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DISSERTAZIONE

Sull'origine della Poesia Italiana, e sulla Divina Commedia di Dante, recitata dal Sig. Merian nell' Accademia di Berlino negli anni 1782, 1783, 1784.

Origine della Poesia Italiana.

ABBIAMO Scorso le poetiche regioni delle antiche genti; ed in ultimo luogo quelle dell' Impero Romano. Da esse a' moderni ed alla poesia delle lingue vive v'è un solo, e quasi impercettibile passo, che facilmente possiamo fare restando ancora nel bel paese,

Ch' Appennin parte, e 'l mar circonda e l' Alpe.

Delle tre figlie della lingua latina, l' italiana è la maggiore, e fu essa pur la prima a prendere una forma sì costante, che il corso di quattro secoli e più, non ha potuto molto cangiarla; quella in somma che più ha conservato le fattezze ma

terne.

Lasceremo intieramente da parte le dispute che sono insorte sopra l' origine di essa.

Alcuni

Ri

dotti la van cercando nell' antichità più remota. L'italiano, second' essi, fu in ogni tempo il dialetto del popolo romano e delle provincie; ed al decadere della buona latinità, elevossi a poco a poco, e stabilissi sopra le rovine di essa. cevè alla fine, senza però cangiar corpo e sostanza, quelle variazioni di forma che son necessarie ad un dialetto per aver leggi grammaticali, e per divenir lingua ben regolata.

Secondo la più adottata opinione, la lingua italiana è nata, non meno che le sorelle di essa, dalla corruzione della latina, guastata da quelle Nazioni le quali vicendevolmente invasero l' Italia, dagli Eruli principalmente, dai Goti, dai Lombardi e dai Franchi. Il popolo dell' antica Roma, secondo i fautori di questa opinione, parlò promiscuamente l' italiano, il francese e lo Spagnuolo, altro non essendo queste tre lingue che il latino differentemente corrotto in Italia, in Gallia ed in Spagna; e la loro differenza è nata in parte dal clima e dai costumi degli abitanti di queste Provincie, ed in parte dal linguaggio che

i loro barbari conquistatori vi portarono. In Gallia ed in Spagna, i residui della lor lingua mater na, andata a poco a poco in disuso, o conservata soltanto nel basso popolo, possono averci ancor contribuito.

Il Marchese Scipion Maffei, senza negare che la lingua italiana altro sia che un degenerato latino, pretende che niente ella debba ai Goti, ai Lombardi ed alle altre barbare nazioni Settentrionali, Niuna traccia, dic' egli, ne resta della loro influenza; e le loro lingue, ispide pel frequente concorso delle consonanti, sono del tutto ed estremamente opposte alla italiana, la quale abbonda in vocali. Sebben convinto, dall' altro canto, che la lingua popolare e provinciale dei Romani differisse dalla buona latinità, e che si scuopra nell' antico latino, non solamente un gran numero di quelle parole italiane, le quali si suppone essere di straniera origine, ma gli articoli stessi ed i verbi ausiliari pei quali la lingua italiana sembrerebbe più allontanarsi dal suo ceppo, pure egli vuol piuttosto attribuirne l' origine ai moltiplici cambiamenti che nel lasso del tempo si sono talmente introdotti, che una nuova

lingua se n'è formata alla fine. Sembra ad esso che il latino abbia dato origine all' Italiano per un cangiamento simile a quello che subì la lingua greca, la quale, senza concorso di Goti o Lombardi, o d' altra straniera Nazione, ha, dal regno di Giustiniano in qua, sofferto le medesime variazioni, essendosi troncate alle parole le loro sillabe finali, le lettere cangiate, i casi de' nomi ridotti quasi al solo accusativo, ed i futuri e gli infiniti de' verbi caricati degli ausiliari volere ed avere; lo che coll' andar del tempo ha generato quell' imperfetto idioma che al dì d'oggi si parla nella Grecia, nelle Isole dell' Arcipelago, e sulle coste dell' Asia Minore, mentre in Italia l' istesso cangiamento fu infinitamente più felice. (Verona Illustrata, Par. I. lib. xi. pp. 310-321.)

Ma qualunque siasi l'opinion che si adotta, ci lascerà sempre un soggetto di maraviglia. Si supponga pure che l'italiano ripeta la sua origine da un gergo plebeo e provinciale, o dall' impasto della latinità spirante nel seno della bárbarie colla barbarie stessa, od infine dalla interna corruzione e dal rovesciamento d'ogni sua regola, chi sarebbesi mai aspettato di veder nascere la

più bella delle lingue vive, una lingua regolare, ricca, feconda, atta a dipinger gli oggetti, soave e sonora ad un tempo, alla Musica ed alla Poesia sì confacente, che crederebbesi aver essa avuto origine sul Parnasso? Che straordinario cangiamento! La Farfalla che con vaghissime ali si sprigiona dal cadavere di vile insetto, la Fenice che più bella risorge dalle sue ceneri, non sono oggetti di maggior maraviglia.

L'italiano ancor rozzo ed incolto fu da prima parlato soltanto, e gli si dette il nome di lingua volgare. Tanti n'erano i dialetti quante v'eran Città e Provincie. Acquistossi ella per gradi un certo uso generale, secondo che il commercio, le guerre, le civili e politiche leghe ponendo in corrispondenza le une colle altre le città e le provincie, trovaronsi nel caso di trattare insieme e di comunicarsi reciprocamente i loro bisogni ed i loro interessi. Nel decimo ed undecimo secolo ella trascese il latino; ma servendo tuttavia al discorso, non si scriveva. La lingua latina conservò i suoi dritti negli atti solenni, nei pubblici contratti, nei corsi dei Tribunali, nella Chiesa ove s'è conservata, e tra' dotti. E quan

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