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politici, nei quali noi possiamo non ammirare lo stile nè tutte le idee, ma che rivelano costanza esemplare di patriota ed entusiasmo per la causa del popolo: proscritti Rossetti e Pistrucci che innalzarono l'arte generalmente sterile dell' Improvvisatore ad apostolato di libertà. Esuli sono gli uomini che primi levarono su terra straniera la bandiera religiosa e sociale della Giovine Italia: esuli quei che tentarono applicare i principii di quella Associazione alla Letteratura nell' Italiano pubblicato l'anno scorso in Parigi. Altri cercano promovere l'intelletto italiano traducendo alcune delle migliori opere filosofiche della Germania, G. B. Passerini a cagion d'esempio, o, come Ugoni, Tommaseo e altri, con lavori di critica storica e letteraria. A un esule, Giovita Scalvini, dobbiamo la migliore traduzione italiana del Fausto. A un esule, s' io non erro, Bianchi Giovini, la migliore vita italiana di Sarpi.

Così, tra le carceri e le proscrizioni, va maturandosi al meglio la mente Italiana. Così, tra i mille ostacoli accumulati dal terrore, da corruttele inerenti alla servitù, da una tristissima educazione, dagli ostinati pregiudizi che la libertà sola può cancellare, la gioventù Italiana innoltra lentamente, ma innegabilmente verso una scuola rigeneratrice, nella quale entrerà deliberatamente, appena s' emancipi da una influenza, utile, io lo ripeto, al suo nascere, ma dannosa in oggi, quella di Manzoni in Letteratura, di Botta nella Storia, di Romagnosi nella filosofia della storia e della legislazione. E gioverà segnarne via via i progressi e comunicarli agli stranieri che ci fraintendono per sola ignoranza di fatti.

LUIGI ANGELONI

(Il nome d'Angeloni ricordato sul finire dell'articolo che precede m'induce a inserire qui le poche linee ch' io scrissi nell' Apostolato popolare del 1842, poi ch'ei morì.)

LUIGI ANGELONI, di Frosinone, nacque nel 1759, da Lucrezia Contini e da un Angeloni, mercante. Ebbe istruzione quale concedevano le condizioni proprie e del paese: d'ingegno svegliato e tenace, s'educò del resto da sè; e da sè, dacchè non esisteva a Frosinone maestro alcuno, imparò il greco abbastanza per lasciare alcuni saggi di traduzione. Attese giovine alla mercatura; anzi, morto il padre d'apoplessia, gli gravitò addosso tutto il peso delle faccende domestiche, ch' ei sostenne degnamente e con amore fino al giorno in cui le cose della sua patria periclitante tra le tirannidi interne, l'armi austriache e le francesi, lo chiamarono a Roma. Vi fu fra i Tribuni. Fece anche parte del Corpo Legislativo. E in Roma era quando il popolo insorse contro a'francesi, e fu trucidato Duphot, e Giuseppe Buonaparte, ambasciatore della Repubblica Francese, fu salvo a stento dalla furia dei trasteverini per opera

specialmente del caffettiere Ciambelli che fu poi cameriere del Cardinal Fesch. Repressa la sedizione, cominciarono da parte dei francesi le reazioni. Molti degli insorti furono fucilati sulla Piazza del Popolo. Soldati francesi s'incamminavano a Frosinone dove simili moti avevano avuto luogo. L'ANGELONI, inquieto per la famiglia, s'affrettò a Macdonald, Generale allora delle forze Francesi in Roma, e lo pregò a non volere confondere gl'innocenti coi colpevoli di quella terra. A Dio non piaccia, fu la risposta del francese; e nondimeno la soldatesca gli scannò lo zio materno Leopoldo Conti, vecchio di 84 anni e giacente infermo, rovinò di percosse la sorella e la madre, spogliò due case e il fondaco e portò via quanto danaro trovò: orrori assai minori di quelli che furono contemporaneamente commessi all'Isoletta, terricciuola poco lontana, dove scannati gli uomini, le donne rimasero per tutta una notte preda ai soldati liberatori.

