Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Firenze per ispontanea rivocazione di chi reggeva la Terra; e sopra questa parte s'affaticò assai e scrisse più volte non solamente a' particulari cittadini del reggimento, ma ancora al popolo; e intra l'altre un'epistola assai lunga che incomincia: Popule mee, quid feci tibi? Essendo in questa speranza di ritornare per via di perdono, sopravvenne l'elezione d'Arrigo di Luzinborgo imperadore; per la cui elezione prima, e poi la passata sua, essendo tutta Italia sollevata in speranza di grandissime novità, DANTE non potè tenere il proposito suo dell'aspettare grazia; ma, levatosi coll'animo altiero, cominciò a dir male di quelli che reggevano la Terra, appellandoli scellerati e cattivi, e minacciando loro la debita vendetta per la potenza dell'Imperadore, contro la quale diceva esser manifesto ch'essi non avrebbon potuto avere scampo alcuno. Pure il tenne tanto la riverenza della patria, che, venendo l'Imperadore contro a Firenze e ponendosi a campo presso alla porta, non vi volle essere, secondo lui scrive (1), contuttochè confortatore fusse stato di sua venuta. Morto poi l'imperadore Arrigo, il quale nella seguente state morì a Buonconvento, ogni speranza al tutto fu perduta da Dante ; perocchè di grazia egli medesimo si avea tolto la via per lo sparlare e scrivere contro a' cittadini che governavano la repubblica; e forza non ci restava, per la quale più sperar potesse. Sicchè, deposta ogni speranza, povero assai trapassò il resto della sua vita, dimorando in varj luoghi per Lombardia, per Toscana e per Romagna, sotto il sussidio di varj Signori, per infino che finalmente si ridusse a Ravenna, dove finì sua vita. Poichè detto abbiamo

(1) Il chiarissimo conte Perticari opina che ciò abbia scritto Dante nello smarrito suo libro della Storia de' Ghibellini. Vedi la neta al §. 13. dell'Apologia ec. nel vol. V. di questa nostra edizione. (Gli Editori)

delli affanni suoi pubblici, ed in questa parte mostrato il corso di sua vita, diremo ora del suo stato domestico e de'suoi costumi e studj. DANTE innanzi la cacciata sua di Firenze, contuttochè di grandissima ricchezza non fusse, nientedimeno non fu povero, ma ebbe patrimonio mediocre e sufficiente al vivere onoratamente. Ebbe un fratello chia. mato Francesco Alighieri; ebbe moglie, come di sopra dicemmo, e più figliuoli, de' quali resta ancor oggi successione e stirpe, come di sotto faremo menzione. Case in Firenze ebbe assai decenti, congiunte con le case di Gieri di messer Bello suo consorto; possessioni in Camerata e nella Piacentina e in piano di Ripoli; suppellettile abbondante e preziosa, secondo egli scrive. Fu uomo molto pulito; di statura decente e di grato aspetto e pieno di gravità; parlatore rado e tardo, ma nelle sue risposte molto sottile. L'effigie sua propria si vede nella chiesa di santa Croce, quasi al mezzo della chiesa, dalla mano sinistra andando verso l'altare maggiore, e ritratta al naturale ottimamente per dipintore perfetto di quel tempo. Dilettossi di musica e di suoni, e di sua mano egregiamente disegnava (1). Fu ancora scrittore perfetto, ed era la lettera

[ocr errors]

(1) Di ciò rende testimonianza Dante medesimo nella Vita Nuova, là dove dice (Vedi Opere di Dante, l'ediz. in 4.° del Zatta, vol. 4. part. 1. fac. 44.); « In quel giorno, nel quale si compieva l'anno che questa donna era fatta delle cittadine di » vita eterna, io mi sedeva in parte, nella quale, ricordandomi di >> lei, io disegnava uno Angelo sopra certe tavolette: e mentre io » il disegnava, volsi gli occhi, e vidi lungo me uomini, alli quali » si conveniva di fare onore; e riguardavano quello che io fa » cea ec. » Il Vasari nella Vita di Giotto narra che quel famoso pittore dipinse, in una cappella della chiesa del monastero di s. Chiara di Napoli, le Storie dell'Apocalisse, le quali ( sono sue pa role) furono, per quanto si dice, invenzione di Dante ; come per avventura furono anche quelle tanto lodate d'Ascesi, delle quali

sua magra e lunga e molto corretta, secondo io ho veduto in alcune pistole di sua propria mano scritte. Fu usante in giovanezza sua con giovani innamorati; ed egli ancora di simile passione occupato, non per libidine, ma per gentilezza di cuore: e ne' suoi teneri anni versi d'amore a scrivere cominciò, come vedere si può in una sua operetta vulgare che si chiama Vita Nuova. Lo studio suo principale fu poesia, non sterile, nè povera, nè fantastica, ma fecondata e irricchita e stabilita da vera scienzia e da molte discipline. E, per dare ad intendere meglio a chi legge, dico che in due modi diviene alcuno poeta. Un modo si è per ingegno proprio, agitato e commosso da alcun

si è di sopra a bastanza favellato. E sebbene Dante in questo tempo era morto, potevano avere avuto, come spesso avviene fra gli amici, ragionamento. — Ciò che dice L. Aretino di Francesco, fratello di Dante, e dei beni da loro posseduti, è confermato da varj spogli di strumenti attenenti a' fratelli, figliuoli, e altri congiunti e consorti di Dante, da'quali si rileva che detto Francesco fratello, e Pietro e Jacopo figliuoli di Dante, divisero i beni nel 1332; ei beni erano i seguenti:

Un Podere con Case poste ucl Popolo di s. Marco di Mugnone in Camerata.

