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Par dunque, che la favola non faccia essa la poesia, ma solo serva a renderla qualche volta migliore. Quan ti epigrammi hanno i latini, e quante elegie, e quante ode; e quanti sonetti e ballate, e canzoni abbiamo noi, che non s' avvolgono di niuna favola, e pur tutti le hanno per poesie? Chi è, che non metta Lucrezio tra i poeti? il qual però, se ben mi ricorda, è privo di favole; perchè il racconto, che egli fa, di Ifigenia non entra in quel libro se non per accidente; e forse a tempi di Lucrezio s' avea più presto per un' istoria, che per una favola; e Lucrezio stesso intese di scrivere un' istoria; altrimenti troppo sciocco sarebbe stato quel suo argomento contro la religione. Senza che è così breve quel racconto, che sarìa cosa ridicola volere, che tutto quel libro fosse un poema per causa di quel racconto solo. Siccome io non metterò tra i poemi la Georgica di Virgilio per quella favola sola, che egli narra in ultimo d' Aristeo; la qual però, secondo che alcuni pensano, fu quivi posta da Virgilio in luogo delle lodi di Gallo, che egli vi avea poste prima, e poi temette non dispiacessero ad Augusto. Il nostro Alamanni, che seppe imitar cost bene Virgilio, non so perchè non volesse imitarlo inserendo anch' egli alcuna favola in quel suo poema so pra la Coltivazione; il qual tuttavia così, com'è, senza favole, si stima essere, ed è, non solo un poema, ma un poema bellissimo, e nobilissimo. Non è dunque la favola essenziale alla poesia, e solo vi si ricer ca per maggior diletto; ne accadea ricordarla nella de

finizione della poesia, dovendo la definizione contener ciò solo, che è essenziale, e non altro. Il che può anche dirsi dell' imitazione.

Ma quanto all'imitazione, che i più vogliono, che si convenga alla poesia per essenza, e però deb. ba necessariamente inchiudersi nella definizione, essendo questa alquanto più grave, e più difficil quistione, soffrite, Gentilissima Signora Marchesa, che io cominci più d'alto, e faccia un breve giro, per rischiarar meglio le cose, che son per dirvi, il che facendo rischiarerò forse meglio ancor quelle, che ho fin qui dette. Io dico dunque, che qualor pigliasi a definire una cosa determinata già da un certo nome, o di qualunque altro modo stabilita, bisogna prima proporsi all' animo quella tal cosa, e scorrendola col pensiero rac cogliere tutte le proprietà, che possono di lei sapersi . Che se, ciò fatto, vorrà alcuno, affine di dichiarar la cosa, numerare ad una ad una, ed esporre tutte le dette proprietà, non si dirà per questo, che egli l' ab. bia definita; dirassi più presto, che egli l'ha descritta. Ma se egli fra tutte quelle proprietà sceglierà le più principali, e le prime, cioè quelle, da cui nascono, e derivan le altre, e queste prime sole esporrà ; allor dirassi, che egli abbia veramente definita la cosa, che definir volea. Onde si vede, che la definizione non dee comprendere tutte le proprietà della cosa definita, ma solamente le prime; e poichè dalle prime nascon le altre, però manifestandosi le prime nella definizio

da queste poi si raccolgon le altre per via di ar

gomen

.

gomentazione; e così dalla definizione si traggono tut te le proprietà, che necessariamente alla cosa definita convengono ; il che è modo bellissimo d' argomentare. E sappiate, che io ho sentito dire a savii matematici, che considerando eglino il triangolo, e il circolo, e moltissime altre figure, quantunque ognuna abbia in se infinite proprietà, pur definiscon ciascuna con brevissi ma definizione, accennandone una proprietà sola, da cui poscia argomentando discorrono a tutte le altre, e a questo modo fanno quei loro lunghissimi, e sottilissimi trattati. E certamente a me piacerebbe, che tut ti quelli, che imprendono a insegnare qualche arte o scienza, cercassero in questa parte di imitargli.

