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CANZONE DECIMA.

1.

Tre donne intorno al cor mi son venute,
E seggionsi di fore,

Chè dentro siede Amore,

Lo quale è in signoria della mia vita.
Tanto son belle, e di tanta virtute,
Che 'l possente signore,

Dico quel ch'è nel core,

Appena di parlar di lor s'aita.
Ciascuna par dolente e sbigottita,
Come persona discacciata e stanca,
Cui tutta gente manca,

E cui virtute e nobiltà non vale.
Tempo fu già, nel quale,

Secondo il lor parlar, furon dilette;

Or sono a tutti in ira ed in non cale.

Queste così solette

Venute son come a casa d'amico;

Chè sanno ben che dentro è quel ch'io dico.

2.

Dolesi l'una con parole molto,

E'n sulla man si posa

Come succisa rosa:

Il nudo braccio, di dolor colonna,

Sente la pioggia che cade dal volto:
L'altra man tiene ascosa

La faccia lagrimosa,

Discinta e scalza, e sol di sè par donna.
Come Amor prima per la rotta gonna
La vide in parte che il tacere è bello,
Egli, pietoso e fello,

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Di lei e del dolor fece dimanda.
Oh di pochi vivanda !

(Rispose in voce con sospiri mista)

Nostra natura qui a te ci manda.
Io, che son la più trista,

Son suora alla tua madre, e son Drittura;
Povera, vedi, a' panni ed a cintura.

3.

Poichè fatta si fu palese e conta,

Doglia e vergogna prese

Lo mio signore, e chiese

Chi fosser l'altre due ch'eran con lei.
E questa, ch'era di pianger sì pronta,
Tosto che lui intese,

Più nel dolor s'accese,

Dicendo: Or non ti duol degli occhi miei?
Poi cominciò: Siccome saper déi,

Di fonte nasce Nilo picciol fiume:
Ivi, dove 'l gran lume

Toglie alla terra del vinco la fronda,
Sopra la vergin' onda

Generai io costei, che m'è da lato,

E che s'asciuga con la treccia bionda.

Questo mio bel portato,

Mirando sè nella chiara fontana,

Generò quella che m'è più lontana.

4.

Fênno i sospiri Amore un poco tardo;
E poi con gli occhi molli,

Che prima furon folli,

Salutò le germane sconsolate.

E poichè prese l'uno e l'altro dardo,

Disse: Drizzate i colli,

Ecco l'armi ch' io volli;

Per non l'usar, le vedete turbate.
Larghezza e Temperanza, e l' altre nate
Del nostro sangue mendicando vanno.
Però, se questo è danno,

Pianganlo gli occhi, e dolgasi la bocca
Degli uomini, a cui tocca,

Che sono a' raggi di cotal Ciel giunti;
Non noi, che semo dell'eterna rôcca:
Chè se noi siamo or punti,

Non più saremo, o pur troverem gente,
Che questo dardo farà star lucente.

5.

Ed io che ascolto nel parlar divino

Consolarsi e dolersi

Così alti dispersi,

L'esilio, che m'è dato, onor mi tegno:
E se giudizio, o forza di destino,

Vuol pur che il mondo versi

I bianchi fiori in persi,

Cader tra'buoni è pur di lode degno.

E se non che degli occhi miei 'l bel segno

Per lontananza m'è tolto dal viso,

Che m'have in fuoco miso,

Lieve mi conterei ciò che m'è grave.

Ma questo fuoco m'have

Già consumato sì l'ossa e la polpa,

Che morte al petto m'ha posto la chiave:
Onde s'io ebbi colpa,

Più lune ha volto il Sol, poichè fu spenta;
Se colpa muore purchè l' Uom si penta.

6.

Canzone, a' panni tuoi non ponga Uom mano Per veder quel che bella Donna chiude;

Bastin le parti nude:

Lo dolce pomo a tutta gente niega,
Per cui ciascun man piega.

E s'egli avvien che tu mai alcun trovi
Amico di virtù, e quel ten prega,

Fatti di color nuovi:

Poi gli ti mostra, e 'l fior, ch' è bel di fuori
Fa desiar negli amorosi cuori.

CANZONE UNDECIMA.

1.

Poscia ch' Amor del tutto m'ha lasciato,
Non per mio grato,

Chè stato non avea tanto giojoso,

Ma perocchè pietoso

Fu tanto del mio core,

Che non sofferse d'ascoltar suo pianto;

lo canterò così disamorato

Contr' al peccato,

Ch' è nato in noi di chiamare a ritroso

Tal, ch'è vile e nojoso,

Per nome di Valore,

Cioè di Leggiadria, ch' è bella tanto,

Che fa degno di manto

Imperïal colui, dov'ella regna.

Ella è verace insegna,

La qual dimostra u' la Virtù dimora:
Per che son certo, se ben la difendo
Nel dir, com' io la 'ntendo,

Ch' Amor di sè mi farà grazia ancora.

2.

Sono, che per gittar via loro avere

Credon capere,

Valere

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là, dove gli buoni stanno;

Che dopo morte fanno

Riparo nella mente

A que' cotanti, c'hanno conoscenza.

Ma lor messione a' buon non può piacere;
Perchè 'l tenere

Savere fôra, e fuggirieno 'l danno,
Che s'aggiugne allo inganno

Di loro e della gente,

C' hanno falso giudizio in lor sentenza.
Qual non dirà fallenza

Divorar cibo ed a lussuria intendere ?
Ornarsi, come vendere

Si volesse al mercato de' non saggi?

Chè 'l Savio non pregia uom per vestimenta,

Perchè sono ornamenta,

Ma pregia il senno e gli gentil coraggi.

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