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carattere dello scrittore e dei tempi in cui vive, ed ha sempre un grande significato storico ed artistico, che il lettore inesperto non potrà scoprire, senza essersi alquanto approfondito nelle cause che quel capolavoro hanno prodotto. Egli dovrà conoscere qual è il temperamento dell'ingegno e l'indole morale dello scrittore (massime quand'esso è un poeta e un poeta lirico), quali sono le condizioni dell'ambiente in cui vive; quali elementi hanno concorso a formare l'opera, qual è l'idea organatrice di essa, e come infine vi corrisponda l'esecuzione artistica. Allora l'allievo vedrà tutto chiaro nel libro che ha per le mani, s'innamorerà del suo autore, lo comprenderà nelle minime sue parti, e ricaverà quel profitto che le Istruzioni Ministeriali pretendono, cioè: « che il giovane abbia educato l'animo a sentire il bello e il buono delle opere letterarie, e la mente matura ad analizzarle e a giudicarle con rettitudine; poichè per quell'intima congiunzione che è tra l'istruzione letteraria e l'educazione morale, saprà esercitare entrambe le facoltà non solo nei suoi scritti, ma anche negli atti della vita privata e della civile. »

Nella compilazione di questa mia operetta sul Petrarca ho tentato di compendiare il meglio che ho trovato nei principali lavori fatti sul nostro grande poeta lirico. I miei Colleghi si accorgeranno subito quali siano i critici che ho di preferenza seguìto; cioè il Bartoli, il De Sanctis, dai quali ho attinto largamente, servendomi qualche volta anche delle stesse loro parole. Non ho però trascurato gli altri dotti lavori, come quelli del Fracassetti, del Mezières, dello Zumbini, del Carducci, ecc. Di queste opere troverà il diligente studioso un elenco nell' Appendice in fine del libro.

Certo io non pretendo che il mio libretto, così sottile com'è,

il

contenga intieramente tutto quello che basta per lo studio sopradetto. Esso non vuol esser altro che una guida per professore e per l'allievo; e contiene bensì qualche cosa di più di ciò che si legge nelle nostre Storie Letterarie; ma non tanto da supplire all'opera dell'insegnante, che deve sviluppare, illustrare, aggiungere, secondo lo stato intellettuale della scolaresca, e secondo il suo giusto criterio, rimpolpare, insomma e rinsanguare le forme ischeletrite del libro di testo.

Generalmente nei lavori scolastici di tal natura il compilatore si trova di fronte ad una difficoltà grande che non sempre può riuscire a superare; di conciliare cioè il rigore scientifico colla sobrietà e chiarezza che con ragione si pretende in libri destinati ad essere messi in mano a giovani di Ginnasio e di Liceo. Non di rado il compilatore è obbligato di sacrificare alle scolastiche esigenze, e specialmente all'ordine ed alla chiarezza, certi punti dell'argomento che pure sarebbero necessari a rendere l'opera intiera ed organica. Per conto mio ho voluto prima di tutto esser chiaro, o almeno intelligibile, anche a scapito dell'interezza dell'opera; convinto dalla mia esperienza d'insegnante, che solo così facendo, sarei riuscito a renderne profittevole la lettura. Non credo di essere sempre riuscito nel superare questa difficoltà, che è la più grave, ma non la sola.

Ho fatto però del mio meglio; e ad ogni modo spero che la mia tenue fatica non tornerà affatto inutile ai miei Colleghi ed agli studiosi.

Biella, Marzo 1885.

A. P.

CAPITOLO I.

Vita.

Vita di Francesco Petrarca.

-

Carattere fisico e morale. Onori tributati al poeta. Le contraddizioni del suo carattere.

§ 1. Francesco Petrarca nacque in Arezzo il 20 luglio del 1304, da Eletta Canigiani e da ser Petracco di Parenzo notaio fiorentino, che come Bianco era stato esiliato due anni prima dalla sua patria. Trascorse i sette primi anni colla madre nella paterna villa all'Ancisa, poco lungi da Firenze: essendosi poi il padre trasferito a Pisa, chiamò a sè il figlio, e lo fece quivi iniziare negli studi dal grammatico Convenevolo da Prato. Dopo la sfortunata impresa dell'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, Francesco si recò insieme coi genitori ad Avignone, sede allora della Corte pontificia. Quivi e nella vicina Carpentras seguitò ad istruirsi nella grammatica, dialettica e rettorica sotto Convenevolo, passato anch'esso in Francia. Ascrittosi al clericato (senza però farsi prete), diede opera per quattro anni allo studio della giurisprudenza in Montpellier, e poscia all'Università di Bologna, destando di sè grandissima speranza, se in quella carriera avesse continuato. Ma questi studi, intrapresi solo per accondiscendere ai desiderii del padre, troppo spesso interrompeva per attendere alla lettura dei classici latini, specialmente di Virgilio e di Cicerone, a cui l'indole sua irresistibilmente lo traeva. Indi le ire del padre, il quale sorpresolo una volta, gli gettò nel fuoco i suoi libri prediletti; e solo per compassione del dolore, che lesse sul volto al figliuolo, sottrasse dalle fiamme, mezzo abbruciati, un Virgilio e un Cicerone,

e glieli porse, affinchè alcuna volta traesse diletto dalla loro lettura.

Mortogli il padre nel 1336, e poco dopo anche la madre, il giovane Petrarca (che così aveva mutato il nome paterno di Petracco), abbandonato affatto il giure, si applicò con tutto l'ardore della sua anima alle lettere, e particolarmente alla poesia. Ritornato in Avignone, cominciò a condurre, insieme col fratello Gerardo, vita elegante, compiacendosi degli ornamenti della persona, e delle galanti e sollazzevoli brigate. Entrato nelle grazie della famiglia Colonna, potè facilmente mettersi in contatto colla magnificenza e splendidezza della vita avignonese, frequentare la compagnia degli uomini più illustri, e rendere in tal modo palese il suo ingegno e la sua dottrina. Il giorno 6 Aprile dell'anno 1327, nella chiesa di Santa Chiara in Avignone, vide per la prima volta la sua Laura, che gli fe' nascere nel giovane cuore una forte passione e lo rese grande poeta.

§ 2. Nel 1330 il suo protettore Giacomo Colonna essendo stato eletto vescovo di Lombez, seco lo condusse in Guascogna, ove nella compagnia di quel signore e dei famigliari di lui passò divinamente l'estate. Colà strinse amicizia indissolubile col romano Lello di Stefano e col fiammingo Ludovico da Campinia (i quali nelle lettere chiama Lelio e Socrate). In quel viaggio visita Narbona e Tortosa, e osserva i costumi dei Trovatori che componevano la così detta Compagnia o Accademia della gaia scienza. Restituitosi ad Avignone, fu accolto come famigliare in casa del cardinale Giovanni Colonna, «e vissi con lui, egli dice, per anni molti, come s'ei fosse a me non signore, ma padre, anzi non padre, ma fratello amoroso, o per meglio dire, come se fosse stato un altro me stesso, e la casa sua casa mia. » (Epistola ai Posteri). Ma, sia per febbre insaziabile di vedere nuove cose, sia per una continua irrequietudine che gli produceva la sua passione amorosa non corrisposta, egli intraprendeva frequenti

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