Ora, per venire al proposito, avendo la poesia infinite proprietà, e abbracciando in se la favola, l' imitazione, i costumi, gli affetti, ed oltre a ciò purità e grazia di stile con sentenze ora nobili e magnifiche, ora piane e semplici, e con parole e forme di dire scelte, e convenienti; ed altre cose assai, che troppo lungo sarebbe l'annoverarle tutte; egli è certo però, che non tutte queste proprietà debbon raccogliersi nella definizione della poesia, bastando mettervi quelle poche, da cui queste, e le altre si derivano. Il che parmi d'aver fatto a bastanza, avendo detto, la poesia non altro essere, che un' arte di verseggiare per fine di diletto; nella qual definizione contenendosi due proprietà della poesia, che sono il verso, e il fine del dilettare, da queste due si possono, e debbon dedurre argomentando tutte le altre. Perchè chi è, che inten

den

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dendo, l'arte della poesia essere tutta rivolta al diletto, non intenda anche subito, convenirsi ad essa e va rietà di stile, e affetti, e costumi, e favola, e imitazione, e tutte l'altre proprietà, che abbiamo dette, con le quali piacerà molto il poeta ; e niente piacereb be senza esse. E questa considerazione ha fatto, che io mi contenti di quella mia definizione, piacendomi anche per la sua brevità; ne ho creduto, che avendo in essa espresso il diletto, faria mestieri esprimere eziandio l'imitazione, parendomi, che il diletto la chiami egli da se, e ve la introduca. Di che può intendersi, che l'imitazione, come anche ciascuna delle sopraddette proprietà, non conviene alla poesia per se stessa e di natura sua, ma solo in tanto, in quanto serve al piacere. Di fatti non dee il poeta, se vuol' essere buon poeta, procedere tanto avanti nello studio dell'imitazione, che non propongasi certi termini, cui trapassar non debba; perciocchè se gli trapassasse, non piacerebbe; anzi dovrà talvolta allontanarsi dall' imitazione, per maggiormente piacere. Il che veggiamo, che fanno generalmente tutti i poeti; i quali se volessero imitare perfettissimamente il vero, non parlerebbono in versi; e molto meno farebbono parlare in versi quelle persone, che essi introducono a ragionare ne' lor poemi; ne le farebbon parlar tutte una medesima lingua, essendo, come per lo più sono, di nazione diversissime. Ma quanto dispiacerebbe in un poema sentire or prosa, or verso, or' una lingua, or' un' altra; quantunque ciò fosse più conforme al vero? E in quante bas

sez

sezze, e viltà cadrebbe il poeta, se in tutto, e sem. pre volesse andar dietro all' imitazione? Chi è, che nelle egloghe esprimer voglia la sordidezza de' pastori? Se anche nelle commedie vogliono sfuggirsi le gofferie più vili, e più abbiette. E chi soffrirebbe in una tragedia, che i personaggi, che la compongono, all' ora del mangiare pranzassero, e venendo la notte s' andassero a dormire? Le quali cose bisognerebbe pur farle, chi imitar volesse i costumi, e le azioni de gli uomini perfettamente; ma non recherebbono niun diletto a gli ascoltanti; e però non si fanno. Bisogna dunque, che il poeta non del tutto si abbandoni all' imitazione del vero e volendo imitare, come pur dee, si guardi di farlo troppo.

Ne vale il dire, che la verità dee preferirsi ad ogni cosa; e che bisogna seguire il vero senza eccezion niuna; e però quelli, che imitano il vero, come i poe ti, non hanno in quella imitazione da contenersi; ma, quanto possono, rappresentar debbono in ogni sua parte la verità così appunto, come ella è. Perchè io concedo bene, che la verità dee preferirsi ad ogni cosa, ove si tratti di crederla, e di onorarla; ma non so già, se sia lo stesso da concedersi, ove si tratti di rappresentarla per un certo fine; poichè potrebbe talvolta accadere, che un vero rappresentato poco o nulla servisse a quel fine, per cui si rappresenta, al qual fine servirebbe meglio un falso. E così avviene in poesia; ove volendosi rappresentar le cose per imitazione a fine di dilettare, spessissime volte, anzi quasi sem.

pre,

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