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Dammi savere a pianger come ho voglia. Questa lezione, che è del codice Riccardiano 1100, mi sembra assai più conforme al vero, che non la Volgata : « Dammi saver a pianger, come voglia. » Di fatti non era mestieri che Dante chiedesse ad Amore voglia di piangere, quando il pianto già gli sovrabbondava, espresso dal vivo e angoscioso dolore.

Si che'l duol che si snoda, Portin le mie parole (l'esprimano), così come il sento. « Levatemi dal viso i duri veli, Si ch' io sfoghi il dolor che il cor m' impregna: » Inf., xxxIII, 113.

Chi crederà ch' io sia omai si colto? così vinto, preso al laccio d' Amore, da non poter significare il mio affanno. Chè se quella Donna intendesse ciò ch' io dentro ascol to, le vive parole corrispondenti al mio dolore (che tien forte a sè l'Anima vòlta), si muoverebbe a compatirmi.

St. 2. Nell' immagine mia, nella mia immaginazione. Dell' empiezza di lei che mutò forma Nell'uccel, che a cantar più si diletta, Nell' immagine mia apparve l'orma: Purg., XVIII, 19. A quel modo che non m'è possibile vietarne il pensiero, non posso impedire che la figura di quella fiera Donna non mi venga in mente.

Poi l'Anima riguarda la bella e nemica figura, e quando ella è ben piena del gran disio, che le deriva da tal vista, s'adira contro sè medesima, per essere stata cagione dell'amoroso fuoco, onde poi tutta ardendo piange e s'attrista. E conobbe il disio ch' era criato Per lo mirar intento ch'ella fece: Canz., « E' m' incresce di me si duramente. »

Ove tanta tempesta in me si gira. A questa comune lezione anteporrei quella del codice Riccardiano 1100 « in me s' aggira, » che mi sembra più al caso e di una maggiore evidenza.

L'angoscia, che non cape dentro, spira Fuor della bocca si, ch'ella s' intende: tutta si disfoga in sospiri e in pianto. Pianger di doglia e sospirar d'angoscia Mi strugge il core, ovunque sol mi trovo: V. N., § XXXII.

St. 3. La virtù che vuole, la mia volontà. « Per non

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soffrir alla virtù che vuole Freno a suo prode, Quell' Uom che non nacque, Dannando sè, dannò tutta sua prole: Par., VII, 25. Dante quindi ne fa intendere che la nimica figura (e perchè bella, piacente agli altri e a sè stessa) lo stringeva a cercare dov' ella si trovasse in essere verace.

Va co' suoi piè colà, dov' egli è morto, cioè dinanzi a quegli occhi, onde vien l'amoroso lume che gli reca morte. St. 4. E se l'Anima torna poscia al core, onde (come da sua dimora) s' era divisa, e m'ebbe lasciato senza vita, conosce che in quello stato rimase quasi tolta a sè stessa, fuori d'ogni conoscenza e memoria.

E mostra poi la faccia scolorita (dacch' ei tremava tutto di paura) Qual fu quel tuono che mi giunse addosso, la ferita che mi percosse a morte. Oh quam ejus (illius mulieris) admiratione obstupui! Sed stupor subsequentis tonitrui terrore cessavit. Nam sicut divinis corruscationibus illico succedunt tonitrua, sic, inspecta flamma pulchritudinis ejus, Amor terribilis et imperiosus me tenuit: Ep. Mor., § II.

Cosi m' hai concio, Amore, in mezzo l' Alpi (del Casentino) Nella valle del fiume (Arno).... Mercè del fiero lume, che folgorando fa via alla morte. Ed ecco le concordi parole della Lettera sovrallegata: Cum primum pedes juxta Sarni fluenta securus et incautus defigerem, subito, heu! mulier, ceu fulgur descendens, apparuit, nescio quomodo, meis auspiciis undique, moribus et fortunæ conformis.

St. 6. O montanina mia Canzon, tu vai, Forse vedrai Fiorenza, la mia terra, Che fuor di sè mi serra, Vôta d'amore e nuda di pietate. Indi ben si argomenta che l'Allighieri dovette aver composta questa Canzone in mezzo alle Alpi del Casentino, quando non era ancor piegata, non che vinta la crudeltà che lo serrava fuori del bello Ovile, ov'egli dormi agnello, Nimico ai lupi che gli danno guerra: Par., xxv, 3.

