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pati e parrà giovevole all' incremento della patria letteratura, verrà fatto noto in un modo o nell'altro all'Italia. Della lunga lettera apologetica ai letterati d'Italia, letta negli ultimi tempi della sua vita con animo traboccante d'affetti da Foscolo a taluno fra gli amici suoi, poi smarrita e tiepidamente cercata, e dichiarata perduta (1), son oggi e m'è dolce annunziarlo primo agli amici di Foscolo ricuperati i due terzi almeno, sommanti a ducento pagine incirca di stampa. La Lettera è indirizzata agli Editori Padovani della Divina Commedia dalla Tipografia della Minerva uscita nell'anno 1822. È documento importantissimo per valore biografico e storico, perchè, mentre ribatte virilmente e decisi vamente le accuse mosse dalla malignità e dalla cortigianeria letteraria a Foscolo uomo e scrittore, porge lume a discernere il vero d' alcuni fatti segnatamente degli anni 1814 e 1815, travisati per inala fede o taciuti per paura sino ai di nostri; e sarà pubblicata com'è in un libro intitolato: Vita e Lellere d'Ugo Foscolo, intorno al quale chi scrive queste pagine sta lavorando quanto concedono angustie d'ogni sorta e doveri dai quali ei non pensa potersi esimere. Quel che avanza delle illustrazioni al Poema di Dante forma i volumi che qui si pubblicano.

Quel che avanza: perchè il concetto d' illustrazione cra ben altrimenti vasto e degno di Dante. Oltre il Discorso sul Testo pubblicato nel 1825 pieno zeppo d'errori dal Pickering e due anni dopo con nuovi errori da Ruggia, e oggi ripubblicato

(1) Camillo Ugoni nella Vita di Pecchio.

con maggiore esattezza di correzione e con emendazioni e aggiunte considerevoli (1) desunte da un esemplare postillato di mano dell' autore, era intenzione di Foscolo d'aggiungere al Poema tre discorsi intorno allo stato civile, letterario, religioso in Italia ai tempi di Dante: poi, per ogni cantica, osservazioni intorno ai passi nei quali la storia e la poesia s'illustrano scambievolmente, e lunghe note, ricordate spesso nel manoscritto, sul sistema teologico del Poema, sulle applicazioni della teologia alla politica, sui latinismi di Dante, sull'aspetto e senso corporeo dell'ombre ecc., ecc. Com'ei fosse strozzato a ridurre il primo disegno nelle minori proporzioni del lavoro ch'oggi si pubblica, appare dalla lettera inserita qui sopra e dalla prefazioncella, finora inedita, di Foscolo che precede in questa Edizione il Discorso sul Testo. E questo pure, dacchè la morte di Foscolo troncò l' Edizione, si rimarrebbe, con danno e vergogna all' Italia, inedito tuttavia, se la generosità d'un libraio Italiano qui in Londra, Pietro Rolandi, non ricomprava, a prezzo di quattrocento lire sterline, il manoscritto dalle mani del libraio inglese, avventurandosi a forti spese di stam pa, dalle quali egli forse non ritrarrà che l'onore d'averle affrontate.

A chi intende come dopo tanto diluvio di commenti e note e lezioni e dissertazioni e logogrifi accumulato per cinque secoli da frati, abbati, monsignori, accademici arcadi o degni d' esserlo, e pro

(1) Vedi a saggio delle aggiunte inedite le lunghe note alle sez. CIV. CXXI. CXLIII. CCX. e gran parte della sez. CCVI, tutta la CCI. Le emendazioni ricorrono pressochè ad ogni pagina.

fessori d' università principesche sul Poema Sacro, non rimangano oggimai che sole due vie ad afferrarne l'anima e l'intima vita e l'eterno vero, lo studio della vita e delle opere del Poeta e la correzione del testo, il lavoro di Foscolo, così come i casi l'han fatto, parrà pur sempre importante. E Vita e Testo si stanno tuttavia a rischio d'essere frantesi in Italia dove l'assoluta mancanza di critica letteraria lascia l' inesperienza dei giovani ai pericoli della diffidenza cieca e della cieca venerazione, e gli indizi del vero dati, com'è concesso, dai pochissimi savi vanno sommersi nella farragine degli errori: il testo, svisato e guasto in mille guise dalla molteplicità dei copisti, dalla ignoranza dei più fra loro, dall'esclusiva fiducia d'ogni Editore nel proprio Codice, e dal meschinissimo pregiudizio che trascina i più fra gli scrittori toscani e altri i quali, scrivendo pure intrepidamente lombardo, teorizzano coi Toscani, a ringrettire il Verbo della Nazione futura per entro i termini d'una provincia, e la maestà severa della lingua Dantesca tra gli idiotismi e le

