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che avevano per soggetto la Giustizia, e che quivi per di più si sarebbe fatto conoscere perchè li Savj abbiano trovato l'arte di nascondere la Verità sotto bella menzogna.

Rispetto all' ultimo Trattato ed alla Canzone quattordicesima, sappiamo eziandio con più di certezza, che doveano aggirarsi sulla Virtù in generale, quasi per compendio delle cose ragionate nell' ampio Volume. E siffatta Canzone ben avvisò il Fraticelli, che fosse quella che comincia: Doglia mi reca nello core ardire, perocchè in essa e singolarmente nella strofa quinta s'accenna « quanto caro costa quello che si prega per ottenerlo; » ciò che appunto l'Autore aveva promesso di ragionare in quel Trattato predisposto a degno compimento del Convito. Or essa Canzone, fra quante altre corrono sotto il nome di Dante, è la sola, che sinora possa dirsi con tutta certezza, che sarebbe stata posta in quel Libro con la opportuna dichiarazione.

Bensì in alcuna delle rimanenti Canzoni, oltre che vi si ravvisa la materia di Virtù e di Scienza, vi si discopre la forma del tutto corrispondente a quella delle Canzoni per effetto appropriate al Convito, sicchè niuno potrebbe rifiutarle quasi immeritevoli di appartener vi. Veramente il codice Riccardiano 1044 le determina e ce le indica tutte, numerandole per cosi distinta maniera:

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CANZONE I. Voi che, intendendo, il terzo Ciel movete.
II. Amor, che nella menle mi ragiona.
III. Le dolci rime d' Amor, ch' io solia.
IV. Amor, che movi tua virtù dal Cielo.
V. Io sento si d' Amor la gran possanza.
VI. Al poco giorno, ed al gran cerchio d'ombra.
VII. Amor, tu vedi ben, che questa Donna.
VIII. Io son venuto al punto della rota.

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IX. E' m' incresce di me si duramente.

X. Tre donne intorno al cor mi son venute.
XI. Poscia ch' Amor del tutto m' ha lasciato.
XII. La dispietata mente, che pur mira.

XIII. Doglia mi reca nello core ardire.

XIV. Amor, dacchè convien pur, ch' io mi doglia.

Sebbene io non possa credere che tutti questi componimenti poetici fossero dal sapiente Autore preparati od a'meno eletti ad esser parte di quell' Opera, nondimeno stimo conveniente di qui aggiugnerli come Appendice ai tre primi, che quivi sortirono il loro commento. E di ciascuno ripeterò quello che mi parve di dover confermare nella edizione del CANZONIERE di Dante, già pubblicata nel 1865. Vi apporrò da ultimo anche la Ballata: Voi che sapete ragionar d'Amore, perchè non solo vien rammentata nel Convito, ma perchè vi serba un' attinenza strettissima, e giova inoltre a viemeglio farne comprendere certe sentenze e l'arte propria del rigido Maestro. Per cosiffatta disposizione questo Convito, oggimai non potendo più rendersi intero, sarà almanco tal quale il suo benefico Dispensatore ci porse modo di parteciparvi e di rifornirlo. Che se poi non fosse « tanto splendido, quanto conviene alla sua grida, » prego anch' io l' anime degne e gentili e studiose di Dante, che « non al mio volere, ma alla mia facultate imputino ogni difetto, » perocchè la mia voglia è qui seguace di liberalità vera e compiuta.

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CANZONE QUARTA.

1.

Amor, che muovi tua virtù dal Cielo,
Come 'l Sol lo splendore,

Chè là s'apprende più lo suo valore,
Dove più nobiltà suo raggio trova,
E com' el fuga oscuritate e gelo,
Così, alto Signore,

Tu cacci la viltate altrui del core,

Nè ira contra te fa lunga prova:

Da te convien che ciascun ben si muova,
Per lo qual si travaglia il mondo tutto:
Senza te è distrutto

Quanto avemo in potenza di ben fare;
Come pittura in tenebrosa parte,

Che non si può mostrare,

Nè dar diletto di color, nè d'arte.

743

2

Fêremi il core sempre la tua luce,
Come 'l raggio la stella,

Poichè l'anima mia fu fatta ancella
Della tua podestà primieramente.
Onde ha vita un pensier, che mi conduce
Con sua dolce favella

A rimirar ciascuna cosa bella

Con più diletto, quanto è più piacente.
Per questo mio guardar m'è nella mente
Una Giovane entrata, che m' ha preso;
Ed hammi in foco acceso,

Com'acqua per chiarezza foco accende:
Perchè nel suo venir li raggi tuoi,

Con li quai mi risplende,

Saliron tutti su negli occhi suoi.

3.

Quanto è nell'esser suo bella, e gentile
Negli atti ed amorosa,

Tanto lo immaginar, che mai non posa,
L'adorna nella mente, ov'io la porto;
Non che da sè medesmo sia sottile
A così alta cosa,

Ma dalla tua virtute ha quel, ch'egli osa
Oltra il poter, che Natura ci ha pôrto.
È sua beltà del tuo valor conforto,
In quanto giudicar si puote effetto
Sovra degno suggetto,

In guisa ch'è al Sol raggio di foco;
Lo qual non dà a lui, nè to' virtute;
Ma fàllo in alto loco

Nell'effetto parer di più salute.

4.

Dunque, Signor, di sì gentil natura,
Che questa Nobiltate,

Che vien quaggiuso, e tutt'altra bontate
Lieva principio dalla tua altezza;

Guarda la vita mia, quanto ella è dura,
E prendine pietate:

Chè lo tuo ardor per la costei beltate
Mi fa sentire al cor troppa gravezza.
Falle sentir, Amor, per tua dolcezza
Il gran desio ch'io ho di veder lei:
Non soffrir che costei

Per giovinezza mi conduca a morte:

Chè non s'accorge ancor, com'ella piace,
Nè com'io l'amo forte,

Nè che negli occhi porta la mia pace.

5.

Onor ti sarà grande, se m'ajuti,

Ed a me ricco dono

Tanto, quanto conosco ben, ch'io sono
Là, ov' io non posso difender mia vita;
Chè gli spiriti miei son combattuti
Da tal, ch' io non ragiono,

Se per tua volontà non han perdono,
Che possan guari star senza finita.
Ed ancor tua potenza fia sentita
In questa bella Donna che n'è degna,
Che par che si convegna

Di darle d'ogni ben gran compagnia,
Com' a Colei, che fu nel mondo nata
Per aver signoria

Sovra la mente d'ogni uom che la guata.

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