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115. L'Autorità del Filosofo non repugna all' Autorità Imperiale; ma quella senza questa è pericolosa; e questa senza quella è quasi debole, non per sè, ma per disordinanza della gente. Anche qui si è lasciato indurre nella Volgata un palese e grave errore, senza che altri siasi dato cura di correggerlo a buon modo. Difatti non è l'Autorità del Filosofo che sia pericolosa senza l'Autorità Imperiale, essendo anzi assicuratrice di bene all'umana vita (l. 112); nè l'Autorità Imperiale riman debole senza l'Autorità del Filosofo, dacché essa è sempre comandamento de comandamenti, ma ben è pericolosa la sua forza. Pertanto fa d'uopo che si legga: L'Autorità del Filosofo « non repugna all'Autorità Imperiale; ma questa senza quella (che la guidi col lume della Sapienza) è pericolosa, e quella (Autorità del Filosofo) senza questa (Imperiale Autorità che l'avvalori con sostenere la favorevole pace dell'umana famiglia) è quasi debile, non per sè (ritraendo la sua forza dalla Verità, che ogni autorità convince), ma è debile per la disordinanza della gente,» alla quale essa Autorità del Filosofo non basterebbe a riparare colla sola sua Sapienza. Importa, dunque, che le porga ajuto l'Autorità Imperiale, sicchè l' una coll' altra congiunte sieno piene d' ogni vigore.

129. Guai a te, Terra, lo cui Re è fanciullo, e li cui Principi la dimane mangiano. Questa sentenza dell' Ecclesiaste dovea ricercarsi nella sua fonte, e allora gl' interpreti avrebbero agevolmente riconosciuto e corretto l'errore della Volgata. Or come mai sarà da rimproverarsi a' Principi che la dimane mangiano, e non piuttosto a coloro fra essi che pronti si pongono a mangiare, non appena è giorno? E per l'appunto « da mane » si vuol leggere, giusta le sacre parole: Væ tibi, Terra, cujus Rex puer est et cujus Principes mane comedunt: x, 16. L'avverbio « da mane, » che è tuttora nell' uso toscano, pur s'incontra, non che nella Commedia (Par., xxvII, 29), nello stesso Convito: II, 14.

131. Beata la Terra, lo cui Re è nobile, e li cui Principi usano il suo tempo a bisogno e non a lussuria. Ma ecco qual è preciso il testo dell' Ecclesiaste: Beata Terra,

cujus Rex nobilis est, et cujus Principes vescuntur in tempore suo ad reficiendum et non ad luxuriam: x, 17. Il Mazzucchelli sospettò che Dante qui avesse letto utuntur tempore suo invece di vescuntur tempore suo, etc. Ma dovea anzi argomentare che in luogo di « cibano in suo tempo a bisogno, » come il Poeta dovette avere scritto, la Volgata lasciò correre « usano il suo tempo a bisogno, » che, oltre al non corrispondere al Testo sacro, non s'adatta punto alla sentenza qui voluta esprimere. Sarebbe poi sufficiente la scorrezione di que' due versetti Scritturali per renderci convinti che que' primi trascrittori non intesero ciò che scrivevano, nè per fermo aveano dottrina a ciò sufficiente.

133. Ponetevi mente, nemici di Dio a' fianchi.... e guardate chi a lato vi siede per consiglio. Ciò mi fa persuaso che le parole « voi che le verghe » sin a « tiranni » (1. 136) debbano inchiudersi tra parentesi. Ma pur tuttavia non ho creduto di dovermi scostare dalla punteggiatura che tennero gli E. M. e seguaci, potendosene pur cavare buon co

strutto.

135. Carlo e Federigo regi. Carlo II d'Angiò, re di Puglia e Federigo d'Aragona, re di Sicilia, facevano tutti e due piangere la Sicilia, l'uno, perchè voleva duramente impadronirsene e l'altro, perchè avaro e vile ne faceva mal governo e intollerabile, come pur male governava la Puglia lo stesso ambizioso Carlo: Purg., VII, 3; Par., xx, 63. Donde si può nuovamente prendere certezza che il Convito, almeno sin a questo punto, fosse già scritto prima del 5 di maggio 1309, quando mori esso Carlo, il Ciotto di Gerusalemme : Par., XIX, 127, 130.

139. Meglio sarebbe voi, ec. Per simigliante guisa l'Allighieri grida, volendo dar biasimo a coloro che, confidati pur nel proprio ingegno, senz'arte e scienza, si cimentassero a sommamente cantare le cose somme: A tanta prosuntuositate desistant, ut si anseres naturali desidia sunt, nolint astripetam Aquilam imitari: Vulg. El., 11, 5.

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Lin. 1. L'Autorità Imperiale e la Filosofica.... deggiono ajutare le proposte opinioni. Siffatta è la lezione comune, ma il codice Barb., il Marciano secondo e il Gadd. 135 secondo hanno invece « pajono ajutare. » Nè si dilungano dal vero, giacchè l'Autore, dopo aver premesse le due false opinioni rispetto alla Nobiltà, soggiugne, che due gravissime ragioni pare che abbiano in ajuto (Conv., Iv, 3); le quali sono appunto l' Autorità Imperiale e la Filosofica. E non dubito poi di sostituire « preposte » a « proposte, » così richiedendosi dal fatto medesimo.

3. È da ritornare al diritto calle dello inteso processo, cioè del discorso, cui s'era obbligata l'opera dell'Autore, e donde ei s'era disviato per lunga digressione.

12. Pericolosissima negligenza è a lasciare la mala opinione prendere piede; perch' egli incontra che più volte piega L'opinion corrente in falsa parte, e poi l'affetto lo intelletto lega: Par., XIII, 118.

