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subito non si componevano le cose, è da credere che o i sollevati superavano i Medici, e allora il Borbone così vicino avrebbe accordato con loro, ed insieme si sariano intesi alla rovina del papa; sicchè i Cesarei avriano avuto il papa e Firenze, e medesimamente in tal caso la rovina veniva addosso a questo serenissimo stato: o i Fioaentini andavano a fil di spada; e le signorie vostre non si potriano ora servire di quella repubblica, come si fa; perchè restando a discrezione del papa, ed il papa essendo prigione delli Cesarei, quella medesimamente si saria data a discrizione di questi. Al qual disordine e male si rimediò nel mondo che ho detto dal duca d'Urbino e dal Pani insieme con me.

Il quarto buono effetto seguito per questa legazione fu, che li signori Fiorentini entrassero nella lega nostra con Francia come principali separati dal papa; la qual cosa le signorie vostre eccellentissime per loro lettere si degnarono tanto laudare e commendare '.

storie. » Francesco Guicciardini superò nella forza dell'ingegno Francesco Vettori: ma ebbe con lui eguali le inclinazioni e la finc: perchè a un anno di distanza da quello, il 27 maggio del 1540, mal contento di sè stesso e d'altrui, nel suo ritiro d'Arcetri, nella età di soli cinquantotto anni, passò di questa vita.

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1 «Non mancarono in questo tempo (dopo sedato il tumulto de' 26 « d'aprile) messer Luigi Pisani e messer Marco Foscari, uomini di gran«dissima estimazione, l'uno de' quali era provveditore del campo, e l'al

tro risiedeva in Firenze per la signoria di Venezia, per non perder così << fatta occasione, conoscendo la città essere a termine ridotta, che ella «niuna cosa che chiedessino disdire loro ardirebbe, di fare istanza, e volere a ad ogni modo che, non si fidando o della voglia o della possa del papa, i Fiorentini la lega a loro nome proprio rinnovassero. Onde la domenica seguente, che fu alli ventotto, si stipulò nel palazzo Medici il contratto tra i capi della lega da una parte, e i signori otto di pratica della « città di Firenze dall'altra, rogato da ser Agnolo Marzi da San Gimi«gnano, il quale fu poi più per fede e fortuna, che per sufficienza vescovo « di Assisi, e allora era uno dei cancellieri loro, e da ser Daniello Dome« nichi viniziano. » (Varchi L. III.)

Il quinto buono effetto fu, che, mutato lo stato, essendo io andato dai nuovi signori a rallegrarmi della libertà loro, e assicurarli che sariano da noi difesi e conservati, questa fu buona causa, appresso le altre, d'intertenerli che non s'accordassero con gl' imperiali.

Il sesto fu, che avendo ricordato con mie lettere alle signorie vostre che saria stato bene il far conservare da questo stato nuovo la lega fatta dallo stato vecchio, ed avendomi commesso che lo facessi, io con gran difficoltà, e con promesse, e con ragioni, e con mettere timore a quei signori che se non confermavano la lega, il campo nostro si leverebbe di Toscana, e loro poi resterebbero a discrezione degl'imperiali, dopo molte dispute con li dieci, e col gonfaloniere, e con li signori, e finalmente con messer Baldassarre Carducci ed altri dottori deputati a disputar meco sopra alla forma dei capitoli, li condussi alla conclusione: onde da questo son seguiti tre altri buoni effetti; il primo, che hanno perseverato nella lega, il secondo che si sono scoperti nemici di Cesare, del quale mal si possono confidare, e il terzo che il re cristianissimo e noi, essendo i Fiorentini scoperti, potremo far fondamento di loro e rimpromettercene con più ragione e con minor timore nelle cose che occor

reranno.

Il settimo buon effetto che è seguitato da questa legazione è stato, che la città di Bologna si è conservata, e non è andata in mano de'Cesarei, prima per le mie lettere al reverendissimo Cibo cardinale ', ed al reverendissimo messer Goro vescovo di Fano', per le quali denotava loro la costanza de' signori Fiorentini, le prosperi

Legato apostolico.

