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in Africa, la battaglia di Zama, il ritorno in Italia e il trionfo dell'eroe. Essendo per lui una religione tutto quello che era antico, egli accolse il magnifico racconto di Tito Livio e lo narrò poeticamente senza farvi alterazioni importanti, e senza quasi introdurvi elementi fantastici e il meraviglioso. Vagheggiando una perfezione romana assoluta, sceglie quello che è più onorevole pei Romani e pel suo eroe, il quale << è come un essere astratto che non si lascia dominare da alcuna passione, per cui è il carattere meno poetico del poema.» (Zumbini). Le bellezze dell'Africa bisogna cercarle nei fatti e nei personaggi secondarî, specialmente là dove il poeta ha messo qualche cosa della sua anima, ed esprime l'amore, il dolore, la nullità della vita, il desiderio della morte. Bellissimi sono gli episodi di Sofonisba e della morte di Magone. Nel primo è descritto l'amore di Massinissa per la bella cartaginese, le loro nozze, e la pietosa fine di lei. Nel secondo Magone presso a morire vede quanto fuggitiva e misera sia ogni cosa di quaggiù, ed esce in alcuni lamenti che sono la cosa più patetica del poema.

2o Carmen Bucolicum, distribuito in 12 egloghe, dove, sotto la veste di pastori, si mettono in scena papi, cardinali, principi e amici del poeta; alcune sono amarissime satire della corruzione della Corte avignonese.

3o Epistola metriene, libri III, ossia lettere in verso.

§ 9. Fra le opere in prosa abbiamo:

1o Le Lettere. Ne scrisse un grandissimo numero. I suoi amici le tenevano in grandissimo conto, e molti ne facevano raccolta; egli stesso teneva copisti che le trascrivevano prima di mandarle a coloro a cui erano indirizzate. Di esse buona parte gettò alle fiamme; fatta una scelta delle altre, le ordinò in quattro classi:

a) De Rebus familiaribus. Libri XXIV.

b) Varia. Libro unico.

c) Seniles. Libri XVII.

d) Sine titulo. Libro unico.

Queste ultime, destinate a pubblicarsi solo dopo la morte dell'autore, contengono acerbissime parole di biasimo contro i papi d'Avignone. Quelle delle altre classi sono rese preziose da un gran numero di circostanze di fatti che ci fanno conoscere molto da vicino il nostro poeta. Noi lo seguiamo passo passo nella sua vita, lo sorprendiamo nei suoi famigliari colloquii cogli amici e coi più grandi personaggi del suo tempo, e per esse veniamo a darci ragione del suo modo di pensare e di sentire. In alcune si trattano questioni politiche, morali e religiose; in altre si descrivono paesi e monumenti e costumi dei popoli. Interessanti sono quelle che il Petrarca finge di scrivere ai grandi uomini dell'antichità come ad Omero, a Virgilio, a Orazio, a Cicerone, a Varrone, a Quintiliano, ecc., con i quali tratta amichevolmente, lodandoli o rimproverandoli.

2o Opere geografiche e storiche, cioè:

a) Itinerarium Syriacum, minuta descrizione dei luoghi notevoli che si trovano sulla via da Genova fino alla Terra Santa.

b) De Rebus memorandis, illustrazione di argomenti filosofici e morali mediante esempi tratti dalla storia.

c) De Viris illustribus, serie di biografie dei più famosi personaggi di Roma, aggiuntevi quelle di Alessandro e di Annibale; opera pubblicata solo recentemente e di cui era noto soltanto un compendio.

3o Opere filosofiche:

a) De vera sapientia. Sono due dialoghi in cui un idiota di buon senso confonde la saccenteria di un falso dotto. b) De sui ipsius et multorum ignorantia. Avendo il Petrarca ripreso delle loro dottrine scolastiche quattro giovani veneziani, costoro, raccoltisi in tribunale, sentenziarono essere il Petrarca un uomo dabbene ma illetterato. L'irritabile poeta rispose con questo trattato, dove dimostra che essi, negandogli il sapere e giudicandolo virtuoso, avevano sentenziato favorevolmente di lui, perchè molto più della dottrina è stimabile la virtù.

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c) De Remediis utriusque fortunæ De Contemptu mundi - De Vita solitaria De Ocio religiosorum, libri di filosofia mistica di cui parleremo più innanzi. Le altre opere sono: Epistola ad Posteres Psalmi pænitentiales

Invectivæ in medicum Invectiva in Gallum Testamentum. Le altre che sogliono numerarsi fra le opere del Petrarca, cioè: De Republica optime administranda - De Officio et virtute imperatoris De pacificanda Italia De libertate capessenda De avaritia vitanda ecc. non sono che lettere considerate come veri trattati dagli antichi editori.

