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scritta da lui, ma da Guido prete cassinese, della quale fece un compendio nel suo Cronico l'istesso Pietro nel luogo citato. Di essa ho sentito dire che ne sia un esemplare nell'archivio de'Canonici di s. Angelo in Pescheria; e quando potrò, procurerò di vederlo (1). Una copia ancora se ne trova fra gli scritti del famoso Costantino Gaetano, che si conservano nella libreria della Sapienza ; ed è nel X tomo de' Miscellanei profani, a carte 210, da me con non poca fatica ritrovata, essendo le carte di quel grand'uomo con una somma confusione e con un gran disordine raccolte ed infilzate da chi prima le mise insieme. Io ho scorsa questa copia, che è esatta, e che mi pare in qua e in là e in là per dentro a questa visione si veggano de' vestigj dell'idea ch'ebbe Dante nel suo poema, e non solo quanto all'orditura generale, ma eziandio quanto ad alcune minute particolarità ; come quando gli spiriti malvagi s'aizzano l'un l'altro di fare un mal giuoco a un monaco cattivello, cosi dicendo nel capitolo 15: Maligni continuo spiritus circumdantes se invicem ad eum percutiendum cohortari coeperunt. Il che pare che corrisponda a quei versi del canto XXI, v. 100 e segg. dell'Inferno:

Ei chinavan li raffi, e vuoi ch'i''l tocchi, Diceva l'un con l'altro, in sul groppone? E rispondean: si; fa' che gliele accocchi. Siccome a quest' altri del canto XIII, v. 1 e segg.: Non era ancor di là Nesso arrivato, Quando noi ci mettemmo per un bosco, Che da nessun sentiero era segnato.

(1) Abbiam noi svolto, col bel permesso di que' sigg. Ca nonici, il non voluminoso archivio qui mentovato, e non vi ab. biam potuto rinvenire la bramata copia, nè menzione alcuna di

essa. E. R.

Non frondi verdi, ma di color fosco;
Non rami schietti, ma nodosi e'nvolti;
Non pomi v'eran, ma stecchi con tosco.
Non han si aspri sterpi, nè sì folti
Quelle fiere selvagge, che'n odio hanno
Tra Cecina e Corneto i luoghi colti.

sembrano aver somiglianza quelle parole del capitolo 4: Inde in aliam vallem nimis terribiliorem deveni, plenam subtilissimis arboribus in modum hastarum sexa

ginta brachiorum longitudinem habentibus, quorum omnium capita ac si sudes acutissima erant et spinosa. E parimente nella guisa che Dante vide nel profondo dell'Inferno i peccatori sommersi, qual più e qual meno, nel gelo, così questo monaco vide Vallem terribilem, in qua innumeros, quasi congelatae glaciei acervos. E segue appresso narrando: Multos in eis vidi utque ad talos demergi, alios usque ad genua, vel femora, alios usque ad pectus, juxta peccati videlicet modum. Appunto come è l'immaginazione e il ritrovato del divino nostro Poeta, il quale, essendo certamente di età posteriore ad Alberico, fa di mestieri il dire, o che ambedue si sieno incontrati a concepire i medesimi pensieri, o che Dante, avendo letta questa Visione, da essa abbia tratte alcune delle sue tante finzioni e l'idea tutta di questi tre regni.

Voi mi direte: che cosa m'importa tutta questa lunga intemerata, che m'ha noiato sinora? Eccolo: vorrei, sopra di questo, sentire il vostro parere ; e vi vorrei pregare a darmi su questo punto quelle notizie che avete in contanti, e quelle che potete ricavare dal ms. Gaddi, o da altri del Meschino, che sieno a vostra cognizione, essendone io stato interrogato da un nostro garbatissimo e onoratissimo gentiluomo che dimora qui, e che molto si

diletta della erudizione spettante agli scrittori della nostra toscana favella, della quale, oltre molti altri pregj, pos. siede le più eleganti finezze; e a voi dirò anche chi egli è, perchè credo che sia vostro amico, come lo è certamente del sig. Canonico. Questi è il sig. abate Bonsi, al quale ho tutto il genio e l'obbligo di compiacere; e però vi prego ad aver pazienza del lungo incomodo che vi ho recato, oltre i tanti altri che vi apporto continuamente; ma mi son fatto anche coraggio, sul riflesso della parzialità singolare che avete per la lingua nostra, come avete dimostrato con tante vostre mal riconosciute fatiche, e per conseguenza per Dante poeta dell' altissimo canto,

Che sopra gli altri com'aquila vola.

