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SONETTO II.

Forte contro tante insidie di Amore, non potè difendersi da quest' ultima.

Per far una leggiadra sua vendetta,

E punir in un di ben mille offese,
Celatamente Amer l'arco riprese,

Com' uom ch'a nuocer luogo e tempo aspetta.
Era la mia virtute al cor ristretta,

Per far ivi e negli occhi sue difese,
Quando 'l colpo mortal laggiù discese,
Ove solea spuntarsi ogni saetta.

Però turbata nel primiero assalto,

Non ebbe tanto nè vigor nè spazio

Che potesse al bisogno prender l'arme,
Ovvero al poggio faticoso ed alto

Ritrarmi accortamente dallo strazio,

Dal qual oggi vorrebbe, e non può aitarme.

Verso 2. Offese. Fatte ad Amore dal Poeta, resistendogli e disprezzando

lo. 5. Celatamente. Di nascosto.

4. Com' uom che. Come fa chi.
5. Virtute. Forza.-6. Far sue difese.
Difendersi.-7. Laggiù. Nel cuore.-
8. Dove ogni assalto di Amore soleva
riuscir vano.-9. Però. Perchè Amore
aveva ripreso l'arco e tratto il suo colpo
di nascosto, e come fa chi, volendo nuo-
cere altrui, aspetta luogo e tempo op-
portuno. Turbata. La detta mia virtù,

cioè la mia forza. Nel primiero assalto. Fin sul principio dell'assalto.10. Non ebbe tanto vigore nè tanto tempo.-11. Potesse. La mia virtù. Al bisogno. Come richiedeva il bisogno.12. Al poggio faticoso ed alto. Al monte, alla rocca, della virtù o della ragione o cosa simile.-13. Ritrarmi. Il verbo ritrarre qui è attivo, e dipende dalla parola potesse, che sta nell' undecimo verso.-14. Aitarme. Aiutarmi.

SONETTO III.

Giudica Amor vile, che lo ferì in un giorno da non doverne sospettare.

Era 'l giorno ch' al Sol si scoloraro

Per la pietà del suo Fattore i rai,

Quand' i' fui preso, e non me ne guardai,
Che i be' vostr' occhi, Donna, mi legaro.

Tempo non mi parea da far riparo

Contra colpi d' Amor: però n' andai

Secur, senza sospetto: onde i miei guai

Nel comune dolor s'incominciaro.
Trovommi Amor del tutto disarmato,

Ed aperta la via per gli occhi al core,
Che di lagrime son fatti uscio e varco.
Però, al mio parer, non gli fu onore

Ferir me di saetta in quello stato,
E a voi armata non mostrar pur l'arco.

Verso 1. Il giorno ch'al Sol. II giorno nel quale al sole. Intende l'anniversario della morte di Cristo. 2. Per la pietà del suo Fattore. Per la compassione che il sole sentiva del suo creatore.-4. Che. Poichè.-5-6. Essendo quel giorno santo e lugubre, non mi pareva tempo da temere assalti di Amore, e da starne in guardia. 7. Secur. Sicuro.-8. Nel comune do

7

lor. Dei Cristiani per la ricordanza della morte di Cristo. 9. Del tutto. Affatto.-10. Ed aperta. E trovò aperta.-14. Che. I quali occhi. Son fatti. Sono divenuti. 12. Ma, secondo me, non gli fece onore, non fu cosa da vantarsene.-13. In quello stato. Così disarmato e sprovvisto come io era. — 14. Non mostrar pur. Nè pur mo strare.

SONETTO, IV.

Innamorato di Laura, trae argomento di lodarla dal luogo stesso dov'ella nacque.