Un Appezzamento di terra in Firenze nel Popolo di s. Ambrogio.
Una Casa in Firenze nel Popolo di s. Martino del Vescovo.
Un Casolare nel Popolo di s. Ambrogio.

Un Podere nel Popolo di s. Miniato a Pagnolla nel Conta do fiorentiuo, luogo detto Le Radola. ( S. Miniato a Pagnolla è nella Potesteria del Ponte a Sieve).

Più Appezzamenti di terra posti intorno a detto Podere.

Da detti spogli si rileva ancora che Francesco non fu fratello uterino di Dante, perchè la madre di Francesco fu donna Lapa de' Cialuffi, e la madre di Dante donna Bella. Vedi Delizie degli Erud. tosc. tom. XII. pag. 254-256, e Memorie per la Vita di Dante, edizione del Zatta in 4.o fac. 24, nota (4). ( Nola tolla dalla E. F.)

vigore interno e nascoso, il quale si chiama furore e occupazione di mente. Darò una similitudine di quello che io vo'dire. Il beato Francesco, non per iscienza, nè per disciplina scolastica, ma per occupazione e astrazione di mente, si forte applicava l'animo suo a Dio, che quasi si trasfigurava oltre al senso umano, e conosceva d'Iddio più, che nè per istudio, nè per lettere conoscono i teologi. Così nella poesia, alcuno per interna agitazione ed applicazione di mente poeta diviene e questa si è la somma e la più perfetta spezie di poesia; onde alcuni dicono i poeti esser divini, e alcuni li chiamano sacri, e alcuni li chiamano vati. Da questa astrazione e furore ch'io dico, prendono l'appellazione. Gli esempli abbiamo d'Orfeo e d'Esiodo, de quali l'uno e l'altro fu tale, quale di sopra da me è stato raccontato. E fu di tanta efficacia Orfeo, che sassi e selve movea con la sua lira: ed Esiodo, essendo pastore rozzo e indotto, bevuta solamente l'acqua della fonte Castalia, senz'alcun altro studio, poeta sommo divenne; del quale abbiamo l'opere ancora oggi, e sono tali, che niuno de'poeti litterati e scientifici le vantaggia. Una spezie dunque di poeti è per interna astrazione di mente: l'altra spezie è per iscienzia, per istudio, per disciplina e arte e per prudenza: e di questa seconda spezie fu DANTE; perocchè per istudio di filosofia, di teologia, astrologia, arismetica

geometria, per lezioni di storie, per rivoluzione di molti e varj libri, vigilando e sudando nelli studj, acquistò la scienza, la quale dovea ornare ed esplicare co'suoi versi. E, perchè della qualità de'poeti abbiamo detto, diremo ora del nome, pel quale ancora si comprenderà la sustanza: contuttochè queste sien cose che male dir si possono in vulgare idioma, pure m'ingegnerò di darle ad intendere, perchè, al parer mio, questi nostri poeti moderni non l'hanno bene intese; nè è maraviglia, essendo ignari della

lingua greca. Dico adunque che questo nome poeta è nome greco, e tanto viene a dire quanto facitore. Per aver detto insino a qui, conosco che non sarebbe inteso il dir mio; sicchè più oltre bisogna aprire l'intelletto. Dico adunque de libri e dell'opere poetiche. Alcuni uomini sono leggitori dell'opere altrui, e niente fanno da sè; come avviene al più delle genti: altri uomini son facitori d'esse opere; come Virgilio fece il libro dell'Eneida, Stazio fece il libro della Tebaida, e Ovidio fece il libro Metamorfoseos, e Omero fece l'Odissea e l'Iliade. Questi adunque che feron l'opere, furon poeti, cioè facitori di dette opere che noi altri leggiamo; e noi siamo i leggitori, ed essi furono i facitori. E quando sentiamo lodare un valente uomo di studi o di lettere, usiamo dimandare: fa egli alcuna cosa da sè? lascerà egli alcuna opera da sè composta e fatta? Poeta è adunque colui che fa alcuna opera. Potrebbe qui alcuno dire che, secondo il parlare mio, il mercatante, che scrive le sue ragioni e fanne libro, sarebbe poeta, e che Tito Livio e Salustio sarebbono poeti, perocchè ciascuno di loro scrisse libri e fece opere da leggere. A questo rispondo che far opere poetiche non si dice se non in versi. E questo avviene per eccellenza dello stile; perocchè le sillabe, la misura e 'l suono è solamente di chi dice in versi; e usiamo di dire in nostro vulgare: costui fa canzone e sonetti; ma per iscrivere una lettera a’suoi amici non diremmo che egli abbia fatto alcuna opera. Il nome del Poeta significa eccellente e ammirabile stile in versi, coperto e aombrato di leggiadra e alta finzione. E come ogni presidente comanda e impera, ma solo colui è imperadore che è sommo di tutti; così chi compone opere in versi, ed è sommo ed eccellentissimo nel comporre tali opere, si chiama poeta. Questa è la verità certa e assoluta del nome e dell'effetto de'poeti. Lo scrivere in stile litterato

« ÖncekiDevam »