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Nel 1306, abitò in Padova nella contrada di san Lorenzo, e nell' anno dopo intervenne ad un congresso de' Ghibellini e de' Bianchi in san Gaudenzio di Mugello. Dimorò in Casentino presso il Conte Guido Salvatico, figliuolo del Conte Ruggeri, e nipote del celebre Conte Guido Guerra, di cui dice Jacopo Rusticucci:

Questi, l' orme di cui pestar mi vedi,
Tutto che nudo e dipelato vada,

Fu di grado maggior, che tu non credi.
Nepote fu della buona Gualdrada:
Guidoguerra ebbe nome, ed in sua vita,
Fece col senno assai, e con la spada.

Inf. XVI. 34.

Questo Conte Salvatico era Signore del Castello di Prato vecchio in Casentino, in cui nacque poi Cristofano Landino. Dimorò con quelli Delia Faggiuola tra i monti Urbinati, ed in Verona presso i potenti Scaligeri. Pare a taluno, che Dante capitato in Verona nel 1304 abbia ivi dimorato di seguito circa sei anni; e che le altre sue visite sieno state poi non forse più lunghe di qualche mese per volta. Altri pretendono, ch'egli non si trasferisse a Verona, se non nel 1311, che a tal tempo Can Grande essere dovesse in età d'anni 19, ed avesse già dato a conoscere al mondo il virtuoso suo animo, onde potesse il Poeta dire di lui

Di quell' umile Italia fia salute,

Per cui morío la Vergine Camilla,
Eurialo, e Turno, e Niso di ferute.

luf. 1. 106.

Vedete colui, che va all' Inferno, e poi torna, quando gli aggrada, e quassù reca novelle di coloro, che laggiù sono, disse una donna veronese, mentre passava Dante davanti alla porta di lei. A quella rispose la vicina: tu non mentisci affatto, anzi dei tu dir vero, poichè ha egli il viso bruno per lo caldo di laggiù, ed ha la barba e i crespi e spessi capegli abbronzati dal fumo infernale. Alessandro Vellutello chiama questa una sciocca invenzione fabbricata dal cervello del Boccaccio. Parrebbe quindi da ributtarsi con quest' altre del Sacchetti, che non dissentiamo di riferire a mero oggetto d' amenità; ove altri ricusasse d'averne prova, che i primi Canti del Poema, avanti l'esilio dell' Autore, fossero divulgati, e corressero ben anco tra 'l popolo. « Quando ebbe desinato, esce di casa, ed avviasi per andare a fare la faccenda; e passando per porta san Pietro, battendo ferro un fabbro su la'ncudine, cantava il Dante, come si canta un cantare, e tramestava i versi suoi, smozzicando e appiccando, che parea a Dante ricever di quello grandissima ingiuria. Non dice altro, se non che s' accosta alla bottega del fabbro, là dove avea di molti ferri, con che facea

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l'arte piglia Dante il martello, e gettalo per la via, piglia le tenaglie, e getta per la via, piglia le bilance, e getta per la via, e così gittò molti ferramenti. Il fabbro voltosi con un atto bestiale dice che diavol fate voi? siete voi impazzato? Dice Dante, o tu che fai? Fo l'arte mia, dice il fabbro, e voi guastate le mie masserizie, gittandole per la via. Dice Dante se tu non vuogli che io guasti le cose tue, tu non guastar le mie. Disse il fabbro; o che vi guast' io? Disse Dante: tu canti il libro, e non lo dì, com' io lo feci; io non ho altr' arte, e tu me la guasti. Il fabbro gonfiato, non sapendo rispondere, raccoglie le cose, e torna al suo lavorio; e se volle cantare, cantò di Tristano e di Lancelotto, e lasciò stare il Dante. » Il detto Dante scontrò uno asinajo, il quale avea certe some di spazzatura innanzi; il quale asinajo andava dietro agli asini, cantando il libro di Dante, e quando avea cantato un pezzo, toccava l'asino e diceva: arri. Dante li diede una grande batacchiata su le spalle, dicendo: cotesto arri non vi miss' io». Nov. 114, 115. Per altro il Boccaccio particolareggia il fatto di Verona, affermando eziandio, che Dante, udendo dietro a sè quelle parole, e conoscendo, che da pura credenza delle donne venivano, quasi contento, ch'esse fossero in tale opinione, col sorriso del compiacimento andò oltre. Benvenuto, dopo aver narrato

pur egli in que'termini, soggiunge: De quo Dantes risit, licet raro vel numquam ridere soleret. Perchè negherassi fede in ciò anche al Benvenuto, al quale tutti la prestarono, quando disse: « dum semel portaretur quidam Pardus per civitatem Florentiæ, pueri currentes clamabant: Vide Lonzam; ut mihi narrabat suavissimus Boccatius de Certaldo?» Nè sembra ad ogni modo improbabile, che alcuna fra le vivaci veronesi Signore, erudita nella lettura della prima Cantica, possa per tratto d'arguzia aver trovata ragione dello essere Dante così abbronzato nell' aspetto, coll' osservare, ch' ei veniva, secondo suo poetico dire, dalle bolge infernali.

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I celebri stranieri sventurati venivano accolti bensì con molto onore presso gli Scaligeri, ed albergati in camere, nelle quali erano dipinte storie acconce singolarmente a spiegare la incostanza della fortuna; ma con quale affabilità ed amicizia? L' uno de' due Principi veronesi richiese. Dante tra molti Cortegiani del perchè i più d'essi. avessero meglio gradevole un cotal Buffone sciocco e balordo, che lui sapientissimo: Dante, senza esitare gli rispose, che da parità di costumi e da somiglianza d' animo si generano le amicizie, e quindi quale ciascuno è, di tale compagnia si diletta. Abbiamo voluto dubitare, che non da Cangrande fatta gli fosse una tale inchiesta, in vista

che troviamo aver Dante dappoi dedicata a lui la Cantica del Paradiso, e che quel Signore ebbe verso il Poeta

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Che del fare e del chieder tra lor due
Fia prima quel, che tra gli altri è più tardo.
Par. XVII. 73.

Già si sa, che Alboino poco dopo la sua elezione a Capitano del popolo, seguita nel 1304, morto essendo il fratello primogenito Bartolommeo, dalla Repubblica veronese creato Capitano nel 1301, fu costretto ad aversi a compagno nel Capitaniato Cangrande suo minor fratello; che dominarono insieme fino all' anno 1308, epoca in cui Cangrande fu dal popolo riconosciuto e giurato per assoluto Signore; e che Alboino finì di febbre etica la sua vita il di 24 d' ottobre, l'anno 1311. Nè fu già, per essere decaduto dalla grazia del suo Augusto veronese, che Dante aderì all' amorevole invito di Guido Novello Polentano, Signore di Ravenna, principe, al dire del Boccaccio, coltivatore insieme e splendido protettore de' buoni studj. Dante, per quanto sostenga il contrario a decoro della sua Corte Scipione Maffei, trovavasi angustiato da povertà. Lo Scaligero, comunque bramasse con atti cortesi di mitigare all' Ospite illustre il desiderio della patria, non era però in grado di soccorrerlo; essendo in quel tempo co

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