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Creata fu la virtù informante

In quelle stelle ch' intorno a lor vanno,
L'anima d' ogni bruto e delle piante
Di complession potenziata tira
Lo raggio e 'l moto delle luci sante;
Ma nostra vita, senza mezzo, spira
La somma beninanza e la 'nnamora
Di sè, sì che poi sempre la disira.

Ecco quanto basterebbe per poter valutare la poesia filosofica di Dante. Ma per mostrar meglio quanto egli era trasportato dalla brama invincibile di filosofare, citerò qualche pezzo della dedica latina del suo Paradiso a Can Grande Della Scala Signor di Verona, la qual dedica fu trovata nel 1700, ed è un vero capo d opera di guazzabuglio scolastico.

Vuole in essa spiegare il piano ed il disegno del suo intiero poema, o delle tre Cantiche che formano LA DIVINA COMMEDIA, e comincia dal dimostrare la necessità di questa spiegazione. A tal effetto, egli allega da prima quelle parole del secondo Libro della Metafisica d' Aristotile: La correlazione d'una cosa all'esistenza è la medesima che la sua correlazione alla verità, lo che

provasi nella seguente maniera: "Ciascuna cosa esiste nella sua verità, come nel suo soggetto; d' onde nasce che la verità d'una cosa è la perfetta somiglianza di quella cosa, tale quale ella si è. Ma tutto ciò ch' esiste ha un' assoluta esistenza, od un' esistenza dipendente in virtù della sua correlazione a qualche altro essere, come sono le correlazioni tra padre e figlio; tra padrone e servo; tra doppio e metà; tra tutto e parte, etc. Così, siccome l'esistenza di ciascuna di queste cose dipende da un' altra cosa, la loro verità è necessariamente nella medesima dipendenza; poichè se voi non avete idea della metà, non avrete mai idea del doppio, e così del resto." Dunque per far conoscere la parte d' una qual si sia opera bisogna aver prima dato notizia dell' opera intera. In somma da tutto ciò, Dante inferisce laboriosissimamente che volendo far conoscere al suo Patrono il PARADISO, o sia la terza parte del suo Poema debbe prima di tutto parlargli dell' opera intiera.

Quando parla della forma di questo Poema, egli distingue tra forma tractatus e forma tractandi. La prima di queste forme è triplice. La

Ma la forma

Divina Commedia è divisa in cantiche, ogni cantica in un certo numero di canti, ed ogni canto in un certo numero di versi. tractandi è ben altra: si divide essa e si ramifica in una spaventevol maniera. Forma, sive modus tractandi est poeticus, fictivus, descriptivus, digressivus, transumptivus, et cum hoc definitivus, divisious, probativus et improbatious, et exemplorum positivus.

In questa medesima dedica egli fa un lungo commento sopra i primi due versi del suo Paradiso:

La gloria di colui che tutto muove

Per l'universo penetra e risplende.

Dante comincia il suo commento in questa maniera: Omne quod est, aut habet esse a se aut ab alio il resto va sul medesimo piede, ed ogni paragrafo è, per così dire, circondato da una palizzata di citazioni di passi d' Aristotile.

Non so se questa filosofia avrà molto dilettato il Signor Della Scala; ma è una fortuna per noi il non pensare ad essa nel legger l'Opera di Dante, ed il non averci egli stesso pensato sem

pre nello scriverla.

Quando noi lo vediamo

tanto immerso nella belletta scolastica, diciamo, attoniti fra noi: Com'è egli possibile ch' un sì bel genio sia stato pedantesco! e come ha potuto mai un pedante avere un genio sì bello!

Per altro, se i suoi versi troppo sovente son degradati e macchiati dall' aristotelica filosofia, egli non è però sì ristretto alla sola setta di quel Filosofo da non entrar di quando in quando nel Portico e nell' Accademia. Le Idee ch' egli prende da Platone conservano per lo più le vive immagini ed i colori poetici de' quali quel Filosofo le ha ornate; e siccome son esse sparse con leggerezza e senza tirarsi dietro delle lunge dissertazioni, così meno disacconciamente vi cal

zano.

Quel sogno del Discepolo di Socrate che le nostre anime discendano dalle stelle alla nostra nascita, e che vi rimontino alla nostra morte, si presenta in varj luoghi della Divina Commedia : (Par. i, 93. e iv, 49.) Altri luoghi pure sembrano aver qualche cosa del Sistema Platonico, o almeno del Sistema dell' emanazione; come

quando dice che la nostra mente è un raggio di quella da cui è occupata l'immensità. (Par.

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Essere alcun de' raggi della mente

Di cui tutte le cose son ripiene.

Dante può aver preso queste espressioni dai Mistici ch' erano imbevuti del Platonsimo, ed i quali si erano vastamente sparsi in Italia.

Si deve anche osservare che i Santi e gli spiriti gloriosi di Dante veggon tutto nell' essenza infinita di Dio, in cui si radunano tutti i tempi e tutti gli spazj, ed in cui si scuoprono tutte le esistenze come in un terso e puro specchio:

Ove s'appunta ogni ubi e ogni quando.

Nel verace speglio.

(Par. xxix, 12.)

(Par. xxvi, 106. (29).

(29) Il Petrarca imbevuto di queste medesime idee dice che Laura in cielo vede in Dio l' amore e la fedeltà del di lei Amante: Canzoniere, P. II. Son. 76. O delle Donne altero e raro mostro,

Or nel volto di lui che tutto vede
Vedi 'l mio amore e quella pura fede

Per ch' io tante versai lagrime e 'nchiostro.

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