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il tempo anche di scrivere e di limare i versi dell'Africa e di andare oratore di Clemente VI alla regina Giovanna, e di studiare il greco sotto Barlaam, e di scoprire le lettere di Cicerone, e di fare il suo ingresso in Parma coi signori di Correggio e di scrivere le sue interminabili Epistole. Chi lo direbbe allora un innamorato? Eppure lo è: ma lo è secondo la propria natura. Egli si lascia distrarre da altri affetti, si lascia cullare da altri sogni: ma però quell'affetto e quel sogno di Laura si ridestano subito, appena rivede Avignone, appena si ritrovi nella sua solitudine di Valchiusa, appena, direi, si ritrovi faccia a faccia con sè medesimo. » (Bartoli).

Il Canzoniere è il giornale dell'amore: il giornale di tutti i fenomeni fuggevoli che appariscono nello spirito del Poeta, che balzano fuori giorno per giorno, secondo lo stato d'un'anima agitata, senza scopo, nè direzione, senza connessione, che rinascono, spariscono e ripullulano sempre. È quindi opera vana il cercare un ordine qualsiasi nei vari componimenti. Ed è anche assurdo il voler costrurre una figura ideale e fissa di Laura. L'amore del Petrarca è tutto soggettivo, e Laura non ha per noi alcun interesse che in quanto appare attraverso all'immaginativa del Poeta, cioè sotto forme svariatissime e soventi contradditorie, essendo ogni cangiamento nell'anima dell'amante cagione di un cangiamento di Laura.

§ 21. Il Canzoniere comprende, in quasi tutte le edizioni, quattro parti: 1) Rime in vita di Madonna Laura 2) Rime in morte di Madonna Laura 3) I Trionfi 4) Rime sopra vari argomenti.

Nelle poesie in vita di M. Laura ferve la battaglia degli opposti sentimenti, e si comprendono 21 anni di spasimi, dal 1327 fino al 1348, anno della morte di Laura. Non è da meravigliarsi se, aggirandosi il poeta sempre entro la stessa cerchia d'idee, riveli qualche volta una certa stanchezza e finisca coll'esaurirsi e col ripetersi, riuscendo monotono. La

morte di Laura giunge in buon punto a rialzare quella poesia e a ringiovanire l'anima del Petrarca. « La sventura, osserva giustamente il De-Sanctis, nelle anime poetiche è una crisi salutare che le ritempra, le spigra, raduna tutte le loro potenze in un sol punto, opera come la passione, ne nasce una concentrazione, ed accrescimento di forze. »

All'annunzio della morte di Laura, nel primo tumulto del dolore, gli esce fuori un sonetto che è un lungo gemito: Ohimè il bel viso! Ohimè il soave sguardo!

(Sonetto I, Parte II).

Laura morta vive sempre nella sua immaginazione e nel suo cuore: egli guarda intorno a sè e non la trova, e non sa capacitarsi che tanta bellezza sia scomparsa: si sente solo e cerca di riempire il voto della sua anima colle rimembranze di un mondo sparito per sempre. Ne nasce una nuova lirica, generata da un nuovo contrasto del passato col presente, di Laura morta nella realtà, ma sempre viva nel poeta. Però il movimento di disperazione non dura, e cede presto il luogo ad un dolore rassegnato, ad una dolce mestizia in cui il Petrarca si tuffa con compiacenza. Qui più che mai bella sorge la poesia della solitudine, e quello che più interessa è « una specie di consonanza funebre tra il poeta e la natura, divenuta come eco che risponde ai suoi gemiti, e quasi la sua amica e confidente, sì che non sa vivere, non sa dolersi senza di lei. » (De Sanctis). Allora egli prende ad amare più che mai Valchiusa; più che mai vivo sente il bisogno di quei luoghi che furono partecipi delle sue pene e che gli sono fecondi d'immaginazioni ineffabili; e nella natura ode spesso voci lamentevoli che consuonano col suo dolore e sono l'immediata espressione del suo affanno. Veggansi in prova i due bellissimi sonetti:

Quell'usignuol che si soave piagne;

(Sonetto XLIII, Parte II).

Vago augelletto che cantando vai,

(Sonetto LXXXIX, Parte II).

§ 22. Colla morte della sua donna cessa ogni dissidio nel cuore del poeta, e Laura, nella sua immaginazione, si trasfigura. Finchè essa fu viva, s'opponevano alla sua tranquillità il misticismo di lui e la riservatezza di lei. Ma lei morta, cessato il pericolo e la tentazione al peccato, tutto si muta in pace ed armonia; quella donna non gli sconvolge più i sensi, ed il poeta ormai può adagiarsi tranquillo nel pensiero di lei fatta immortale, ed aspirare al cielo dove sa di trovarla più bella e meno altera. Questa trasfigurazione di Laura appare nel sonetto:

Levommi il mio pensiero in parte, ov'era
Quella ch'io cerco e non ritrovo in terra;
Ivi fra lor che il terzo cerchio serra
La rividi più bella e meno altera.

