CANZONE TREDICESIMA. 1. Doglia mi reca nello core ardire A voler, ch'è di veritade amico: Parole quasi contro a tutta gente, Ma conoscete il vil vostro desire: Chè la Beltà, ch'Amore in voi consente, Formata fu dal suo decreto antico, Contra lo qual fallate. Io dico a voi, che siete innamorate, Che se Beltate a voi Fu data, e Virtù a noi, Ed a costui di due poter un fare, Voi non dovreste amare, Ma coprir quanto di beltà v'è dato, Poichè non è Virtù, ch'era suo segno. Lasso a che dicer vegno? Dico, che bel disdegno Sarebbe in donna di ragion lodato, Partir da sè Beltà per suo commiato. 2. Uomo da sè Virtù fatta ha lontana, Uomo non già, ma bestia ch' uom somiglia. O Dio, qual maraviglia, Voler cadere in servo di signore! Ovver di vita in morte! Virtute, al suo fattor sempre sottana, Lui obbedisce, a lui acquista onore, Il Convito. 49 769 La segna d'eccellente sua famiglia Lietamente esce dalle belle porte, Alla sua Donna torna; Lieta va, e soggiorna: Lietamente opra suo gran vassallaggio. Conserva, adorna, accresce ciò che trova: Colt' hai nel Ciel misura! Tu sola fai signore; e questo prova, 3. Servo non di signor, ma di vil servo Se ragionate l'uno e l'altro danno, A chi da lei si svia: Questo servo signor tanto è protervo, Che gli occhi, ch'alla mente lume fanno, Chiusi per lui si stanno, Sicchè gir ne conviene all' altrui posta, Ch'adocchia pur follia. Ma perocchè 'l mio dire util vi sia, In parte ed in costrutto Più lieve, perchè men grave s'intenda; Chè rado sotto benda Parola oscura giugne allo 'ntelletto; Per che parlar con voi si vuole aperto, E questo vo' per merto, Per voi, non per me certo, Ch' aggiate a vil ciascuno ed a dispetto; 4. Chi è servo, è come quello ch'è seguace Tratto a signore, e non sa dove vada, Per dolorosa strada; Come l'avaro seguitando avere, Ch'a tutti signoreggia. Corre l'avaro, ma più fugge pace Col numero, ch'ognora passar bada, Ecco giunti a Colei che ne pareggia: Cieco avaro disfatto? Rispondimi, se puoi, altro che nulla. Che lusingò cotanti sonni invano: Che da sera e da mane Hai ragunato, e stretto ad ambe mano, Ciò che si tosto ti si fa lontano. 5. Come con dismisura si raguna, Molti in servaggio, e s'alcun si difende, Morte, che fai; che fai, buona Fortuna; Che non solvete quel che non si spende? Se 'l fate, a cui si rende? Nol so, posciachè tal cerchio ne cinge, Colpa è della ragion, che nol castiga, Ah! com' poca difesa Mostra signore, a cui servo sormonta! Se ben si guarda là, dov'io addito. Per colli e per paludi Uomini, innanzi a cui vizio è fuggito; 6. Fassi dinanzi dall' avaro volto Virtù, che i suoi nemici a pace invita Per allettarlo a sè, ma poco vale; Poichè girato l'ha, chiamando molto, E se pur vien, è quando ell'è partita, Come non possa dar, sinchè non esca Io vo' che ciascun m'oda: Qual con tardare, e qual con vana vista, Qual con sembianza trista Volge il donare in vender tanto caro, Quanto sa sol chi tal compera paga. Volete udir, se piaga? Tanto chi prende smaga, Che 'l negar poscia non gli pare amaro: Così altrui e sè concia l'avaro. 7. Disvelato v'ho, Donne, in alcun membro Ma troppo è più ancor quel che s'asconde, In ciascuno è ciascuno vizio assembro, Di radice di bene altro ben tira, Poi suo simile è in grado. Udite come conchiudendo vado: Che non de' creder quella, Cui par ben esser bella, Essere amata da questi cotali: Vogliamo annoverar, creder si puone, Che sua Beltà dischiera Da natural Bontà per tal cagione, CANZONE QUATTORDICESIMA ED ULTIMA. 1. Amor, dacchè convien pur, ch' io mi doglia E mostri me d'ogni virtute spento, Portin le mie parole come 'l sento. Tu vuoi ch' io muoja, ed io ne son contento. |