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riavere i suoi beni a patto ch'ei si dichiarasse perdonato, e quindi colpevole. Altri, invitato, accettò; ma Dante negò; e noi vogliamo tradurvi quel tanto che ci è rimasto della lettera latina con ch'egli rispose all'amico che gli trasmetteva quella proposta, perchè l'anima di Dante v'è tutta scolpita, e perchè molti esuli dei tempi nostri hanno bisogno di meditarla.

« Dalle vostre lettere, colla debita riverenza e con affetto da me ricevute, ho con animo grato e pensatamente raccolto quanto vi stia a cuore ch'io ritorni alla patria: e tanto più io vi sono riconoscente quanto è più raro che gli esuli incontrino amici. Rispondo or dunque alle cose in quelle significate, e se nol fo come forse la pusillanimità di taluni vorrebbe, prego affettuosamente che l'esame della vostra prudenza preceda il giudizio.

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« Le lettere del vostro e mio Nipote e d'altri parecchi amici mi dicono che in virtù di decreto novellamente escito in Fiorenza sull'assoluzione degli esuli, io, purchè accettassi di pagare una certa somma e sottomettermi alla vergogna dell'oblazione, potrei, rimanendomi assolto, tornare in patria immediatamente. Nel che, per vero dire, sono, o Padre, due cose degne di riso e mal consigliate: mal consigliate dico, accennando a quei che le espressero, dacchè le vostre lettere più prudenti e assennate non contenevano siffatte proposte.

« E questo dunque il glorioso modo per cui Dante Allighieri è richiamato, dopo quasi quindici anni di esilio, alla patria? Questo merita un' innocenza a tutti patente? Questo i sudori e le lunghe fatiche negli studi durate? Lungi dall' uomo della Filosofia

famigliare questa inconsiderata bassezza degna d'un cuore di fango, ch'egli a guisa di certo misero saputello e d'altri vuoti di fama patisca, quasi vinto, d'essere offerto al riscatto! Lungi dall' uomo apostolo della giustizia, ch'egli, offeso d'ingiuria, paghi agli offensori, quasi lo avessero beneficato, un tributo del suo!

a Per via siffatta, o padre mio, non si ritorna alla patria; ma se un'altra per voi o poscia per altri si troverà che non tradisca la fama e l'onore di Dante, io mi v'appiglierò a passi non lenti: e se per via sì fatta non s'entra in Fiorenza, io mai in Fiorenza non entrerò. Che? non vedrò io d'ogni dove le sfere delle stelle e del sole? Non potrò io d'ogni dove sotto il cielo meditare intorno alla dolcissima verità, se prima io non mi tolga ogni gloria, anzi mi renda ignominioso al popolo e alla città Fiorentina? Pane, certo, non mi mancherà ».

Per siffatta risposta i Fiorentini gli rifulminarono contro un altro bando. Bensi Dante trovava, negli ultimi anni della sua vita, stanza più riposata e confortata di cure amichevoli, presso Guido, signor di Ravenna, e per breve tempo anche in Verona nella Corte di Cane della Scala, famoso a quei tempi e Capitano della Lega Ghibellina. Dante avea moglie, una Gemma Donati, da lui presa dopo la morte di Beatrice, ma non l' ebbe mai seco da quando fu esule: avea figli, ma è incerto s'ei ne avesse mai presso alcuno. Scrisse, oltre il Poema, più libri latini e italiani dei quali or non importa parlarvi. Amava con ardore la musica, e sapea di disegno. Aveva il volto bruno di colore, mestamente severo

e pensoso. Era di mediocre statura, alquanto curvo nelle spalle. Parlava poco, eloquentissimo quando s'incaloriva. Morì nel 1321, il 21 settembre, in età di cinquantasei anni, di ritorno da una ambasciata a Venezia per Guido Novello, signor di Ravenna, che lo accorò pel mal esito. Guido gli celebrò i funerali, e poco dopo fu costretto dai casi a fuggir di Ravenna a Bologna. Nè se i figli suoi non s'opponevano virilmente avremmo in oggi certezza del luogo ove dormono l'ossa del più grande pensatore d'Italia, dacchè il Cardinale Poggetto si mosse verso Ravenna non molto dopo la fuga di Guido, con ordine di Papa Giovanni di dissotterrare l'ossa di Dante e maledirle e disperderle.

Un giorno, Dante pellegrinando venne al monastero del Corvo in Monte Caprione nella Lunigiana, e richiesto da un frate che si cercasse, rispose: PACE. Pace, nessuno, frate o altri, poteva dargliela in terra. Ma la pace dei morti, s'essi, come crediamo, guardano ancora con amore alle cose nostre, è l'adempimento del pensiero che li agitò sulla terra. Volete voi, Italiani, onorare davvero la memoria dei vostri Grandi e dar pace all'anima di Dante Allighieri? Verificate il concetto che lo affaticò nella sua vita terrestre. Fate UNA e potente e libera la vostra contrada. Spegnete fra voi tutte quelle meschinissime divisioni contro le quali Dante predicò tanto, che condannarono lui, l' uomo che più di tutti sentiva ed amava il vostro avvenire, alla sventura e all' esilio, e voi a una impotenza di secoli che ancor dura. Liberate le sepolture dei vostri Grandi, degli uomini che hanno messo una corona di gloria sulla vostra Patria, dall'onta d'essere cal

peste dal piede d'un soldato straniero. E quando sarete fatti degni di Dante nell'amore e nell'odio quando la terra vostra sarà vostra e non d'altri quando l' anima di Dante potrà guardare in voi senza dolore e lieta di tutto il santo orgoglio Italiano noi innalzeremo la statua del Poeta sulla maggiore altezza di Roma, e scriveremo sulla base: AL PROFETA DELLA NAZIONE ITALIANA GLI ITALIANI DEGNI DI LUL

COMMENTO FOSCOLIANO

alla Divina Commedia

Nella lettera che s'è qui ripubblicata a frammenti (1) dal numero 104 dell'Antologia di Firenze, si perchè porge indizio del modo con che Foscolo tentava l'illustrazione della Commedia, e si perchè gli esemplari dell'Antologia sono oggi pochi e rari a trovarsi, è menzione di parecchi lavori preparati in Inghilterra da Foscolo e rimasti ignoti all' Italia. Dei nove canti dell' Iliade accennati soli cinque furono trovati compiuti, più altri a lunghi frammenti, ed era mente di Foscolo ritoccarli. La lettera ai Greci, se pur fu scritta, è, credo, irreparabilmente smarrita. Rimangono, alcuni in ordine per la stampa, altri abbozzati, i Discorsi sulle Epoche della Lingua Italiana, e quel tanto che non fu poscia inserito da Foscolo in altri lavori stam

(1) Questo scritto, dettato a prefazione della prima edizione del Commento, esordiva dalla lunga lettera di Foscolo a Gino Capponi, contenuta nel vol. 3. dell' Epistolario Foscoliano, a pag. 229. Ed. Lemonnier.

MAZZ. Op. Vol. IV.

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