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Dante ci racconta di sè medesimo, che considerando egli nell' oggetto amato un modello di perfezioni, si elevarono eziandio le sue idee, e si posero con esso a livello: sentì un totale cangiamento in sè stesso, nè più trovò l' uomo di pria: sublimandosi le sue idee, le sue affezioni altresì perdettero quanto avevano di terrestre, ed acquistarono spiritualità e purezza, e la sua volontà, rettitudine ed energia. « Questa improvvisa rivoluzione dell' interna parte di Dante, scrive il Corniani nei secoli della Letteratura italiana, ci richiama al pensiero quell' altra simile, che Gio. Giacomo Rousseau asserisce essere avvenuta a lui stesso in una sua gita a Vincennes. Si potrebbe affermare, che alcuni spiriti elevati vanno soggetti alle medesime modificazioni o piuttosto ai medesimi trasporti di fantasia ».

Leggendo le Canzoni e i Sonetti dell' Alighiero, avviene con sorpresa di rilevare, che varie figure di stile, e molte maniere passionate, le quali si credevano create dal Petrarca, erano state dettate all' Alighiero da un dolore forse più profondo, e da un amore non meno verace..

Allegro mi sembrava Amor tenendo

Mio core in mano, e nelle braccia avea
Madonna involta in un drappo dorinendo;

Poi la svegliava, e d' esto core ardendo
Lei paventosa umilmente pascea,
Appresso gir lo ne vedea piangendo.

SONETTO

Tanto gentile, e tanto Honesta pare
La Donna mia, quand' ella altrui saluta,
Ch' ogni lingua diven, tremando, muta,
E gli occhi non ardiscon di guardare.
i. Ella sen va, sentendosi laudare,
Benignamente d'humiltà vestuta:

E

par che sia una cosa venuta

Di cielo in terra, a miracol mostrare.
Mostrasi si piacente a chi la mira;

E

Che dà per gli occhi una dolcezza al core,
Che 'ntender non la può, chi non la prova:
che de la sua labbia si mova

par,
Un spirito soave, e pien d'amore,

> Che va dicendo all' anima: sospira.

Lionardo Bruni detto Aretino così si espresse nella Vita: « Le Canzone sue sono perfette e limate e leggiadre, e piene d' alte sentenze, e tutte hanno generosi comingiamenti ». Se ne compiacque lo stesso Dante, citandole pel suo Libro de Vulgari Eloquio, e facendole nella Commedia ricordare da Bonagiunta da Lucca, ed anche dal

musico Casella, che nel Purgatorio gli canta una delle sue Canzoni.

Amor che nella mente mi ragiona,
Cominciò egli allor sì dolcemente,

Che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Purg. II. 112.

In effetto quelle rime sono dettate in una manie-
ra di favella nobile e purgata, e sono tessute di nobili
e d'alti concetti con lirica abbondanza e pindarica
rapidità. Il Ginguené, infaticabile e giudicioso ana-
lizzatore delle opere tutte di Dante, presago, per dir
così, nello avvisare col Perticari, che chiunque dà
sentenza d' un' opera, deve dimenticarsi del pro-
prio secolo, e collocarsi in quello dell' Autore, e
di colà giudicarne; dopo aver considerato, che in
quel secolo il gusto non era nato ancora, ebbe
nullameno a pronunciare il seguente giudicio: «< Il
merito particolare delle Canzoni di Dante consi-
ste in una forza, in una elevatezza fino al suo
tempo mal conosciute: esse sono insieme d'un
filosofo e d'un poeta: vi si scorge una forza, una
grandezza, una chiarezza di pensieri, un'abbon-
danza & immagini, di similitudini, in una parola,
di poesia, assai superiori a quelle, che si riscon-
trano ne' versi de' suoi contemporanei. Quando
bene non avess' egli composto il Poema divino;
sarebbe tuttavia nel primo rango tra i poeti della

sua età »>. Il Petrarca fece molto studio sopra quelle rime, e ne imitò parecchi concetti ed assai guise di dire. Ma dai varj modi negli scritti del Petrarca e del Dante simiglianti puossi poi dedurre, che nè l' uno nè l' altro sdegnasse d'imitare i Trovatori provenzali, de' quali possedevano entrambi la lingua. Abbiamo bensì poesie provenzali anteriori di due secoli ai tempi di Dante; ma la poesia provenzale non cominciò ad essere conosciuta e protetta in Italia, se non dopo la metà del secolo decimosecondo. Il più antico Italiano, che poetasse in provenzale, al riferire del Tiraboschi, fu il Marchese Alberto Malaspina. Nel Canto vigesimosesto del Purgatorio Dante si fa dire dal bolognese Guido Guinicelli, che in Provenza, non già in Italia, era chi poteva dirsi perfetto fabro del materno parlare: e questi era Arnaldo, il quale

Versi d'amore e prose di romanzi
Soverchio tutti

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Purg. XXVI. 118.

Così mostrò Dante la miglior condizione, in che stavasi la provenzale eloquenza, e volle significare, essersi gl' italiani poeti perfezionati coll' imitare i provenzali.

Fra tutti il primo Arnaldo Daniello
Gran maestro d'amor.

tale nel Trionfo lo appella il Petrarca, non già perchè insegnasse, come Ovidio, l'arte d'amare; ma perchè fu maestro di comporre versi amorosi in sua favella. Ottennero poi nome di buoni Trovatori anche diversi Italiani, tra' quali furono i più famosi il nostro Sordello, Bartolommeo Giorgi di Venezia, e Bonifazio Calvo di Genova. Fu bensì detto de' Trovatori, che altra occupazione non ́avendo, oltre quella d'amare e di cantare, amando e cantando impazzavano: onde parrebbe, che non male si convenisse loro l' appellazione di Giullari. L'Abate Gio. Andres diede anzi uno assai svantaggioso giudicio delle loro poesie; e il Tiraboschi, nel riferirlo, soggiunge, che niuno potrà rimproverare all' Andres una ciéca prevenzione contro di essi. Ma noi siamo in grado di rispondere, che udimmo ancora quel dottissimo Gesuita Spagnuolo, allo intendere declamati qui dall' Abate Saverio Bettinelli, da Clemente Bondi, dal Marchese Federico Cavriani, e da altri intendenti, nelle nostre Virgiliane adunanze presso il sempre benemerito delle mantovane lettere Conte Girolamo Murari Dalla Corte, alcuni fra' più lodati Sonetti del Petrarca, domandare ironicamente sommesso e soave che ha detto? che cosa ha detto?

Nella poesia de' Trovatori non riscontrasi alcun vestigio della greca o della latina, à cagione che eşşi, senz' aver mai conosciuti e gustati i Lirici

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