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cammini, delli quali uno è veracissimo, e un altro fallacissimo, e certi men fallaci, e certi men veraci. E siccome vedemo che quello, che dirittissimo va alla Città, compie il desiderio e dà posa dopo la fatica, e quello, 145 che va in contrario, mai nol compie e mai posa dare non può; così nella nostra Vita avviene, che lo buono camminatore giugne a termine e a posa: lo erroneo mai non vi giugne, ma con molta fatica del suo animo sempre cogli occhi golosi si mira innanzi. Onde avvegnachè 150 questa ragione del tutto non risponda alla quistione mossa di sopra, almeno apre la via alla risposta; chè fa vedere non andare ogni nostro desiderio dilatandosi per un modo. Ma perchè questo Capitolo è alquanto produtto, in Capitolo nuovo alla quistione è da rispondere, 155 nel quale sia terminata tutta la disputazione che fare s'intende al presente contro alle ricchezze.

CAPITOLO XIII.

Alla quistione rispondendo, dico che propriamente crescere il desiderio della Scienza dire non si può, avvegnachè, come detto è, per alcuno modo si dilati. Chè quello, che propriamente cresce, sempre è uno: il desi5 derio della Scienza non è sempre uno, ma è molti, e, finito l'uno, viene l'altro; sicchè, propriamente parlando, non è crescere lo suo dilatare, ma successione di piccola cosa in grande cosa. Che se io desidero di sapere i Principj delle cose naturali, incontanente che io so

questi, è compiuto e terminato questo desiderio; e se poi 10 io desidero di sapere che cosa è e com'è ciascuno di questi Principj, questo è un altro desiderio nuovo. Nè per lo avvenimento di questo, non mi si toglie la perfezione, alla quale mi condusse l'altro; e questo cotale dilatare non è cagione d'imperfezione, ma di perfezione 15 maggiore. Quello veramente della ricchezza è propriamente crescere, ch'è sempre pure uno, sicchè nulla successione quivi si vede, e per nullo termine e per nulla perfezione. E se l'avversario vuol dire, che siccome è altro desiderio quello di sapere li Principj delle 20 cose naturali e altro di sapere che elli sono, così altro desiderio è quello delle cento marche e altro è quello delle mille; rispondo, che non è vero; chè 'l cento si è parte del mille e ha ordine ad esso, come parte d'una linea a tutta la linea, su per la quale si procede per 25 uno moto solo; e nulla successione quivi è, nè perfezione di moto in parte alcuna. Ma conoscere che sieno li Principj delle cose naturali, e conoscere quello che sia ciascheduno, non è parte l'uno dell'altro, e hanno ordine insieme come diverse linee, per le quali non si 30 procede per uno moto, ma, perfetto il moto dell' una, succede il moto dell'altra. E così appare, che dal desiderio della Scienza la Scienza non è da dire imperfetta, siccome le ricchezze sono da dire per lo loro, come la quistione ponea. Chè nel desiderare della 35 Scienza successivamente finiscono li desiderj e viensi a perfezione, e in quello della ricchezza no; sicchè la quistione è soluta e non ha luogo l'istanza.

Ben puote ancora calunniare l'avversario, dicendo che, avvegnachè molti desiderj si compiano nell'acqui- 40

CAPITOLO XI.

Resta omai solamente a provare come le divizie sono vili, e come disgiunte e lontane sono da Nobiltà; e ciò si prova in due particulette del Testo, alle quali conviene al presente intendere. E poi, quelle sposte, 5 sarà manifesto ciò che detto ho, cioè le divizie essere vili e lontane da Nobiltà: e per questo saranno le ragioni di sopra contra le divizie perfettamente provate.

