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abitato, tornandosi, secondo il ravignano costume, esso medesimo, a commendazione del trapassato Poeta et a consolazione de' figliuoli e degli amici che dopo lui rimanieno, fece uno esquisito e lungo sermone. Ma poi, infra brieve spazio essendogli tolto lo stato, cessò il proponimento della magnifica sepoltura; per la qual cosa ancora in quell'arca dove fu posto, le venerabili ossa dimorano.

Furono in que' tempi più uomini nell'arte metrica ammaestrati, li quali, sentendo che far si dovea al corpo di DANTE una mirabil sepoltura, fecer versi, per porre in quella, testificanti e la scienzia et alcuni de' più memorabili casi di DANTE, de'quali niuno vi si pose per lo sopradetto accidente. Non di meno, più tempo poi, me ne furono mostrati alquanti, dei quali alcuni fattine da Maestro Giovanni del Virgilio, siccome più laudevoli al mio giudizio, ne elessi; e, stimando questa operetta quello testificare che in parte arebbe fatto la sepoltura, di porlici deliberai come segue:

Theologus Dantes nullius dogmatis expers
Quod foveat claro Philosophia sinu:
Gloria musarum vulgo gratissimus auctor

Hic jacet, et fama pulsat utrumque polum.
Qui loca defunctis gladiis regnumque gemellis (sic)
Distribuit laicis rethoricisque modis.

Pascua Pieriis demum resonabat avenis;
Atropos heu! laetum livida rupit opus.
Huic ingrata tulit tristem Florentia fructum
Exilium vati patria cruda suo.

Quem pia Guidonis gremio Ravenna Novelli
Gaudet honorati continuisse ducis.

Mille trecentenis ter septem numerus annis,
Ad sua septembris idibus astra redit.

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Sogliono gli odj nella morte degli odiati finirsi, il che nel trapassamento di DANTE non si trovò avvenire. L'ostinata malivolenza de' suoi cittadini nella sua rigidezza stette ferma; njuna compassione ne mostrò alcuno; niuna pubblica lagrima gli fu conceduta, nè alcuno uffizio funebre fatto. Nella qual pertinacia assai manifestamente si dimostrò, i Fiorentini tanto essere dal conoscimento della scienzia rimoti, che fra loro niuna distinzion fosse da un vilissimo calzolaio ad uno solenne poeta. Ma essi colla loro superbia rimangausi, e noi, avendo gli affanni dimostrati di DANTE et il suo fine, all'altre cose che di lui, oltre alle dette, dire si possono, ci volgiamo.

Fu il nostro Poeta di mediocre statura, et ebbe il volto lungo et il naso aquilino, le mascelle grandi, e 'l labbro di sotto proteso tanto, che alquanto quel di sopra avanzava; nelle spalle alquanto curvo, e gli occhi anzi grossi che piccoli, et il colore bruno, et i capelli e la barba spessi, crespi e neri, e sempre nel viso malinconico e pensoso. Per la qual cosa avvenne un giorno in Verona, essendo già divolgata per tutto la fama delle sue opere, et esso conosciuto da molti uomini e donne, che, passando egli davanti ad una porta dove più donne sedevano, una di quelle pianamente, non però tanto che bene da lui e da chi con lui era non fosse udita, disse alle altre donne: vedete colui che va in Inferno e torna quando gli piace, e qua su reca novelle di coloro che là giù sono. Alla quale semplicemente una dell'altre rispose: in verità egli dee cosi essere ; non vedi tu com'egli ha la barba crespa et il colore bruno per lo caldo e per lo fummo che è là giù? Di che Dante, perchè da pura credenza venir ciò sentia, sorridendo passò avanti. I suoi vestimenti sempre onestissimi furono, e l'abito conveniente alla maturità e'l suo andar gravé e mansueto, e ne'domestici costumi e

ne'pubblici mirabilmente fu composto e civile. Nel cibo e nel poto fu modestissimo; nè fu alcuno più vigilante di lui e negli studj et in qualunque altra sollecitudine il pugnesse. Rade volte, se non domandato, parlava, quantunque eloquentissimo fosse. Sommamente si dilettò in suoni et in canti nella sua giovinezza, e, per vaghezza di quegli, di quasi tutti i cantatori e suonatori famosi suoi contemporanei fu domestico. Quanto ferventemente fosse d'amor passionato, assai è dimostrato di sopra. Solitario fu molto e di pochi domestico, e negli studj, quel tempo che lor poteva concedere, fu assiduo molto. Fu ancora DAnte di maravigliosa capacità e di memoria fermissima, come più volte nelle disputazioni in Parigi et altrove mostrò. Fu similmente d'intelletto perspicacissimo e di sublime ingegno, e, secondo che le sue opere dimostrano, furono le sue invenzioni mirabili e pellegrine assai.

