Sayfadaki görseller
PDF
ePub

VITA

DI

DANTE ALIGHIERI

POETA FIORENTINO

Solone, il cui petto uno tempio umano di divina sapien

za fu reputato, e le cui sacratissime leggi sono ancora testimonianza della antica giustizia e della sua gravità, era, secondo che dicono alcuni, spesse volte usato di dire, ogni repubblica, siccome noi, andare e stare sopra due piedi, de' quali con matura autorità affermava essere il destro il non lasciare alcun difetto commesso impunito, et il sinistro ogni ben fatto remunerare; aggiugnendo che, qualunque delle due cose mancava, senza dubbio da quel piè la repubblica zoppicare. Dalla quale lodevole sentenza mossi alcuni così egregi come antichi popoli, alcuna volta di deità, altra di marmorea statua, e sovente di celebre sepoltura, di trionfale arco, di laurea corona o d'altra spettabile cosa, secondo i meriti, onoravano i valorosi; per opposito agrissime pene a' colpevoli infligendo. Per li quali meriti l'assiria, la macedonica, e ultimamente la romana repubblica aumentate, con l'opere li fini della terra, e con la fama toccarono le stelle. Le vestigie de' quali non solamente da'successori presenti, e

massimamente da' miei Fiorentini sono mal seguite, intanto s'è disviato da esse, che ogni premio di virtù possiede l'ambizione. Il che, se ogni cosa occultasse, non lascerà nascondere l'esilio ingiustamente dato al chiarissimo uomo DANTE ALIGHIERI, uomo di sangue nobile, ragguardevole per iscienzia e per operazione laudevole e degno di glorioso onore. Intorno alla quale opera pessimamente fatta non è la presente mia intenzione di voler insistere con debite riprensioni, ma piuttosto quella parte, che le mie forze possano, quella emendare; perciocchè, quantunque picciol sia, pur di quella città son cittadino, et agli onori di essa mi conosco in solido obbligato. Quello dunque che la nostra città doveva verso il suo valoroso cittadino magnificamente operare, acciocchè in tutto non sia detto noi esorbitare dagli antichi, intendo di fare io, non con istatua o con egregia sepoltura, delle quali è oggi dell'una appo noi spenta l'usanza nè all'altra basterebbono le mie facoltadi, ma con povere lettere a tanta impresa, volendo piuttosto di presunzione che d'ingratitudine potere essere ripreso. Scriverò adunque in istile assai umile e leggiero, però che più sublime no 'l mi presta lo ingegno, nel nostro fiorentino idioma, acciò che da quello che DANTE medesimo usò nella maggior parte delle sue opere non discordi, quelle cose, le quali esso di sè onestamente tacette, cioè la nobiltà della sua origine, la vita, gli studj e costumi, raccogliendo appresso in uno l'opere da lui fatte, nelle quali esso sè chiaro ha renduto a'futuri. Il che acciò che compiutamente si possa fare, umilemente priego colui, il quale di speziale grazia lui trasse, come leggiamo, per si alta scala a contemplarsi, che me al presente aiuti in onore et in gloria del suo santissimo nome, e la debil mano guidi, e regga lo ingegno mio.

Fiorenza, intra l'altre città italiane più nobile, secondo la generale opinione de' presenti, ebbe inizio da' Romani, et in processo di tempo aumentata di popolo e di chiari uomini, e già potente parendo, o contrario cielo, o i loro meriti, che in sè l'ira di Dio provocassero, non dopo molti secoli da Attila, crudelissimo re de' Vandali e generale guastatore quasi di tutta Italia, quella si ridusse in cenere et in ruine. Poi, trapassato già il trecentesimo anno, e Carlo Magno, clementissimo re de' Franceschi, essendo all'altezza del romano imperio elevato, avvenne che, o per proprio movimento fosse da Dio a ciò spirato, o per prieghi portigli da alcuni, il detto Carlo alla reedificazione della detta città l'animo dirizzò, e a color medesimi, li quali primi conditori n'erano stati, la fatica commise. Li quali in picciol cerchio reducendola, quanto poterono, siccome ancora appare, a Roma la fer simigliante, seco raccogliendovi dentro quelle poche reliquie che de'discendenti delli antichi scacciati si potè ritrovare. Vennevi, secondo che testimonia la fama, tra'novelli reedificatori un giovane per origine de' Frangipani, nominato Eliseo, il quale, che cagione se 'l movesse, di quella divenne perpetuo cittadino; del quale rimasi laudevoli discendenti et onorati molto, non l'antico cognome ritennero, ma, da colui che quivi loro aveva dato principio prendendolo, si chiamar gli Elisei. De' quali, di tempo in tempo e d'uno in altro discendendo, tra gli altri nacque e visse un cavaliere per arme e per senno ragguardevole, il cui nome fu Cacciaguida, il quale per isposa ebbe una donzella nata degli Aldighieri di Ferrara, della quale forse più figliuoli ricevette. Ma, come che gli altri nominati si fossero, in uno, siccome le donne sogliono essere vaghe di fare, le piacque di rinnovare il nome de' suoi maggiori, e nominollo Aldighieri, come che il vocabolo poi, per sottrazione d'alcuna lettera