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sincopi effeminate d' un dialetto e sia pure il migliore -d'Italia: la Vita, falsata prima da quanti non hanno, duce il Pelli, guardato in Dante che il letterato, poi dai biografi che scrissero, nessuno eccettuato, da guelfi o da ghibellini intorno a un uomo il quale si svincolò, giovanissimo, dalle due fazioni e vantavasi nel Poema d'

Aversi fatta parte per sè stesso.

Dante è tal uomo i cui libri studiati in un colla vita sarebbero da tanto da ritemprare tutta una ge

nerazione e riscattarla dall' infiacchimento che tre secoli d'inezie o di servilità hanno generato e mantengono. Bensì, lo studio ha da essere severo, spregiudicato, libero d'ogni venerazione alle autorità, impreso non per notare e citare le molte terzine e gli infiniti versi sublimi d'immagini e d'armonia che raccomandano il Poema all'orecchio e alla fantasia, ma coll'animo volto al futuro, e santificato dal disprezzo per tutta quanta la genia dei pedanti eunuchi e dall'amore pei milioni d'uomini nati in Italia che covano il pensiero di Dante, a trovare e svolgere quel pensiero, a raccogliere, colla religione con che il figlio interroga la sepoltura paterna, il segreto dell'Idea che Dante adorava, che lo innalzava al di sopra di quanti Grandi ha l'Italia e lo confortò nella povertà, nella solitudine e nell'esilio. E lo studio ha da cominciare dalla vita del Poeta, dalla tradizione Italiana ch'ei compendiava e continuava colla potenza del Genio, dalle Opere Minori ch'ei disegnava come preparazione al Poema, per conchiudersi intorno alla Divina Commedia, corona dell' edifizio, espressione poetica del concetto ch'ei traduceva politicamente nella Monarchia, filosoficamente nel Convito, letterariamente nel libro su la Lingua Volgare. Perchè Dante è una tremenda Unità: individuo che racchiude, siccome in germe, l'unità e l'individualità nazionale; e la sua vita, i suoi detti, i suoi scritti s' incatenano in un'Idea, e tutto Dante è un pensiero unico, seguito, sviluppato, predicato nei cinquantasei anni della sua esistenza terrestre, con tale una costanza superiore alle paure e alle seduzioni mondane, che basterebbe a consecrarlo Genio dov' anche quel pensiero fosse utopia

non verificabile mai: or di qual nome onorarlo quando fosse il pensiero fremente nella vita di cento inconscie generazioni, misura del nostro progresso, segno della nostra missione?

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Ed è. La Patria s'è incarnata in Dante. La grande anima sua ha presentito, più di cinque secoli addietro e tra le zuffe impotenti dei Guelfi e dei Ghibellini, l'Italia: l'Italia iniziatrice perenne d'unità religiosa e sociale all'Europa, l'Italia angiolo di ci-viltà alle nazioni, l'Italia come un giorno l'avremo.. Quel presentimento spira per entro a tutte le cose di Dante e riveste aspetto di dogma nel suo libro de Monarchia, che uno scrittore torinese, guelfo, chiama anch'oggi tessuto di sogni, e uno scrittore lombardo, brancolante tra il guelfo e il ghibellino, abbietlissimo libro. Oggi, pigmei, non intendiamo di Dante che il verso e la prepotente immaginazione;. ma un giorno, quando saremo fatti più degni di lui, guardando indietro all' orme gigantesche ch' egli stampò sulle vie del pensiero sociale, andremo tutti in pellegrinaggio a Ravenna, a trarre dalla terra ove dormono le sue ossa gli auspicii delle sorti future e le forze necessarie a mantenerci su quell'altezza ch'egli, fin dal decimoquarto secolo, additava. a'suoi fratelli di patria.

E quando saremo fatti degni di Dante, troveremo oltre a quel segreto, nelle pagine ch'ei ci lasciava, una lingua, quale in oggi gli sfibrati scrittori che tengono in Italia il campo delle lettere, guasti dai Francesi, guasti dai Tedeschi, guasti da tutti e pure armeggianti a dichiararsi indipendenti da tutti, neppure sospettano: troveremo una Filosofia, nazionale davvero, anello tra la Scuola Italiana di Pitagora.

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