Non sappiam bene come s'adoprasse in que' frangenti ANGELONI; ma sappiamo che più tardi, nel 1810, Fouchè chiamato al governo di Roma, gli offerse un impiego lucroso e la sicurezza di riavere certi beni da lui acquistati ne'tempi della Repubblica, e che ANGELONI, Italiano e Repubblicano nell'anima, ricusò, non patendogli l'animo di prestar giuramento all'Imperatore. Sappiamo che, offertagli, caduto l'Impero, una pensione annua da Pio VII, per le cure da lui prese intorno alla restituzione degli oggetti d'Arte derubati dalla Francia all'Italia, la ricusò, non accettandone che un ricordo. Sappiamo che esule dall' Italia, cacciato di Francia nel 1823, e ricovratosi in Inghilterra, mantenne canuto, colla

condotta e cogli scritti, le opinioni ch'egli avea da giovine professato. La costanza, così rara a' di nostri, fu la caratteristica di LUIGI ANGELONI. Scrittore, pubblicò in Francia e in Inghilterra, oltre a un libro importante intitolato « L'Italia uscente il 1818,» più opere voluminose, poco giovevoli alla gioventù educata d'Italia, perdute per le moltitudini a cagione del pregiudizio letterario che gli faceva rivestire il pensiero della lingua de' morti e d'uno stile pedantesco tanto da toccare spesso il ridicolo, ma piene d'ottime idee, d'affetto all'Italia, d'abborrimento alla influenza straniera, di fede nella vita, nella capacità, e nelle forze della propria Nazione. Le opinioni ch'ei professava in certe questioni di filosofia religiosa non sono le mie; ma ei le manteneva con tanta sincerità di convincimento che potevano eccitare dolore, non collera. Visse in Londra, sino all'età di ottantatrè anni, insegnando l' Italiano agli Inglesi, serbando e manifestando le sue credenze repubblicane, amando e sperando: quand' ei parlava d'Italia e d'un avvenire ch'egli credeva esser prossimo, l'occhio semispento dalla vecchiaia gli scintillava d'un ardore di gioventù. Benedetta sia per questo la sua memoria!

LUIGI ANGELONI, scrittore, patriota, ed onesto, finì la vita, forse nei tormenti della disperazione, il dì 5 febbraio 1842, nell' Workhouse (casa di lavoro) d'Union Covent Garden in Cleveland Street, dove lo trascinò, con inganno, la sordida avarizia d'un uomo, e la colpevole indifferenza d'altri pochissimi che si dicevano amici suoi. I molti Italiani viventi in Londra ignorarono il caso.

Così muoiono, o Italiani, i vostri esuli.

Mazz. Or. Vol. IV.

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PAOLO SARPI ()

Parlo della circolazione del sangue, scoperta che malgrado le obbiezioni di molti, da Morgagni a Ginguenè, parmi appartenga incontrastabilmente a Sarpi.

So che la questione è diventata nazionale per l'Inghilterra ov'io scrivo. Ma il vero è la base migliore ch' io mi sappia dell' onor nazionale. Nè io intendo di scemare menomamente la parte d'immortalità decretata dall' Europa all' Harvey; ma sento debito di respingere l'affermazione d'uno de'suoi discepoli, che Sarpi ricevesse un esemplare del libro di Harvey dall' ambasciatore Veneto risiedente in Londra. L'asserzione è provata erronea dai fatti.

(*) L'articolo, inserito nella London Westminster Review, aprile 1838, non che un compendio della biografia che Bianchi Giovini scrisse di Sarpi. E non ne traggo che alcune pagine originali intorno al modo di giudicarlo e una nota scientifica, perchè racchiude alcuni argomenti, non addotti da Bianchi Giovini, intorno a una di lui scoperta.

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