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GLI EDITORI*

La storia non essendo stata sino ad oggi applicata con diligenza

a un poema essenzialmente storico, molte chiose da lungo tempo hanno pervertito il poema insieme e la storia, e addensate tenebre a tenebre intorno al secolo ed alla mente di Dante. » Così scriveva Ugo Foscolo (1).

Essenzialmente storico. Quest' è il vero carattere del gran poema di Dante. Senza conoscere a fondo il suo secolo, la sua vita, nè gustare si potrà interamente quella poesia schietta e virile nè intenderla. Già il Boccaccio aveva notato (e chi non se ne accorgerebbe da sè?) che lo scopo unico dell'opera a cui dava mano lo sdegnoso cittadino era versare la lode od il biasimo sopra gli uomini la cui politica, i cui costumi egli giudicava onorevoli o vergognosi, fruttuosi o pestiferi alla sua patria, all' Italia, all' Europa (2). I destini di Firenze erano a que' tempi si strettamente collegati ai destini della nazione intera; e l'Italia allora più che mai aveva tal parte nelle politiche ambizioni e ne' timori e ne' raggiri di tutte le grandi potenze europee che Dante non potea cantare della gran villa (3) senza estendere la sua voce al di là dell' alpi e de' mari. Quella missione che a' di nostri è affidata agli arcani della politica e alla libera voce de' giornali o a' gravi trattati scientifici Dante l'esule e quasi mendico cittadino, la esercitava, unico tra gl'uomini di stato d'allora, unico tra' poeti di tutti i secoli, in mezzo all'intera nazione; la esercitava in que'canti che i rozzi artigiani ripetevano nelle officine, che i grandi temevano e ambivano, che poi sonarono interpretati dalle cattedre, nelle chiese, che trasvolarono

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Avvertimento premesso all' edizione

fiorentina del 1830.

(1) Dante illustr., vol. I.

(2) Vita di Dante.
(3) Inf. XXIII.

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i secoli ed ora risonano sino in quel mondo che egli dicea senza gente (1), eternando coi dolori e coi rancori di un uomo le glorie e le sventure d'un popolo. Nella mente di Dante le miserie e le vergogne della discordia che agitava Firenze non erano che un anello di quella grande catena che inestricabile si avvolgeva intorno al bel corpo d'Italia: egli piange sul suo nido natio, ma dopo avere esecrato i tiranni di cui le terre d'Italia son piene, e lei chiamata Non donna di provincie, ma bordello (2).

L'illustre casa di Svevia, da Federico a Corradino; gli Angioini, da Carlo a Roberto; gli Aragonesi, da Pietro a Federico; i Tedeschi, da Rodolfo ad Arrigo; i Francesi, da Carlo magno a quel di Valois; e i re di Spagna, di Navarra, di Portogallo, d'Inghilterra, di Scozia, d'Ungheria, di Boemia, di Norvegia, di Cipro, passan tutti a rassegna, o lodati con parole miste d'esortazione, di rampogna, o maledetti con l'autorità che dà l'ira, l'ingegno e la sventura. Non provincia in Italia, non città quasi, non terra, ch'egli non tocchi nel volo della concitata passione, dond' egli non tragga un idolo di speranza o di vendetta. Gli uomini di tre secoli gli passano dinanzi quasi paurosi di essere marchiati d'infamia; ed egli, come il suo Minosse, conoscitor delle peccata (3), segna a ciascuno il suo grado nell'inferno, in quell' inferno il cui modello la vendetta gli stampava rovente nell'anima. Dove la passione dell'amor patrio, delle deluse o delle rinnovate speranze lo accende, quivi Dante è sovrano; là dove egli è storico, quivi massimamente è poeta. Ugo Foscolo immaginava che delle tre cantiche la prima ad esser composta fosse il Paradiso, per essere quivi men fermo, meno evidente e men caldo lo stile. Ma il Paradiso non è meno splendido, se non perchè meno storico; e dove sottentra la ispirazione del dolore e dello sdegno, ivi sfavilla la poesia, non celeste, se vuolsi, ma certo divina. Dal vero (io non dubito di affermarlo) venne a Dante il suggello del genio. Quel vasto disegno de'tre mondi è tutto subordinato ai fini politici, alle civiche intenzioni dell' esule: le descrizioni delle bolge ghiacciate od ardenti, de'cerchi della solitaria montagna e delle sfere armonizzanti di luce non sono che cornice al gran quadro; son tutt' al più il

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