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Poi che Madonna, da pietà commossa,
Degnò mirarmi, e riconobbe e vide
Gir di pari la pena col peccato;
Benigna mi ridusse al primo stato.

Ma nulla è al mondo in ch' uom saggio si fide:
Ch' ancor poi, ripregando, i nervi e l'ossa
Mi volse in dura selce; e cosi scossa
Voce rimasi dell' antiche some,
Chiamando Morte e lei sola per nome:

Verso 1. Quelle anime che Dio ha dotate di gentilezza. - 2. D'altrui. Da altri che da Dio.-3. Ha uno stato, un essere, somigliante a quello del suo creatore. Però, come fa Iddio, non lascia mai di perdonare.-5. Sem biante. Aspetto. 6. Quantunque. Quante si voglia. A mercè vene. Cioè viene. Implora pietà.-7-8. E se alcune volte, contro il suo costume, ella, cioè l'alma gentile, innanzi di perdo si lascia pregar lungamente, annare, che in ciò imita lui, cioè Dio.- 9. Fal. Lo fa. Perchè 'l peccar più si paven te. Acciocchè si tema il peccar più, cioè il tornare a peccare.-10. Che. Perocchè. Si ripente. Si pente.-11. Del

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l'un mal. Di un peccato. Chi dell' al-
tro s'apparecchia. Chi si apparecchia
di commetterne un altro.-12. Poi che.
Dopo che. Quando. 14. Che la quan-
tità della pena che io aveva patita era
già proporzionata alla mia colpa.
15. Al primo stato. Di uomo. Vuol si-
gnificare che Laura tornò a mostrarglisi
cortese, e come egli ne fu consolato.-
16. Ma l' uomo saggio non si dee fidare
di cosa alcuna del mondo.-17. Ripre
gando. Ripregandola io, cioè tornando a
richiederla di amore.- 18-19. Volse.
Cangiò. Scossa Voce rimasi dell'anti-
che some. Rimasi una voce spogliata
delle mie membra. Imitazione della fa-
vola d'Eco.-20. Lei. Laura.

Spirto doglioso, errante (mi rimembra),
Per spelunche deserte e pellegrine,
Piansi molt' anni il mio sfrenato ardire:
Ed ancor poi trovai di quel mal fine,
E ritornai nelle terrene membra,
Credo, per più dolor ivi sentire.

I' seguii tanto avanti il mio desire,

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Ch' un di, cacciando, siccom' io solea,
Mi mossi; e quella fera bella e cruda

In una fonte ignuda

10

Si stava, quando 'l Sol più forte ardea.
Io, perchè d'altra vista non m' appago,
Stetti a mirarla, ond' ella ebbe vergogna;
E per farne vendetta, o per celarse,
L'acqua nel viso con le man mi sparse.
Vero dirò (forse e' parrà menzogna);

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Ch'i' sentii trarmi della propria immago;
Ed in un cervo solitario e vago
Di selva in selva, ratto mi trasformo;
Ed ancor de' miei can fuggo lo stormo.

Verso 1. Spirto. Dice spirto perchè era privato del corpo. Mi rimembra. Misovvienė. Mi ricordo.-2. Pellegrine. Estranie.-3. Ardire. L'ardire usato con Laura.-4. Di quel mal ine. Fine di quel male. - 7-13. Io seguitando il mio desiderio, trascorsi tant' oltre, che un di essendomi mosso cacciando, cioè posto ad andare a caccia, come io soleva, e trovata Laura ignuda in una fonte, io, perchè non mi contento, non mi diletto, di altra vista

Canzon, i' non fu' mai

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che della sua, stetti fermo a mirarla :
della qual cosa ella si vergoguò. Imita-
zione della favola di Atteone.-16. Vero
dirò. Dirò cosa vera. E'. Egli, cioè
questo vero che io dirò. 47. Cioè
dirò che io mi sentii spogliare della
figura d'uomo.-18. Vago. Errante.
-19. Di selva in selva. Dipende da
vago, o vero è inchiusa in questo verso
la voce correndo, o altra simile,
tintesa. Mi trasformo. Cioè mi tra-
sformai.-20. Stormo. Frotta.
quel nuvol d'oro

Che poi discese in preziosa pioggia,

Si che 'l foco di Giove in parte spense:

Ma fui ben fiamma, ch' un bel guardo accense;
E fui l'uccel che più per l'aere poggia,
Alzando lei, che ne' miei detti onoro.
Nè per nova figura il primo alloro
Seppi lassar; che pur la sua dolce ombra
Ogni men bel piacer del cor mi sgombra.