rimanesse Alighieri. Il valor del quale fu cagione a quelli che disceser di lui, di lasciare il titolo degli Elisei, e di coguominarsi degli Alighieri. Del quale, come che alquanti e figliuoli e nepoti, e de' nepoti figliuoli discendessero, reguante Federico secondo imperatore, uno ne nacque, il quale dal suo avolo chiamato fu Alighieri, più per colui di cui fu padre che per sẻ chiaro. Questi nella sua donna generò colui, dal quale de' essere il futuro sermone. Nè preterisse il nostro Signore Iddio che alla madre nel sonno non dimostrasse cui ella portasse nel ventre. Il che allora poco inteso e non curato, in processo di tempo e nella vita e nella morte di colui che nascere doveva di lei, chiarissimamente si manifestò, siccome colla grazia di Dio mostreremo vicino al fine della presente operetta. Venuto adunque il tempo del parto, partori la donna questa futura chiarezza della nostra città, e di pari consentimento il padre et ella, non senza divina disposizione, siccome io credo, il nominaro DANTE, volendone Iddio per cotal nome mostrare lui dovere essere di maravigliosa dottrina datore.

Nacque adunque questo singolare splendore italico nella nostra città, vacante il romano imperio per la morte di Federico negli anni della salutifera incarnazione del Re dell'universo MCCLXV., sedente Urbano papa IV., ricevuto nella paterna casa da assai lieta fortuna, lieta, dico, secondo la qualità del mondo che allora s'usava; e nella sua puerizia cominciò a dare, a chi avesse a ciò riguardato, manifesti segni qual dovea la sua matura età divenire. Poichè, lasciata ogni puerile mollizie, nella propria patria con istudio continuo tutto si diede alle liberali arti, et, in quelle già divenuto sperto, non alle lucrative facultadi, alle quali oggi ciascuno cupido di guadagnare si avventa innanzi tempo, ma da laudevole vaghezza di perpetua fama tirato, alle speculative si diede; e, perocchè a ciò,

siccome appare, era dal Cielo prodotto, a vedere con acuto intelletto, all'artificio mirabile de' poeti si mise, et in brieve tempo, non trovandoli semplicemente favolosi, come si parla, famigliarissimo divenne di tutti, e massimamente de' più famosi. E, come già è detto, conoscendo le poetiche opere non essere vane o stolte favole, come molti dicono, ma sotto sè dolcissimi frutti di verità istoriografe o filosofiche aver nascosti, acciò che piena notizia n'avesse, et alle istorie et alla filosofia, in tempi debitamente partiti, si diede; e, già divenuto di quella e di questa sperto, cresciuta colla dolcezza del conoscere la verità delle cose la vaghezza del più sapere, a volere investigare quello che per umano ingegno se ne può comprendere delle celestiali intelligenzie e della prima causa con ogni sollecitudine tutto s'addiede. Nè questi studj in picciol tempo si fecero, nè senza grandissimi disagi s'esercitarono, nè alla patria sola si acquistò il frutto di quegli. Egli, siccome a luogo più fertile del cibo che 'l suo alto intelletto desiderava, a Bologna andatone, non picciol tempo vi spese;e, già vicino alla sua vecchiezza, non gli parve grave lo andare a Parigi, dove non dopo molta dimora con tanta gloria di sè, disputando più volte, mostrò l'altezza del suo ingegno, che ancora narrandosi se ne maravigliano gli uditori. Di tanti e siffatti studj non ingiustamente meritò il nostro DANTE altissimi titoli, perciò che alcuni assai chiari uomini in iscienzia il chiamarono sempre maestro, altri l'appellavano filosofo, e di tali furono che teologo il nominarono, e quasi generalmente ognuno il dicea poeta, siccome ancora è appellato da tutti. Ma perciò che tanto è la vittoria più gloriosa quanto le forze del vinto sono state maggiori, giudico essere convenevole dimostrare di come fortunoso anzi tempestoso mare costui ora in qua, ora in la ributtato, con forte petto parimente le traverse onde et

« ÖncekiDevam »