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si convengono. Dico adunque primieramente che, cercando in assai parti lo intrinseco senso della Commedia, et in assai lo intrinseco e lo estrinseco, si troverà esser semplice et immutabile verità, non di gentilizio puzzo spiacevole, ma odorifera di cristiana soavità, et in niuna cosa dalla religione di quella scordante. Dissi appresso, il paone avere angelica penna, et in quella cento occhi. Certo io non vidi mai alcuno angelo; ma, udendo che voli, estimo che penne aver debba; e, non sappiendone alcuna fra questi nostri augelli più bella, nè così peregrina, considerata la nobiltà di loro, immagino che così la debbano aver fatta, e però non da queste le loro, ma queste da quelle denomino; et intendo per quelle, delle quali questo paone si cuopre, la bellezza della pellegrina storia che appare nella lettura della Commedia; et il cambiare del colore di quella, secondo i varj mutamenti di questo uccello, niuna altra cosa esser sento, se non la varietà de'sensi che a quella, in una maniera et in altra, leggendola, si posson dare. Et in cento occhi chi non intenderà li cento canti di quella, ne' quali ella così è ordinata e distinta et ornata, come ne' lor luoghi distinti mirabilmente si veggono gli occhi del paone? Sono e al paone i più sozzi e l'andatura queta: le quali cose ottimamente alla Commedia del nostro Autore si confanno; perciò che, siccome sopra i piedi pare che tutto il corpo si sostenga, così prima facie pare che sopra il modo del parlare ogni opera in iscrittura composta si sostenga; et il parlare volgare, nel quale e sopra il quale ogni giuntura della Commedia si sostiene, a rispetto dell'alto e maestrevole stile letterale che usa ciascuno altro poeta, è senza dubbio sozzo. L'andare quieto e tacito significa l'umiltà dello stile, il quale nelle commedie di necessità si richiede, come color sanno che intendon che vuol dir Commedia. Ultimamente dico che la voce del paoue è sonora et orribile; la

quale, come che la soavità delle parole del nostro Poeta paia e sia molta, nondimeno chi bene in alcune parti riguarderà, ottimamente conoscerà confarsi alla voce della Commedia, e massimamente dove con acerbissime invenzioni grida ne' vizj d'alcuni, oppur, distesamente procedendo, d'alcuni altri morde le colpe e gastiga i miseri peccatori. E niuna è più orrida voce di quella del castigante, e massimamente a colui che ha commesso, o a colui che a mandare i suoi appetiti ad effetto schiva l'ostacolo del riprensore. Per la qual cosa e per l'altre di sopra mostrate assai appare, colui che fu, vivendo, pastore, dopo la morte esser divenuto paone, siccome creder si puote essere stato per divina spirazione nel sonno mostrato alla cara madre. Questa esposizione del sonno della madre del nostro Poeta conosco essere assai superficialmente per me fatta; e questo per più cagioni. Primieramente, perchè per avventura la sofficienzia, che a tanta cosa si richiederebbe, non c'era: appresso, posto che stata ci fosse, piuttosto altro luogo per se richiedeva che questo, ad altra materia congiunta. Ultimamente, quando la sofficienzia ci fosse stata, e la materia l'avesse patito, è ben fatto, più che detto sia, non esser detto da me, acciocchè ad altri più di me sofficiente e più vago di ciò alcun luogo si lasciasse di dire.

La mia piccioletta barca è pervenuta al porto, al quale ella dirizzò la proda partendosi dall' opposito lito, e, come che il pileggio sia stato piccolo, et il mare basso e tranquillo, non di meno di ciò, che senza impedimento è venuta, ne son da render grazie a colui che felice vento ha prestato alle sue vele. Al quale con quella umiltà e divozione che io posso maggiore, non così grandi come si converrieno, ma quelle che io posso, rendo, benedicendo in eterno il nome suo.

Finito adì 22 d'ottobre 1437.

VITA

DI DANTE ALIGHIERI

SCRITTA

DA LIONARDO ARETINO

PROEMIO

Avendo in questi giorni posto fine a un'Opera as

sai lunga, mi venne appetito di volere, per ristoro dell'affaticato ingegno, leggere alcuna cosa vulgare; perocchè, come nella mensa un medesimo cibo, così negli studj una medesima lezione continuata rincresce. Cercando adunque con questo proposito, mi venne alle mani un' Operetta del Boccaccio, intitolata: Della vita, costumi, e studj del clarissimo Poeta Dante. La quale Opera, benchè da me altra volta fosse stata diligentissimamente letta, pur al presente esaminata di nuovo, mi parve che il nostro Boccaccio, dolcissimo e suavissimo uomo, così scrivesse la vita e i costumi di tanto sublime Poeta, come se a scrivere avesse il Filocolo, o il Filostrato, o la Fiammetta; perocchè tutta d'amore e di sospiri e di cocenti lagrime è piena, come se l'uomo nascesse in questo mondo solamente per ritrovarsi in quelle Dieci Giornate amorose, nelle quali da donne innamorate e da giovani leggiadri raccontate furono le Cento Novelle; e tanto s'infiamma in queste parti d'amore, che le gravi e sustanzievoli parti della vita di Dante lascia indietro e trapassa con silen

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