• Gregorio (detto Goro) Geri da Pistoja, vicelegato.

tà degli eserciti della lega, e la discordia e confusione dei Cesarei, il che dette animo e cuore ai detti reverendissimi legato e vicelegato. Ed essendo sollevate le parti in Bologna e ridotta la città in moto ed in armi, tali nuove avute per mie lettere confermarono l'audacia dei guelfi, e depressero l'animo agli imperiali ed ai ghibellini. Inoltre, avendo in tali congiunture il reggimento e cittadini di Bologna spedito un oratore al pontefice, quando ancora era prigione, per richiedere a sua santità consiglio come avevano a governarsi, e se dovessero trattare con li Cesarei, e mettere nella loro protezione la città di Bologna, con offerta ancor loro di denari, dubitando essi pure che se li Cesarei ritornassero non saccheggiassero e rovinassero la loro città (e quest' oratore andava per nome di ambedue le fazioni ); giunto in Firenze, per avermi conosciuto e contratta amicizia meco quando io era in Roma oratore, venne a me, ed avendomi detta tutta la causa della sua legazione, essendo alquanto infermo, ed essendo le strade non molto sicure, mi domandò consiglio di quel che aveva da fare. Io avendo conosciuta questa materia d'infinita importanza, e che da questa legazione, essendo il pontefice prigione e in mano de' Cesarei, si poteva giudicare certo che seguiva l'accordo di Bologna con li Cesarei ( il che se fosse seguito anche Firenze saria stata costretta a mutare e farsi imperiale, e poi tutta la Romagna ed anche la Lombardia conveniva facessero il medesimo) cominciai, come Dio m' inspirò, a dissuadere detto oratore che non andasse più oltre, e che ritornasse a Bologna; e discorrendo prima circa l'interesse pubblico della sua città, che tal concordia con li Cesarei sarebbe causa della rovina di quella, come era stata di Roma, e che gl'im

periali piglierebbero quel denaro che potessero cavar da loro e non ostante non farebbero alcun concordio, e che come quelle genti non avessero il denaro che volessero gli dariano la città a sacco, come avevano fatto di Milano, e di Roma, e volevano far di Firenze se le genti della lega non giungevano a tempo. Poi gli esposi che non poteva fare cosa di maggior dispiacere al pontefice di questa; imperocchè essendo prigione sua santità, non poteva consigliare i Bolognesi, nè altri se non in quanto volessero li Cesarei: però pensasse che le cose non stanno sempre in un medesimo stato, e che di tale suo operare il pontefice stesso potrebbe poi molto risentirsi e da ciò venir danno e male assai non solo alla città di Bologna ma anco in specie a lui oratore, il quale faceva professione di servitore del papa.

Gli discorsi inoltre della sua propria persona, affermandogli che incorreva manifesto pericolo della vita, o di captività; prima della vita, perchè egli era in Firenze, dove morivano cinquecento o seicento persone il giorno per la peste; che se anche cominciava a scorrere il pericolo, s'accresceva però per la strada, essendo già tutto lo stato dei Fiorentini infetto, e l' osterie, ed ogni altro luogo. Poi convenivagli passare per il campo nostro e francese, ove pure era la peste; e andando a Roma capitava fra le genti cesaree, tra le quali è parimenti la peste, e fra genti sregolate e disperate, e alle quali i capitani piuttosto obbediscono che loro obbediscano alli capitani; e che saria senza dubbio fatto prigione, e che non gli basteria a ricattarsi quanta roba amici e parenti avesse al mondo: che però dovesse ben pensare al caso suo, e non andare così infermo ed indispostissimo in tanti pericoli, anzi poteva dire alla captività o vero piut

tosto alla morte certa, senza speranza di fare alcun bene alla sua patria, anzi per porla in servitù dei barbari, per star poi alla indiscrezione loro, e fare così grande offesa al pontefice. All'incontro gli dimostrai che non avevano da dubitare, perchè la lega era potente, le genti della quale erano nelle terre di Roma ed impedivano che li Cesarei non potessero venire in Toscana nè in Romagna, nè meno in Lombardia; ed oltre a ciò che i medesimi Cesarei erano inviluppati in Roma nella preda, senza denaro per i loro stipendj e senza modo di averne, e senza li quali non potevansi levar le genti, le quali volevano le loro paghe.

Con queste e con altre ragioni, detto oratore rimase sospeso di modo, che dopo molte repliche fra noi si risolse ch'egli se ne tornasse indietro, e tanto più che gli allegai che un oratore di Mantova era anche lui andato fino al nostro campo per andare alli Cesarei, ma che per non aver potuto trovar forma d'essere sicuro, e passare per lo campo cesareo, era ritornato indietro, e questo era il vero. Mi disse detto oratore bolognese che convenivagli ubbidire al suo reggimento, e che andava ancora col consenso del reverendissimo legato, e non sapeva come fare; ch'io almeno gli facessi due lettere alli predetti facendogli fede che io l'avevo consigliato a ritornare indietro, acciocchè si potesse scusare almeno con quelle. Io conoscendo che non era da preter mettere occasione per ostare a tanto pericolo che Bologna si facesse imperiale, gli promisi di far le lettere, e gliele feci; con le quali mi promise di ritornare, e così si tornò. Il che avendo fatto intendere alli signori Fiorentini, fu loro di gran soddisfazione; ed avendo io prima instato con loro che non lo lasciassero passare, avevano risposto che

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