Se poi volete avere qualche maggior notizia, di quella che ora abbiate su due piedi, del Purgatorio suddetto di s. Patrizio, per non allungar più questa lettera e per non istar qui a far l'erudito a spese di altri, potete vedere le lezioni di detto Santo in un Breviario stampato in Venezia da Antonio Giunti nell'anno 1522, dove sono sei lezioni, nelle quali si fa lunga menzione di questo Purgatorio: benché, avendo, due anni dopo, il medesimo stampatore fatta una nuova impressione di esso Breviario, togliesse via questa favola del Purgatorio, credo per ordine di Roma, poichè ne' Breviarj più vecchi non si trova, avendovi sempre repugnato la Congregazione de'Riti, e credutolo una fola di romanzi, e giustamente. Per questo il gran Baronio non ne ha fatto parola nè nel Martirologio., ne negli Annali; e Urbano VIII non volle permettere se non la commemorazione di questo Santo. Del resto, se non avete a mano il detto Breviario, chè non è facile averlo, potete vederlo riportato, nell'appendice della Vita di san Patrizio, dai Padri Bollandisti nel secondo tomo

di marzo, a carte 588, dove ne vedrete almeno un bucno squarcio. I medesimi trascrivono ancora una descrizione di questo Purgatorio fatta da Silvestro Giraldi nella Topografia d'Ibernia, e una di Errico Salteriense, e il modo di fare in esso penitenza, secondo la relazione di David Roto, vescovo ossoriense, nel suo trattato del Purgatorio di s. Patrizio. Io credo, da quello che ho potuto vedere, che questa favola non sia più antica del XII secolo; poichè Jocelino, monaco cisterciense, che scrisse una lunga Vita di s. Patrizio, non ne fa una positiva memoria; e se ne dà un cenno, è così da lontano, che si può dire che non ne parli. Ora questo monaco scrisse circa l'anno 1180. Questa favola era andata in dimenticanza, come avete veduto, perchè l'Ariosto l'accenna come cosa rancida, e come si accenuano le cose seguite ne' tempi mitologici. Venne in capo nel 1624 a Tommaso Messingam di rimetterla alla luce del mondo. Compose questo prete ibernese un libro in foglio, non molto grosso, stampato per Sebastiano Cramoisì in Parigi, 1624, intitolato Florilegium Insulae SS., seu Vitae et Acta SS. Hiberniae, quibus accesserunt non vulgaria monumenta, hoc est S. Patritii Purgatorium, S. Malachiae Prophetiae de Summis Pontificibus etc. In fine del quale fa un trattato di questo Purgatorio. Ma per non tenervi più a bada, chè ben veggo che non la finirei mai, vedete una dissertazione del cel. Padre Pietro Le-Brun dell'Oratorio, fatta espressamente su questo argomento, e inserita nel supplemento della sua Istoria delle pratiche superstiziose, che è il quarto tomo di quell'Opera ; e vedrete molte altre erudizioni e istorie appartenenti a questo argomento, in guisa che ve ne daranno una sufficiente contezza: e, se voi aveste gusto di sapere come egli era fatto, basta che voi guardiate Jacopo Wareo cavaliere

aurato, che nel libro intitolato de Hibernia, et antiquitatibus ejus Disquisitiones, stampato in Londra l'anno 1658 per la seconda volta, ci dà la Pianta di esso, e lo pone in una piccolissima isoletta presso l'isola di s. Dabeoce, che è nel lago detto Derg. Ma lo stesso Wareo dice che fu demolito da un P. Francescano per ordine di Alessandro VI. Vero è che a tutte queste cose non entro mallevadore. Mettendosi poi a rivoltare i libri ex professo, troppo più ci sarebbe da dire; ma non mette conto il perdere tanto tempo sopra una favola, riconosciuta per tale universalmente da tutti. E con vero ossequio resto.

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