Quel ch' infinita provvidenza ed arte
Mostrò nel suo mirabil magistero; .
Che criò questo e quell' altro emispero,
E mansueto più Giove che Marte;
Venendo in terra a illuminar le carte
Ch' avean molt' anni già celato il vero,
Tolse Giovanni dalla rete e Piero,
E nel regno del Ciel fece lor parte.
Di se, nascendo, a Roma non fe grazia,
A Giudea si: tanto sovr' ogni stato
Umiltate esaltar sempre gli piacque.
Ed or di picciol borgo un Sol n'ha dato
Tal, che Natura e 'l luogo si ringrazia
Onde si bella donna al mondo nacque.

Verso 1. Quel. Colui, cioè Dio.2. Nel suo mirabil magistero. Nella sua maravigliosa opera della creazione del mondo.-5. Criò. Creò. Questo e quell'altro emispero. L'uno e l'altro emisfero.-4. E diede al pianeta detto

Giove più benigni influssi che a quello di Marte. Opinione antica.-5. A illuminar le carte. A rischiarar le scritture sacre. A svelare il senso delle scritture sacre.-8. E diede loro parte nel regno del cielo, cioè li fece partecipi del regno

del cielo.-9. Non fece a Roma la grazia di nascer quivi.-10-14. Sovr❜ogni stato Umiltate esaltar. Innalzare gli umili sopra ogni condizione umana.

42-44. Ed ora da una picciolaTerra ci ha fatto nascere un sole tale, che gli uomini ringraziano la Natura e il luogo che hanno prodotto sì bella donna, cioè Laura.

SONETTO V.

Col nome stesso di Laura va ingegnosamente formando l' elogio di lei.

Quand' io movo i sospiri a chiamar voi,
E'l nome che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s' incomincia udir di fore
Il suon de' primi dolci accenti suoi.
Vostro stato REal che 'ncontro poi,

Raddoppia all' alta impresa il mio valore:
Ma, TAci, grida il fin, chè farle onore
È d'altri omeri soma che da' tuọi.
Cosi LAUdare e REverire insegna

La voce stessa, pur ch' altri vi chiami,
O d'ogni reverenza e d' onor degna:
Se non che forse Apollo si disdegna

Ch' a parlar de' suoi sempre verdi rami
Lingua mortal presuntuosa vegna.

Verso 2. E'l nome. Ed a chiamare, cioè a profferire, il nome. 3-4. IÍ suono delle prime lettere di questo no. me (cioè di Laureta, che oggi si direbbe Lauretta o pur Loreta) s'incomincia a udire fuori delle labbra lodando, cioè non è altro che il suono della prima sillaba di laudare; e però dice il Poeta che chi proferisce il nome della sua donna, la incomincia a lodare col suono stesso delle prime lettere di tal nome.-5. La vostra condizione REgia che trovo poi, cioè nella seconda sillaba della voce Laureta.-6. All'alta impresa. All' impresa di lodarvi.-7-14. Ma l'ulti

ma sillaba della voce Laureta, cioè ta, grida TAci, perciocchè a lodarla si ricercano ben altre forze che non sono le tue. Pertanto, o donna degna di somma riverenza e di somma lode, il suono medesimo del vostro nome, purchè uno vi nomini, insegna a lodarvi e a riverirvi (la prima sillaba a LAUdarvi, e la se conda a REverirvi): ma forse Apollo si sdegna che una lingua mortale presun tuosa venga, cioè si metta a parlare del lauro (che e la pianta di Apollo,e che, se condo la consuetudine del Poeta, signifi ca Laura); e da ciò nasce che l'ultima sillaba del vostro nome comanda di tacere

SONETTO VI.

Viva immagine del suo amore ardente, e della onestà costante di Laura.

Si traviato è 'l folle mio desio

A seguitar costei che 'n fuga è volta,

E de' lacci d' Amor leggiera e sciolta
Vola dinanzi al lento correr mio;
Che, quanto richiamando più l'invio
Per la secura strada, men m'ascolta;
Nè mi vale spronarlo o dargli volta,
Ch' Amor per sua natura il fa restio.
E poi che 'l fren per forza a se raccoglie,
I' mi rimango in signoria di lui,

Che mal mio grado a morte mi trasporta,
Sol per venir al Lauro onde si coglie
Acerbo frutto, che le piaghe altrui,
Gustando, affligge più, che non conforta.