Dico adunque: Che sieno vili appare ed imperfette. Ed a manifestare ciò che dire s'intende, è da sapere 10 che la viltà di ciascuna cosa dalla imperfezione di quella si prende, e così la nobiltà dalla perfezione, onde quanto la cosa è perfetta, tanto è in sua natura nobile; quanto imperfetta, tanto vile. E però se le divizie sono imperfette, manifesto è che sieno vili. E ch' elle sieno 15 imperfette, brievemente prova il Testo, quando dice: Chè quantunque collette, Non posson quietar, ma dan più cura. In che non solamente la loro imperfezione è manifesta, ma la loro condizione essere imperfettissima, e però essere quelle vilissime. E ciò testimonia Lucano, 20 quando dice, a quelle parlando: «Senza contenzione » perîro le leggi: e voi, ricchezze, vilissima parte delle > cose, moveste battaglia. » Puotesi brievemente la loro imperfezione in tre cose vedere apertamente: prima, nello indiscreto loro avvenimento; secondamente, nel 25 pericoloso loro accrescimento; terzamente, nella dannosa loro possessione. E prima ch' io ciò dimostri, è da di

chiarare un dubbio che pare consurgere: chè, conciossiacosachè l'oro e le margherite perfettamente forma e atto abbiano in loro essere, non par vero dire che sieno imperfette. E però si vuole sapere che, quanto è per 50 esse, in loro considerate, cose perfette sono, e non sono ricchezze, ma oro e margherite; ma in quanto sono ordinate alla possessione dell' uomo, sono ricchezze, e per questo modo sono piene d' imperfezione; chè non è inconveniente una cosa, secondo diversi rispetti, 35 essere perfetta ed imperfetta.

Dico che la loro imperfezione primamente si può notare nella indiscrezione del loro avvenimento, nel quale nulla distributiva giustizia risplende, ma tutta iniquità quasi sempre; la quale iniquità è proprio effetto d'im- 40 perfezione. Che se si considerano li modi, per li quali esse vengono, tutte si possono in tre maniere ricogliere: chè, o vengono da pura fortuna, siccome quando senza intenzione o speranza vengono per invenzione alcuna non pensata; o vengono da fortuna ch'è da 45 ragione ajutata, siccome per testamenti o per mutua successione; o vengono da fortuna ajutatrice di ragione, siccome quando per licito o per inlicito procaccio: licito dico, quando per arte o per mercatanzia o per servigio meritate; inlicito dico, quando o per furto o per rapina. 50 E in ciascuno di questi tre modi si vede quella iniquità che io dico: chè più volte alli malvagi, che alli buoni, le celate ricchezze, che si ritrovano, si rappresentano: e questo è sì manifesto, che non ha mestieri di prova. Veramente io vidi lo luogo, nelle coste d'un monte in 55 Toscana, che si chiama Falterona, dove il più vile villano di tutta la contrada, zappando, più d'uno stajo di

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Santélene d'argento finissimo vi trovò, che forse più di

mille anni l'avevano aspettato. E per vedere questa 60 iniquità, disse Aristotile che « quanto più l'uomo sog

>> giace allo intelletto, tanto meno soggiace alla fortuna. » E dico che più volte alli malvagi, che alli buoni, pervengono li retaggi legati e caduti; e di ciò non voglio recare innanzi alcuna testimonianza; ma ciascuno volga 65 gli occhi per la sua Vicinanza, e vedrà quello che io mi taccio per non abbominare alcuno. Così fosse piaciuto a Dio, che quello che domandò il Provenzale fosse stato, che « chi non è reda della bontà, perdesse il retaggio » dell'avere. E dico che più volte alli malvagi, che alli 70 buoni, pervengono appunto li procacci; chè li non liciti a'buoni mai non pervengono, perocchè li rifiutano: e qual buono Uomo mai per forza o per fraude procaccerà? Impossibile sarebbe ciò; chè solo per la elezione della inlicita impresa più buono non sarebbe. E li liciti 75 rade volte pervengono alli buoni; perchè, conciossiacosachè molta sollecitudine quivi si richiegga, e la sollecitudine del buono sia diritta a maggiori cose, rade volte sufficientemente il buono quivi è sollecito. Per che è manifesto in ciascuno modo quelle ricchezze ini80 quamente avvenire; e però nostro Signore inique le chiamò, quando disse: « Fatevi amici della pecunia » della iniquità, » invitando e confortando gli uomini a liberalità di beneficj, che sono generatori d'amici. E quanto fa bel cambio chi di queste imperfettissime cose 85 dà, per avere e per acquistare cose perfette, siccome li cuori de' valenti uomini! Lo cambio ogni dì si può fare. Certo nuova mercatanzia è questa dell'altre, che credendo comperare un uomo per lo beneficio, mille e

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