Turco tenesse sempre in timore con le sue galere il re Filippo, acciocchè questi fosse per aver sempre bisogno e delli suoi aiuti, e del suo consiglio; perchè gli par ora che non vi sia altra via di poter più stringere il re Filippo di questa, nè altro mezzo maggiore di levargli non solamente il pensiero delle cose di Siena, ma di trovar modo di ricuperare le fortezze di quello stato, talmente che di Siena non abbia mai più a dubitare. E non voglio restar di dire, che quando seguì la strage dell'armata cattolica alle Gerbe, il re Filippo si pose in tanto terrore e spavento, pensando che la perdita fosse maggiore, e che fosse impossibile rifare più l'armata, e che il Turco fosse per seguire la vittoria e non fosse per porvi tempo, ch' egli pensò e disegnò e si risolse di volere al tutto procurare una pace o vero tregua col Turco, tanto più che sapeva che alla morte dell'imperatore Carlo V suo padre, il Turco si si era lasciato intendere che con Filippo non era per far

1 Ossia il rappresentante loro in Costantinopoli.

guerra, volendo lui star in pace. E mosso da questo, per voler assicurare le cose sue, voleva che don Alvaro ', che fu fatto prigione in quella fazione, fosse quello che attaccasse pratica d'accordo. Ma il duca di Firenze presentendo questo, cominciò a biasimare questa opinione ed a mostrare la facilità di rifare l'armata, e di vincere eziandio, e tanto fece con il dir suo, con il quale vale assai, che al fine rimosse il parere di sua maestà cattolica, dal quale il duca vedeva bene che gli saria ritornato grandissimo danno, sì perchè le cose sue da mare bisogna che abbiano spirito da quelle del re Filippo, e sì perchè levandosi il sospetto della guerra turchesca, la mente di quella maestà si rivolgeva forse alle cose di Siena. Delle quali è da dire che non si sarebbe parlato tanto, e che facilmente saria il duca potuto uscire di quella suspizione se fosse stato ne'suoi termini quieto e basso senza far strepito e rumore, e che se come aveva cominciato continuato avesse veniva tacitamente, e senza che altri se ne accorgesse punto, a quella maggiore grandezza ch'egli si era già preparata, dalla quale nessuno più l'avria potuto ritrarre. Ma non potendo più ritenere le voglie del suo desiderio, spinto dal favore che gli pareva già d'aver conseguito dalla serenità vostra e dal papa, che con la residenza insolita de'ministri lo avevano innalzato tanto, che come principe naturale aggiunse il Dei gratia ai suoi titoli, si volle mostrare al mondo con quella maggior grandezza che si possa desiderare o vedere, entrando come trionfante in Roma 2, dal papa e da tutta la corte romana

'Di Sandes, vecchio e valoroso soldato.

2 Nel novembre del 1560; sui fini della quale andata la presente relazione, senza svelarli apertamente, discorda assai dal Galluzzi, il quale l'appone al desiderio che fosse in Cosimo di sollecitare il papa alla riapertura del Concilio di Trento.

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