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Conosce di esser incatenato più forte che augello tolto alla sua libertà.

A piè de' colli ove la bella vesta

Prese delle terrene membra pria
La Donna, che colui ch'a te ne 'nvia
Spesso dal sonno lagrimando desta,
Libere in pace passavam per questa
Vita mortal, ch' ogni animal desia,
Senza sospetto di trovar fra via
Cosa ch' al nostr' andar fosse molesta.

Ma del misero stato ove noi semo

Condotte dalla vita altra serena,

Un sol conforto, e della morte, avemo:
Che vendetta è di lui, ch'a ciò ne mena;
Lo qual in forza altrui, presso all' estremo,
Riman legato con maggior catena.

In questo Sonetto s' introducono a parlare certe bestioline prese nei contorni

della Terra di Laura, e mandate dal poeta a regalare a un amico.

Versi 1-14. Noi passavamo libere e in pace per questa vita caduca che ogni animale desidera, cioè vivevamo in libertà e in pace, senza timore d'insidie nè di sciagure, appiè dei colli dove prese la bella veste delle membra terrene, cioè dove nacque, colei che spesso desta dal sonno quello che ci manda a te in dono

(cioè il Poeta), e lo desta addolorato e piangente. Abbiamo un solo conforto si di questo misero stato in cui siamo venute da quell'altra vita libera e dolce, e si della morte vicina: e questo conforto si è l'essere vendicate di colui che è cagione della nostra calamità (cioè del Poeta); il quale si trova in mano altrui (cioè di Laura), vicino all'estremo di sua vita, e in cattività più dura che la nostra.

SONETTO VIII.

Cerca com' essendo Laura un Sole, ei non abbia a sentirne tutta la forza.

Quando 'l pianeta che distingue l' ore,

Ad albergar col Tauro si ritorna,
Cade virtù dall' infiammate corna
Che veste il mondo di novel colore:
E non pur quel che s' apre a noi di fore,
Le rive e i colli, di fioretti adorna,
Ma dentro, dove giammai non s' aggiorna,
Gravido fa di se 'l terrestro umore;

Onde tal frutto e simile si colga.

Cosi costei, ch'è tra le donne un Sole,
In me, movendo de' begli occhi i rai,
Cria d'amor pensieri, atti e parole.

Ma come ch'ella gli governi o volga,
Primavera per me pur non è mai.

Versi 1-4. Quando il pianeta che serve alla divisione e alla misura del tempo, cioè il sole, ritorna nella costellazione del toro (il che accade passata la metà di aprile), piove dalle corna del detto toro, infiammate dal sole, una virtù, cioè calore e luce, che veste la terra di color nuovo, cioè di nuove erbe e foglie e di nuovi fiori. - -5-6. E non solo adorna di fioretti quella parte della terra che sta esposta agli occhi, voglio dire le campagne e i colli.-7. Ma oltre di ciò, sotterra, in luoghi dove non si fa mai giorno, cioè non entra mai la luce del giorno. Qui, come spesso, il verbo aggiornarsi è impersonale. --8. Ter

restro. Terrestre. 9. Tal frutto.
Quale è questo che io vi mando. Man-
dava il Poeta, come si crede, insieme
con questo Sonetto, alcuni tartufi a
un amico. E simile. Ed altri simili.-
11-12. Movendo i begli occhi, genera
in me pensieri, opere e parole amoro-
se.-15. Come che. Comunque. In qua-
lunque modo. Gli. Li. Questo pronome
si riferisce ai rai de' begli occhi.
14 Nondimeno non è mai primavera
per me. Cioè, benchè gli occhi di Laura
facciano in me questi effetti, o vero,
benchè il sole faccia primavera nella
terra, tuttavia gli occhi di Laura non
fanno mai primavera in me.

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