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dell' autonomía. Ma i Guelfi stessi, non meno che i Ghibellini loro nemici, eransi suddivisi in due fazioni, quella cioè de' Bianchi e quella de* Neri, le quali per dissensione ed odio intenso. s' indebolivano reciprocamente e nuocevano ai loro comuni interessi. Dopo varj sforzi fatti ad oggetto di riconciliarli, accadde che Donato Corsi della fazione de' Neri, nemico mortale di Dante perchè da esso era stato cacciato di Firenze, essendovi ritornato per protezion di Bonifazio VIII, e di Carlo di Valois che quel Pontefice aveva deputato per mediatore de' Fiorentini, i Bianchi furon vinti. Il nostro Poeta involto nella loro rovina, altro non fece pel resto della sua vita ch' andarsene errando in esilio. Le sue sventure ed il suo risentimento produssero un total cangiamento nel suo politico sistema. Di Guelfo divenne allor Ghibellino, nemico giurato de' Papi ed amico ardentissimo degl' Imperatori, i quali egli non cessa mai di chiamare in soccorso della desolata e sconvolta' Italia. D'allora in poi quei Signori o Tiran nucci, che col titolo di Viearj dell' Impero si erano assunti il dominio di città e provincie di

vennero suoi prottetori e suoi eroi; ed i loro dominj gli furon luoghi di rifugio (21).

(21) Parmi esser questo il vero filo che conduce a sviluppare quel punto di storia fiorentina ch'è stato sì sovente imbrogliato. Il fatto è questo:

1. Che il partito dominante in Firenze era quello de' Guelfi, quando le fazioni de' Bianchi e de' Neri, nate a Pistoja, vi s' introdussero.

2. Queste ultime fazioni non avevan punto che fare allora con quelle de' Guelfi e de' Ghibellini, ma for mavano una nuova divisione nell' uno e nell' altro par tito.

3. Quando Papa Bonifazio, pe' suoi intrighi ebbe oppresso i Bianchi di Firenze, quei Bianchi, fin allora mescolati di Guelfi e Ghibellini, s'unirono contro di lui coi Ghibellini, tanto con quei che eran con essi associati in qualità di Bianchi, che con gli altri Ghibellini d'Italia fuor di Firenze. Dante stesso procurò per qualche tempo d' ottenere il suo ritorno in quella città, e non dichiarossi contro il Papa e contro i Guelfi se non quando non potè più lusingarsi di riconciliarsi colla sua patria.

Quest' è ciò che m' era sembrato resultare dal libro VIII, delle storie fiorentine di Giovanni Villani, autore contemporaneo, e testimone oculare di questi eventi. Ma la mia propizia stella mi pone in stato di dare al

Ma quali impressioni debbono aver fatto in uno spirito sì ardente l' ingiustizia de' suoi nemici ed i mali ai quali essa lo abbandonò! La ferita, da cui fu colpito il suo cuore, versava sangue allor ch' ei cominciò il suo poema; e pe' dodici anni del suo esilio, ne' quali s'occupò a ridurlo a fine, la piaga rinverdivasi ad ogni istante. Dob biam noi farci le maraviglie nel vedere il suo risentimento prendere sfogo da ogni parte in versi pieni di forza e di fuoco ?

Il soggetto ch' ei scelse, lo poneva in sì felice situazione per appagar la sua vendetta, che non si può dubitare ch'essa non lo avesse fatto determinare per questo piuttosto che per un altro ; supponendo ch' ei lo scegliesse dopo il suo esilio, punto però sul quale non oserei pronunziar la

mio lettore, sopra questa delicata e intricata parte della storia fiorentina, lumi tali che non lascian niente da desiderare, e che illustrano ottimamente questa materia. Troveransi alla fine della mia Memoria sulla poesia Italiana del Secolo XIV, ed io gli debbo alla compiacenza del Sig. Marchese Lucchesini Ciamberlano del Re;

quem tu, Dea, tempore in omni

Omnibus ornatum voluisti excellere rebus,

sentenza. Egli s'è impadronito dei tre regni del mondo invisibile; vi distribuisce i posti, ed assegnali alti o bassi a sua fantasia. Guai dunque a' suoi nemici! Lo hanno essi perseguitato e bandito di patria? egli bandiragli dalla Patria celeste: faragli abominare nel Purgatorio; solleverà contr' essi i Cieli e le regioni infernali. I dannati nel mezzo de' loro tormenti si scorderanno di maledire la loro propria esistenza per caricarli di maledizioni e nel seno della beatitudine eterna, le anime beate interromperanno i lor canti d'allegrezza per intuonare invettive contr' essi.

Negli eccessi della sua atrabile, la serva Italia Itro non è che,

di dolore ostello,

Nave senza nocchiero in gran tempesta,
Non Donna di provincie, ma bordello!

(Purg. vi, 76.)

Il suo vendicativo sdegno sfogasi particolar. mente contro l'ingrata sua patria ove tutto gli spiace e il disgusta. Prende da Boezio un' Allegoria per dipingere gli abitanti della valle irrigata

dall' Arno dalla sua sorgente negli Appennini fino al suo sbocco nel mar toscano, sotto la figura di varj animali immondi o nuocivi, cani, lupi, e volpi ne' quali gli finge trasformati per incanto di Circe. (Purg. xiv, verso 31, e segg.)

Sparge il ridicolo sulla confusione e l'incostanza che regna nel governo de' Fiorentini, nelle loro leggi, ne' loro statuti, nella loro moneta: nulla ivi dura; ciò che d'Ottobre vi si fila non giunge a mezzo Novembre. (Purg. vi. verso il fine). Egli non risparmia nè anche il debil sesso. Rimorde le sue concittadine per la loro lubricità, per la nudità del lor seno, e per la turpitudine de' loro costumi. Tutta la sua nazione è una vil truppa d' uomini avari consumati dall' invidia, gonfj di folle orgoglio, e Firenze opera di Lucifero: (Par. ix. 127.)

La tua città che di colui è pianta,

Che pria volse le spalle al suo fattore.

Nel golfo infernale ove son puniti i ladroni, Dante non incontra meno che cinque de' suoi patriotti, per lo che egli fa alla sua città nativa questo bel complimento: (Inf. xxvi. 1.)

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