Vaghissimo fu e d'onore e di pompa per avventura più che non si appartiene a savio uomo. Ma qual vita è tanto umile, che dalla vaghezza della gloria non sia tocca? Questa vaghezza credo che cagione gli fosse d'amare sovra ogni altro studio quello della poesia, acciò che per lei al pomposo e inusitato onore della coronazione pervenisse; il qual senza fallo, siccome degno n'era, avrebbe ricevuto, se fermato nell'animo non avesse di quello non prendere in altra parte, che nella sua patria e sopra il fonte nel quale il battesimo avea ricevuto: ma, dall'esilio impedito e dalla morte prevenuto, nol fece. Ma per ciò che spessa quistione si fa tra le genti, e che cosa sia la poesia e che è il poeta, e d'onde questo nome è venuto, eperchè di lauro sieno coronati i poeti, e da pochi pare essere stato mostrato, mi piace qui di fare alcuna trasgressione, nella quale questo alquanto dichiari, e quindi prestamente tornare al proposito.

La prima gente ne' primi secoli, come che rozzissima et inculta fosse, ardentissima fu di conoscere il vero con istudio, siccome noi veggiamo ancora naturalmente desiderare a ciascuno. La quale, veggendo il ciel moversi con ordinata legge continuo, e le cose terrene aver certo ordine e diverse operazioni in diversi tempi, pensarono di necessità dovere essere alcuna cosa, dalla quale tutte queste cose procedessero, e che tutte l'altre ordinasse, siccome superior potenzia da niuna altra potenziata. E, questa investigazione seco diligentemente avuta, s'imaginarono quella, la quale Divinità o Deità appellarono, con ogni coltivazione, con ogni onore e con più che umano servigio essere da venerare. E perciò ordinaro a reverenza di questa suprema potenzia ampissime et egregie case, le quali ancora estimarono fossero da separare così di nome, come di forma separate erano da quelle che generalmente per gli uomini si abitano, e nominarle templi. E similemente avvisarono doversi ordinar ministri, li quali fossero sacri, e, da ogni altra mondana sollecitudine rimoti, solamente a' divini servigj vacassero; e per maturità, per età e per lo abito, più che gli altri uomini, reverendi, li quali appelJarono sacerdoti: et oltre a questo, in rappresentamento della imaginata essenza divina, fecero in varie forme magnifiche statue, et a' servigj di quella vasellamenti d'oro e mense marmoree e purpurei vestimenti et altri assai apparati partenenti a'sacrificj stabili per loro. Et acciocchè a questa cotal potenza tanto onore e quasi mutolo non si facesse, parve loro che con parole d'alto suono essa deità fusse da umiliare et alle lor necessità render propizia; e così come essi stimavano questa ascender ciascuna altra cosa di nobiltà, così vollero che, di lungi a ogni altro plebeo o pubblico stile di parlare, si trovassono parole degne di ragionare dinanzi alla divinità, nelle quali, oltre le sue

lode, le si porgessono sacrate lusinghe. Et oltre a questo, acciò che queste parole paressero di avere più d'efficacia, vollero che fussero sotto legge di certi numeri corrispondenti per brevità e per lunghezza a certi tempi ordinati composte, per li quali d'alcuna dolcezza si sentisse, e cacciassesi il rincrescimento e la noia; e questo non in vulgar forma o usitata, come dicemmo, ma con artificiosa e squisita di modi e di vocaboli convenne che si facesse. La qual forma cioè di parlare esquisito li Greci appellan Poetes; laonde nacque che quello parlare, che in cotal modo fosse fatto, Poesi s'appellasse; e quelli che ciò facessero, cioè tal modo di parlare usassino, si chiamassero Poeti. Questa adunque fu la prima origine della poesia e del suo nome, e per conseguenti de' poeti, come che altri vi assegnino altre ragioni forse buone, ma questa mi piace più. Adunque questa buona e laudevole intenzione della rozza età mosse molti a diverse invenzioni nel mondo moltiplicate per apparere; e, dove i primi una deità adoravano, stoltamente mostrarono a' seguenti esserne molte, come che quella una dicessero, oltre ad ogni altra, ottenere il principato. Fra le quali molte mostrarono essere il Sole, la Luna, Saturno, Giove e qualunque altro pianeta, la loro erronea dimostrazione roborando da' loro effetti. E da questi vennero a mostrare ogni cosa utile agli uomini, quantunque terrena fosse, in sè occulta deità conservare; alle quali tutte e versi e onori e sacrifizj divini si ordinarono. E poi susseguentemente avendo già cominciato diversi in diversi luoghi, chi con uno ingegno, chi con un altro, a farsi sopra la moltitudine della sua contrada maggiori e a chiamarsi re, e mostrarsi alla plebe con servi e con ornamenti, et a farsi ubbidire, e talvolta a farsi come Dio adorare; e questi, non fidandosi tanto delle lor forze, cominciarono ad aumentare le religioni, e nella

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