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Marzo. 1862.

Degli scritti contenuti in questo volume uno fu da me dettato in francese, e, per compiacere a un desiderio d'amici, lo serbo tal quale: altri sono originali italiani; altri furono stesi in inglese per le Riviste di Lon

Riproduzioni e traduzioni riservate, secondo le Leggi e i Trattati, all'Editore G. DAELLI succeduto a tutti i DIRITTI DELL'AUTORE. Entered according to Act of Congress, in the year 1861, by G. DAELLI, in the Clerk's Office of the District Court, for the Southern District of New-York.

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dra, e, comunque fossero già voltati in italiano e pubblicati anni sono in Lugano da giovani che mi furono amici, ho creduto debito mio verso l'Editore di ritradurli io stesso per questa Raccolta.

Serbo ai ricordi frammisti agli Scritti politici pochi cenni ch'io dovrei aggiungere alle pagine che riguardano Foscolo, Bini e altri scrittori alle cui opere accenno, e alcuni particolari intorno alle circostanze nelle quali furono dettate e alle strette di povertà che m'angustiavano quando io scrissi, a liberarmene, gli articoli inglesi.

Avrei potuto e forse dovuto modificare alcune idee secondarie contenute negli Scritti: nol feci. Parmi che uno scrittore debba mostrarsi a' suoi lettori non solamente come egli è, ma come ei fu, e che possa tornar utile ai giovani vedere come ogni uomo soggiaccia più o meno all'influenza degli anni nei quali egli vive e delle circostanze tra le quali ei s'agita. Poco rileva del resto negli Scritti che qui si ripubblicano l'esattezza d'uno o d'altro particolare. Ciò che in essi importa -se pur v'è cosa che importi

è la tendenza generale che li informa, il senso della missione fidata all'Arte e dell'intento morale da non tradirsi mai — e oggi meno che mai dalle Lettere.

Oggi, ho detto, meno che mai. Ed è vero.

Come l'azione eccentrica d'una cometa, potente di mezzo a una materia nebulosa tenue e diffusa, è pressochè nulla attraverso un sistema solare formato e stabile, le irregolarità d'uno o d'altro intelletto, che non nuocciono dove sia Letteratura Nazionale fiorente e forte di tradizioni venerate dal consenso dei più, possono riuscire gravemente funeste oggi mentre Letteratura non è e si tratta di fondarla in Italia. Cacciate una volta le basi, rintracciata e accettata la vera tradizione del Pensiero Italiano, distrutti dalle radici i vizi che il clero educatore, la lunga tirannide e la prepotente influenza straniera v'innestarono da più secoli, la libertà degli ingegni italiani potrà rivendicarsi gran parte della vita letteraria: oggi no. Oggi l'intento deve governarla supremo. Tradirebbe l'Arte, e il paese ad un tempo, qualunque, per obbedire a impulsi puramente individuali, se ne sviasse. L'Italia non è finora creata, e dobbiamo intendere tutti a crearla. Ogni uomo che scriva è mallevadore a tutti, per quanto ei può, della Patria futura. L'Arte è davvero Sacerdozio d'educazione alle generazioni che sorgono. La creazione d'un Popolo è cosa sì santa che i poeti, i cultori dell'Arte, dovrebbero, finchè non è compita, scrivere come taluni fra i pittori dell' Umbria pingevano, prostrati a preghiera.

I vizi, che dai tempi di Carlo V in poi deturparono e fecero impotente al bene e indegna della terra Italiana la nostra Letteratura, son molti: vizi d'adulazione cortigianesca ad ogni potente, di cieca e meschina venerazione ai pregiudizi e agli orgogliuzzi della propria città, accademia o consorteria, d'irriverenza ai nostri Grandi citati sempre, non mai profondamente studiati, e di malignità invidiosa ai contemporanei che fece amara a ingegni potenti davvero e caldi d'affetti italiani la vita e la morte. Ma i principali o meglio le sorgenti di tutti stanno nell'aver noi da lungo, e salvo rare eccezioni, separato la Letteratura dalla vita della Nazione e dall'ideale Italiano, per cacciarla sull'orme di scuole, antiche o moderne, Greche o Francesi, straniere ai nostri ricordi e alle nostre aspirazioni. La tirannide che ci contese vita di popolo, la mancanza di un Centro che rappresentasse visibile il pensiero collettivo, la lingua scritta, non parlata mai fuorchè in una frazione d'Italia, la noia d'un presente increscioso e infecondo, il fascino esercitato dalle splendide reminiscenze dell'Arte Greca affine a noi per vincoli storici e fati comuni e dell'Arte Romana che ne seguì l'orme, rapirono alle nostre Lettere originalità e vita spontanea, travolgendole nell'imitazione. E dacchè nessuno può,

checchè tenti, rifarsi uomo e cittadino d'una civiltà di venti secoli addietro, imitammo non il concetto, ma la forma altrui. Poi venne il Materialismo, filosofia di popoli schiavi o che stanno per diventar tali, e spense più sempre il bisogno d'un ideale che ci avrebbe ricondotti alla nostra tradizione.

Il Materialismo - possano i giovani ascoltarmi, perchè in verità l'avvenire italiano è riposto nella questione alla quale io non posso qui che accennare perpetuò il nostro servaggio attossicandoci l'anima d'egoismo e di codardia: all'idea che la vita è missione e dovere sostituì, tra il rogo di Giordano Bruno e la prigione di Campanella, l'idea che la vita è la ricerca della felicità; e dacchè ogni nobil modo di felicità intellettuale e morale è rapito a chi non ha Patria o l'ha schiava, tradusse in ultimo anche quella idea di felicità in piacere o felicità d'un giorno, d'un'ora, procacciata dall'oro e dal soddisfacimento di misere e traditrici passioni sensuali: franse il nodo sociale e l'istinto di fratellanza collettiva che avea creato la grandezza di Roma e delle nostre repubbliche e pose l'individuo a centro e fine d'ogni opera nostra: sottentrò quindi inevitabilmente al pensiero, rivelato prima che altrove in Italia, d'un disegno educatore providenziale e d'un progresso comune, col

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