Per man mi prese e disse: In questa sfera
Sara' ancor meco, se il desio non erra;
Io son colei che ti diè tanta guerra,
E compie' mia giornata innanzi sera.

Mio ben non cape in intelletto umano;
Te solo aspetto, e quel che tanto amasti,
E laggiuso è rimaso, il mio bel velo.

Deh! perchè tacque, ed allargò la mano?
Che al suon de' detti sì pietosi e casti,
Poco mancò ch'io non rimasi in cielo.

E abbandonandosi alla sua fantasia, si culla in dolci e sante illusioni: la vede in sogno, la sente vicino a sè: ella gli asciuga gli occhi colla mano, lo consola, diviene la sua consigliera e confidente, e

intentamente ascolta e nota La lunga storia delle pene sue,

entra a far parte di tutte le sue emozioni, vive della vita del poeta. Tutto il passato gli si presenta allora ben diversamente capisce adesso la causa della durezza del cuore di Laura e la benedice:

Benedetta colei ch'a miglior riva

Volse il mio corso, e l'empia voglia ardente
Lusingando, affrenò, perch'io non pêra.

(Sonetto XXII, Parte II).

Ora Laura non è più la fredda e sdegnosa donna della 1a parte del Canzoniere; ma è una donna benigna che ha soavi parole e dolci sguardi, ama adesso il poeta, desidera di essere unita eternamente con lui, e alla piena sua beatitudine non manca che il suo poeta. Questa trasfigurazione di Laura, divenuta amante ed un'angelica creatura, questo desiderio del Petrarca di confondersi con lei nel mondo di là, questa misteriosa corrispondenza di due cuori, dà luogo ad una nuova poesia più nobilmente ispirata e più schiettamente umana.

L'allontanamento dalle cose mondane e il rivolgersi a Dio gli è possibile adesso che Laura, fatta cittadina del cielo lo incoraggia e lo consiglia. Uscito da tanta guerra, omai si sente vecchio e stanco:

Omai son stanco, e mia vita riprendo
Di tanto error, che di virtute il seme
Ha quasi spento; e le mie parti estreme,
Alto Dio, a te divotamente rendo,

Pentito e tristo de' miei sì spesi anni;
Che spender si doveano in miglior uso.

(Sonetto LXXXIV, Parte II).

Il passato lo considera come vanità e colpa, e piange perciò i tempi che consumò nell'amar cosa mortale, domanda perdono e soccorso a Dio, fa morali considerazioni sulla brevità della vita, e sull'instabilità dei suoi beni:

lo vò piangendo i miei passati tempi.

I quai posi in amar cosa mortale.

Tu che vedi i miei mali indegni ed empi,
Re del Cielo, invisibile, immortale,

Soccorri all'alma disvïata e frale.

(Sonetto LXXXV, Parte II).

La vita fugge e non s'arresta un'ora,

E la morte vien dietro a gran giornate.

(Sonetto IV, Parte II).

Il Canzoniere si chiude con una canzone a Maria Vergine, dove il poeta prega Maria d'intercedere presso Dio per i suoi falli trascorsi: canzone che il Carducci chiama inno ed elegia: « nell'inno tutto che la teologia disputò sulla Vergine, tutto che i padri da Agostino a Bernardo immaginarono a gloria di lei; tutti i titoli onde la Chiesa dei fedeli la invoca, sono resi in versi alti, solenni, gentili, classicamente perfetti; nell'elegia un'onda di pianto trascorre davanti a quel tempio così elegantemente inalzato, e travolge a piè della Vergine tutto ciò che l'artefice ha amato e desiderato e patito, tutto ciò ch'egli ricorda e teme. »

§ 23. L'ultimo lavoro del Petrarca sono i Trionfi, palese imitazione della Divina Commedia (1). In essi l'autore generalizza la sua storia intima, considerandola come storia umana e dividendola in sei stati che esprime allegoricamente, per via di simboli e personificazioni, in sei poemetti:

1° Trionfo d'Amore (IV Capitoli). In una visione appare Amore trionfante sopra un carro di fuoco, seguìto da una turba di prigionieri suoi servi. Il poeta ne nomina parecchi e si trattiene prima con Massinissa e Sofonisba, poi con Seleuco. Da ciò prende occasione per narrare del proprio innamoramento e descrivere le bellezze di Laura. Amore conduce

(1) Il Petrarca non aveva ancora letto il poema Dantesco nel 1359 quando il suo amico Boccaccio glie ne mandò una copia trascritta di sua mano, invitandolo a leggerlo ed apprezzarlo. Il Petrarca gli rispose con una lettera (che è la 15a del XXI Libro delle Familiari), purgandosi del sospetto di essere invidioso e ingiusto verso Dante. Il Foscolo, l'Emiliani-Giudici, il Cantù ed altri hanno affermato che il nostro poeta fu veramente invidioso di Dante; ma l'accusa fu nobilmente e vittoriosamente dimostrata falsa, prima dal Fracassetti (Nota alla lettera 15 del XXI delle Familiari), poi dal Carducci (nei suoi Studi letterari: Della varia fortuna di Dante. Discorso terzo).

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