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Tradusse inoltre in latino la Griselda del Boccaccio (De obedientia et fide uxoria). L'invio di questa traduzione al Boccaccio forma il soggetto dell'ultima lettera delle Senili.

Il latino del Petrarca non è più il latino barbaro e scolastico del Medio Evo, ma è la lingua classica di Cicerone e Virgilio. Nessuno prima di lui aveva mostrato così profonda conoscenza degli scrittori latini; e benchè sia stato ancora superato dagli Umanisti del Quattrocento e del Cinquecento, tuttavia parve cosa nuova e mirabile tanta maestria nel ritrarre concetti e forme classiche e tanta eleganza di scrivere.

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§ 10. Già notammo il carattere irrequieto e contradditorio del Petrarca (§ 6). Ma le angoscie del povero poeta gli furono accresciute da una terribile malattia psicologica che dominò nel Medio Evo e da cui ancora non si erano intieramente liberati gli uomini del Trecento. Per un'aberrazione dello spirito umano, della quale non cade qui opportuno ricercare le cause, l'uomo del Medio Evo cerca di dimenticare il mondo che lo circonda e tutte le sue dolcezze, che per lui non sono altro che occasione al peccato, e sforzando la sua natura, che lo trascina irresistibilmente all'amore delle cose terrene, si ritira nella solitudine e vive fra le preghiere e le penitenze in contemplazione dell' oltreumano, mettendosi paurosamente innanzi agli occhi l'istante della morte e le pene infernali che sono al peccatore destinate. Anche nel Petrarca vediamo spesso il mistico assalito dal pensiero della morte, dell'oltremondano, della vanità delle cose umane. Ogni mezzanotte si alza per recitar laudi; ogni giorno recita l'uffizio, ogni venerdì digiuna a pane ed acqua. Tormentatore di sè stesso, si crea un inferno in questo mondo e cambia in veleno ogni delizia, disprezzando quello che in altro momento adorava, cioè i godimenti e le soddisfazioni della vita, l'amore della natura, dell'arte antica, della gloria, di Laura. Molti dei suoi scritti rivelano questi sentimenti, e specialmente:

1° Il De Comtemptu mundi, lontana imitazione delle Confessioni di S. Agostino e del Libro di Boezio, e chia

mato dall'autore il suo Secretum (« Secretum enim meum es et diceris »). È un'opera preziosissima per chi voglia conoscere intimamente il nostro poeta, perchè in nessun altro libro egli parla di sè con tanta ingenuità e candore. Sono tre dialoghi con S. Agostino alla presenza della Verità, e si possono considerare come colloquii del poeta colla sua coscienza. Nel 1o dialogo S. Agostino rimprovera al suo discepolo di non avere abbastanza forza di volontà per volgersi alla virtù, e di essersi da essa allontanato per soverchia leggerezza, onde nasce quell'intestina discordia per cui abborrisce bensì il male, ma non lo fugge. E come rimedio, lo esorta a fare una lunga e continua meditazione della morte « contemplare le singole membra dei moribondi, come il corpo stillante freddo sudore, il cuore che più spesso palpita, lo spirito vitale che si allenta all'avvicinarsi dell'ora estrema, gli occhi incavati e natanti, lo sguardo lagrimoso, la fronte contratta, le guance livide, i denti luccicanti, le corrugate ed acute nari, le spumanti labbra, la lingua squamosa e torpida, il palato arido, la fronte affaticata, il petto anelante, il roco mormorare, i tristi sospiri, la molesta puzza di tutto il corpo, e l'orrore della stravolta faccia.... Immerso in quel pensiero, abbrividerai, tremerai, impallidirai.... ti sembrerà di essere fra le angustie della morte.... ti rammenterai che l'anima, sprigionata dalle membra, dovrà rendere ragione non solo della passata vita, ma anco delle parole.... Nè ti sfuggano i mille supplizi, nè lo stridore, ne i gemiti, nè i sulfurei fiumi, nè l'oscurità........ nè l'eterna disperazione, nè l'ira di Dio che non mai si ammanserà. >> Nel Dialogo 2o S. Agostino enumera al poeta i mali che da ogni parte lo incalzano é lo deludono; gli rinfaccia l'orgoglio suo per gli onori ricevuti, la troppa stima ch'egli ha per la scienza, l'ingegno, la facondia, la bellezza del corpo; il soverchio appetito dei beni temporali; lo accusa di essere acceso dalla fiamma della lussuria, la quale soprattutto lo allontana da Dio; e infine di essere travagliato dalla funesta pestilenza dell'accidia e della malinconia.

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