Versi 1-3. Accenna la favola di Danae, e vuole intendere da una parte che egli non fu mai ricco, dall'altra che Laura non consentì mai di soddisfare al suo desiderio. - 4. Un bel guardo. Due begli occhi. Accense. Ac- 5-6. E fui quell'uccello che sale su per l'aria più alto di tutti gli altri, cioè l'aquila, e come tale, portai

cese.

sot

Laura in cielo co'miei versi, non altrimenti che l'aquila portò Ganimede. 7-9. Nè seppi mai, qualunque nuova figura io prendessi, lasciare quel lauro nel quale primieramente fui trasformato, cioè lasciar l'amore della mia donna; anzi eziandio la sola ombra di quell' alloro mi scaccia dall'animo ogni piacere men bello.

CANZONE II.

Lodando le bellezze di Laura, mette in questione se debba o no lasciarne l'amore.

Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi

Non vesti donna unquanco,

Nè d'or capelli in bionda treccia attorse,
Si bella come questa che mi spoglia

D'arbitrio, e dal cammin di libertade
Seco mi tira si, ch'io non sostegno
Alcun giogo men grave.

Verso 1. Sanguigni. Di color san-
guigno. Persi. Color misto di pur-
pureo e di nero, ma il nero vince.
2. Unquanco. Mai fino a ora.
5. D'or capelli. Capelli d'oro.
4. Si bella. Si riferisce a donna, che

E se pur s'arma talor

5. D'arbitrio. - 6-7. Non

sta nel secondo verso.
Del mio libero arbitrio.
sostegno Alcun giogo men grave. Non
consento di sottopormi al giogo di altra
donna, che pur sarebbe più leggiero :
tanto amo questo di Laura.

a dolersi

L'anima, a cui vien manco

Consiglio, ove 'I martir l'adduce in forse;

Rappella lei dalla sfrenata voglia

Subito vista; che del cor mi rade
Ogni delira impresa, ed ogni sdegno
Fa 'l veder lei soave.

Verso 2. L'anima. Mia. Vien manco. Vien meno. - 5. Consiglio. Il senno. Il buon giudizio. Ove. Quando. L'adduce in forse. La riduce a temer della vita.-4-7. Laura, subito vista, cioè subito che io la veggo, ritira

lei, cioè l'anima mia, dalla sfrenata, cioè temeraria, volontà di dolersi; perocchè il veder lei, cioè Laura, mi scaccia dal cuore ogni pensiero di pazze risoluzioni, e volge in dolcezza ogni mio sdegno.

Di quanto per amor giammai soffersi,
Ed aggio a soffrir anco

Fin che mi sani 'l cor colei che 'l morse,
Rubella di mercè, che pur l'envoglia,

Vendetta fia; sol che contra umiltade
Orgoglio ed ira il bel passo ond' io vegno
Non chiuda e non inchiave.

Versi 1-7. Io sarò vendicato di quanto ho sofferto per amore fin qui, e di quanto ho a sofferire finchè quella spietata che mi ha punto il cuore, e che pur l'invoglia, cioè l'innamora, non me lo risani essa medesima; sarò vendicato, dico, purchè orgoglio ed ira di Laura non chiudano incontro all'umiltà

mia il bel passo, cioè varco, pel quale
io vengo a lei, cioè non mi vietino di
continuare a vederla di tempo in tempo,
e conversare umilmente e onestamente
seco. Vendetta fia, cioè sarò vendica-
to, significa che il Poeta tiene per fer-
mo che Laura dovrà pur muoversi una
volta a pietà di lui.

Ma l'ora e 'l giorno ch'io le luci apersi
Nel bel nero e nel bianco

Che mi scacciar di là dov' Amor corse,
Novella d'esta vita che m'addoglia

Furon radice, e quella in cui l'elade
Nostra si mira, la qual piombo o legno
Vedendo è chi non pave.

Versi 1-7. Novella radice, cioè prima cagione, origine, di questa mia dolorosa vita, furono il giorno e l'ora ch'io vidi per la prima volta quel bel nero e quel bianco, cioè quei begli occhi e quel viso, che mi scacciarono di colà dove corse Amore, cioè scacciarono me dal

cuor mio, che Amore occupò immantinente. Origine de' miei mali fu altresì quella donna che è specchio ed esempio del nostro secolo, la quale chi può vedere senza sbigottirsene, conviene che sia fatto di piombo o legno.