BALLATA.

(Voi, che sapete ragionar d'Amore. - Pag. 776.)

Questo, per irrepugnabile avviso del Trivulzio, è quel componimento, dove l' Allighieri, cui la Filosofia erasi mostrata fiera e superba alquanto, la chiamò orgogliosa e dispietata. E per contrario, nella Canzone: « Amor, che nella mente mi ragiona, » egli ce la rappresenta gentile e umile, cosi attenendosi alla Verità. Ma nell' accennata Ballatetta quella Donna dell' intelletto vien « considerata secondo l'apparenza, discordante dal vero, per infermità dell'Anima, che di troppo desio era passionata: » Conv., III, 9, 10.

Strofa 1. Voi, « Anime, libere dalle misere e vili dilettazioni e dalli volgari costumi, d'ingegno e di memoria dotate » (Conv., II, 16), ed esperte nello studio della Filosofia, udite la mia Ballata inspiratrice di pietà.

St. 2. Tanto questa Donna disdegna (cacciandolo da sè) qualunque la mira (ne investighi le dimostrazioni), ch' ei smarrisce, temendo di dover indi sostenere angoscia di sospiri per troppa fatica di studio e lite di dubitazioni. Le quali dal principio delli « sguardi di questa Donna moltiplicatamente surgono, e poi, continuando la sua luce, caggiono, come nebulette mattutine alla faccia del Sole: » Conv., II, 16.

Ma gli occhi di questa Donna portano dentro di sè la dolce figura, Amore, che invita l'Anime gentili (capaci perciò di sentire amore) a chiedere mercede, affidandole che la otterranno.

Si virtuosa è (di tanta virtù) quella dolce figura, che quando si vede, fa che il cuore sospiri d'amore. « Le dimostrazioni della Filosofia, dritte negli occhi dell' intelletto, innamorano l' Anima, libera dalle vili dilettazioni: » Conv., II, 16. Gli occhi di color dov' ella luce Ne mandan messi al cor pien di desiri, Che prendon aere e diventan sospiri: Canz., « Amor, che nella mente mi ragiona. »

St. 3. Par ch'ella dica: lo non sarò umile verso chi mi affissi negli occhi, perchè in quell' atto lo attirerò si del tutto a me, da non lasciargli più rivolgere e distendere i pensieri ad altre cose.

E certo io credo, che così gli guardi (i suoi occhi), li tenga a sè raccolti, disdegnando che altri li miri; quasi per vagheggiarsi a suo piacere, essendo ella di sè innamorata. Imperocchè la Filosofia, « che è amoroso uso di Sapienza, sè medesima riguarda, quando apparisce la bellezza degli occhi suoi a lei. » E che altro ciò viene a dire, se non che l'Anima filosofante contempla il suo « contemplare medesimo e la bellezza di quello (rivolgendosi sopra sẻ), e di sè stessa s'innamora per la bellezza del proprio suo guardare?» Conv., iv, 2.

St. 4. Ma quanto vuol nasconda Amore negli occhi suoi, e lo tenga pur custodito, da che ella sdegna di lasciarmi vedere tanta salute. Pur io li vedrò; e Chi vuol veder la salute, Faccia che gli occhi d'esta Donna miri. Sicuramente in essi è la « Salute, per la quale si fa beato chi li guarda e salvo dalla morte dell'ignoranza e delli vizj : » Conv., II, 16.

Perocchè i miei desiri, così accesi, come sono, di rimirare in quegli occhi, avran virtù a contrastare e vincere il disdegno che mi fa Amore, e allora potrò affissarmici a mio piacere. Donde si discerne ben chiaro che l'Allighieri si prometteva di soverchiare con lungo studio le difficoltà della Filosofia, e di rendersene per amoroso uso familiari e profittevoli le dimostrazioni. Ed al tenace proposito corrispose l'effetto, tanto che il Poeta potè indi avvalorarsi a dar tutto compimento alla sua Commedia veracemente divina, costante miracolo com'è dell' umano Ingegno e della Scienza e Arte umana, sublimate dal Cristianesimo.

FINE DEL CONVITO.

TAVOLA

DELLE COSE NOTABILI E DE' NOMI PROPRJ

ACCENNATI

NEL CONVITO.

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