15. Sicchè, disparte agguardando (a riguardare un po' da lunge), il formento non pare e perdesi il frutto finalmente. Le prime edizioni qui hanno soltanto «perdesi finalmente. » Nè per verità vi potrebbe cader opportuno che s'accenni al frutto della spiga, quando vi si vuol indicare come la spiga, venendo man mano ad essere soverchiata e sopraffatta dalle male erbe, sepolta si perde (1. 20): onde, se prima la si vedeva, poi alla perfine s'è tolta alla vista. E però, ove non vogliasi rimuovere la voce « frutto, » deve per lo meno scambiarsi con « del tutto o affatto: » 1. 25.

20. Ě grande la mia impresa.... a volere omai così trafoglioso campo sarchiare, per mondarlo dalle male erbe (1. 14) che vi germogliarono, dacchè fu si lungamente da questa cultura (sarchiatura) abbandonato. Ciò si potrebbe pur dire dell'impresa di chiunque ponesse mano a ripulire questo Libro dalle tante imperfezioni e guastamenti, che vi

si accumularono per si lungo tempo e per affannata imperizia o noncuranza umana.

23. Cultura per « coltivamento, » e parimente « culto » per « coltivato, » occorre puranche nella Commedia: Inf., xx, 84; Purg., xxxi, 187.

24. In quelle parti, dove le spighe della ragione non sono del tutto sorprese, sormontate cioè e coperte (l. 14), sopraffatte. Cosi rimane l'occhio, quand'è sorpreso d'alcuna nebbia: Purg., 1, 97. Ben si notino le parole che seguono, perchè vi si scorge uno di que' tratti che meglio giovano a renderci intera l'immagine del savio Poeta, e ci fanno anco sentire la dignità dell'umana ragione.

29. Reducere a ragione colui, nel quale è del tutto spenta. Per tal modo il Vaccolini, seguito dal Fraticelli, rettamente potè correggere la comune lezione, la quale era: « reducere a ragione del tutto spenta. »

35. Quella percuoto, fuori di tutto l'ordine della reprovazione. Anzichè « percuote, » ch'è nella Volgata, mi parve meglio leggere « percuoto » conformemente a quanto precede: 1. 24. Ed ora nel vivo sentimento della verità offesa, Dante prorompe ad abbattere d'un colpo e condannare come cosa orribile la siffatta opinione, anticipando così la conclusione che dovrebbe solo aspettarsi dagli argomenti, onde poi ordinatamente si viene a riprovarla.

41. Far mi conviene una quistione, una dimanda: tale è il semplice significato che alcuna volta si assegna a quistione: Inf., IX, 19.

43. Una pianura è con certi sentieri, campo con siepi, con fossati, con pietre, con legname, con tutti quasi impedimenti, fuori delli suoi stretti sentieri, ec. Bellissima pittura e piena di evidenza quanto un quadro di Raffaello! Cosi a ragione esclama il Perticari; nè certo or si potrebbe addurre un più schietto e sicuro esempio di quella nostra Prosa antica, la quale da natura sorti tal vigore, che la rende d'una freschezza perenne. Pur tuttavia è da vedere se la Volgata anco qui non debba correggersi in qualche parte. Ed in prima mi si mostra probabile che, invece di « certi

sentieri » (1. 43), sia da porre « stretti sentieri, » giusta che son determinati poco dopo: 1. 45. Inoltre se pongasi mente « che pianura » si prende largamente e di consueto per « campagna » (Purg., I, 114; III, 2), come or deve prendersi (1. 48), e che però non occorreva figurare in essa altro campo, dovremo persuaderci che questa parola fu certo frantesa. E ciò tanto più, perchè ad ogni modo s' avrebbe a leggere con campo e siepi » o « con campo e con siepi, » secondo che si richiede dalla qualità del costrutto. Ma indi per altro la sentenza ne tornerebbe intrigata. Del resto, siccome ora non si tratta di un campo coltivato, ma d'un terreno ingombro di ruine, di pietrame e di pruni (1. 57), d'una pianura, vo' dire, che, fuori de' suoi stretti sentieri, non presenta che impedimenti, perciò a questi dovevasi subito accennare dopo que' soli sentieri. Nè alcuna parola poteva all'uopo corrispondere meglio che « ma poi, » improvvidamente trasmutato in «< campo » da chi non ponderò le altre parole, con le quali verrebbe ad esser mal collegata. A me duole d'aver dovuto rimettere la mano sopra questo quadro, ma non fui ardito a tanto, se non per un amoroso studio di volerne scoprire la sincera bellezza.

46. Tutto cuopre la neve e rende una sola figura; quella campagna si vede biancheggiar tutta: Inf., xx, 8. E ben al presente ne ammoniscono gli E. M., che questa frase « rende una figura » serve di riscontro alla lezione, proposta dal Dionisi e adottata dal Lombardi in quel notevole passo del Poema: Quale, dove per guardia delle mura Più e più fossi cingon li castelli, La parte dov' ei son rende figura: Inf., XVIII, 10. Consimile frase inoltre, e relativamente appunto alla campagna, è d'un uso costante nel contado toscano.

52. Lasciando le vestigie de' suoi passi dietro da sè. Della sua Beatrice il Poeta ne fa risapere che, per recargli salute, ella sinanco sofferse in Inferno lasciar le sue vestige: Par., xxx1, 80; Purg., xxvi, 106.

57. Questo scôrto (che ebbe dinanzi a sè chi gli scorgesse il cammino) erra e tortisce, s'aggira in tortuoso calle per

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