Lagrima adunque che dagli occhi versi
Per quelle, che nel manco

Lato mi bagna chi primier s' accorse,
Quadrella, der voler mio non mi svoglia,
Che 'n giusta parte la sentenzia cade:
Per lei sospira l'alma; ed ella è degno
Che le sue piaghe lave.

Versi 1-7. Adunque (cioè, poichè il mio male è proceduto per gli occhi miei, che videro Laura) niuna lagrima che io versi da questi medesimi occhi per la pena che mi danno quelle saette che nel mio fianco sinistro bagna di sangue chi fu primo ad accorgersi del mio male, cioè il mio cuore; niuna lagrima, dico, mi svoglia dal mio volere, cioè mi ri

muove dal proposito di amar questa donna; perocchè la sentenza, cioè la condanna, cade in quella parte di me che l'ha meritata, cioè quella parte di me che sostien la pena del lagrimare, sono gli occhi per colpa di questa parte, cioè degli occhi, l'anima mia patisce: or dunque è ben giusto che quelli lavino le piaghe di questa.

Da me son fatti i miei pensier diversi:
Tal già, qual io mi stanco,

L'amata spada in se stessa contorse.
Nè quella prego che però mi scioglia:
Che men son dritte al ciel tutt' altre strade;
E non s'aspira al glorioso regno

Certo in più salda nave.

Versi 1-7. I miei pensieri combattono meco medesimo. Io cangio pensiero ad ora ad ora. Una donna già, cioè Didone, travagliata da una battaglia simile a questa nella quale io mi stanco, rivolse contro se stessa l'amata spada, cioè si uccise colla spada di Enea. Contuttociò non prego Laura che mi ritorni in li

bertà, perchè tutti gli altri sentieri che menano al cielo sono men diritti di questo, cioè niuna via conduce così dirittamente al cielo come l'amor di costei, e certo non si può veleggiare in cerca del paradiso con più salda nave, cioè più robusta e più soda, che questo

amore.

Benigne stelle che compagne fersi

Al fortunato fianco,

Quando 'l bel parto giù nel mondo scorse!
Ch'è stella in terra, e come in lauro foglia,
Conserva verde il pregio d' onestade:

Ove non spira folgore, nè indegno
Vento mai che l'aggrave.

Verso 1. Benigne stelle. Esclamazione. E vuol dire, benigne furono quelle stelle. Fersi. Si fecero. - 2. Fianco. Della madre di Laura. 3. Quando Laura scese in terra, cioè nacque. In questo verso e nei due precedenti il Poeta vuol dire che Laura fu partorita in buon punto di stelle. -4. Che. Cioè Laura.

Come in lauro foglia. Come la foglia del lauro si conserva sempre verde.6. Ove. Nella qual foglia o nel qual lauro. Non spira folgore. Cioè non cade folgore. Così disse Virgilio: fulminis afflavit ventis. Si dice che il lauro non sia percosso da fulmini. - 7. Aggrave. Aggravi.

So io ben ch' a, voler chiuder in versi
Sue laudi, fora stanco

Chi più degna la mano a scriver porse.
Qual cella è di memoria in cui s'accoglia
Quanta vede virtù, quanta beltade;
Chi gli occhi mira d'ogni valor segno,.
Dolce del mio cor chiave?

Versi 1-7. Io so bene che il più degno uomo che mai ponesse mano a scrivere, cioè il più degno scrittore che fosse mai, volendo chiudere in versi le lodi di Laura, cioè cantar pienamente di tutti i suoi pregi, fora, cioè sarebbe, stanco; si stancherebbe. In qual cella di memoria si può raccorre tanta virtù, tanta bellezza, quanta è

pur quella che veggono coloro che mirano gli occhi di costei, segno, cioè centro, sede, di ogni valore, cioè di ogni pregio, e chiavi del cuor mio? Dice qual cella di memoria, seguitando

opinione di alcuni filosofi, che la facoltà della memoria risedesse in certi spartimenti che fossero nel cervello.

Quanto 'l Sol gira, Amor più caro pegno,
Donna, di voi non ave.

Versi 1-2. O donna, in quanto gira il Sole, cioè dentro il giro del Sole, che

vuol dire in tutta la terra, Amore non ha più cara gemma di voi.

SESTINA II.

Benchè disperi di vedere Laura pietosa, protesta di amarla fino alla morte.

Giovane donna sott' un verde lauro

Vidi, più bianca e più fredda che neve

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